Magazine Cinema
di Lasse Hallstrom
Ci ha provato in tanti modi ma ancora non si arrende: più che il nuovo tentativo, stupisce la caparbietà di un industria che non smette di scommettere sulle sua affabulazione e confeziona l’ennesimo prodotto derivato dall’attentato terroristico più famoso del pianeta: questa volta però, pur restando dalla parte di un cinema debitore del rimorso di coscienza, il meccanismo catartico si innesta sulla capacità di sublimare la storia attraverso la costruzione di una realtà, in cui il desiderio amoroso diventa il catalizzatore di un umanità che sostituisce la vita con il suo surrogato.
Sospendendo il giudizio e con gli Analisti impegnati a decriptare scenari da Battaglia Navale, l’11/9 e le sue conseguenze diventano il pretesto per rianimare una storia altrimenti bloccata dalla sua peculiarità, ovvero quella di vivere interamente sullo scambio epistolare tra due amanti impegnati a raccontarsi le rispettive lontananze con parole che vanno oltre il necessario, sostituendosi all’immagine nella sua funzione evocativa, e che debordano a causa di un vocabolario pesantemente monocorde.
L’evento epocale percepito come punto di non ritorno assume cosi’ la funzione di spartiacque tra cinema e letteratura, cesura di un prodotto altrimenti destinato a restare sulla carta ed invece, almeno formalmente ritornato ad essere se stesso, quando i protagonisti, costretti ad adattare la malattia amorosa allo scenario da Day After, lasciano il calamaio ed incominciano ad agire.
Separati dalle differenze sociali prima ancora che dalle circostanze, John ragazzo della working class arruolato nell’esercito, e Savannah, studentessa wasp dalla carriera assicurata, affronteranno un purgatorio di promesse reciproche e delusioni cocenti, di tramonti mozzafiato e lutti dolorosi ma riusciranno a sopravvivere grazie alla forza di un sentimento pianificato a tavolino.
E se il film si costruisce un emotività figlia del desiderio e del non detto, sul piano pratico la destabilizza con scelte fin troppo esplicite: dal paesaggio bucolico ai colori artificiali, per non parlare degli ambienti, realizzanti su orizzonti da catalogo pubblicitario, tutto sembra predisposto per saturare quelle mancanze.
I due attori poi ci mettono del loro, attingendo nel pozzo dei propri stereotipi, Channing Tatum controfigura di Marky Mark e con i muscoli facciali evidentemente risparmiati a qualsiasi tipo di ginnastica, Amanda Seyfried, occhi, capelli, e poco altro.
“Dear John” è tratto dall’omonimo romanzo di Nicholas Sparks e diretto da uno che ha naturalizzato l’ambizione artistica sugli orizzonti di un cinema/prodotto.
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