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Death: a self portrait

Creato il 05 gennaio 2013 da Mrs Garrick

“An exhibition on... death??” Ha esclamato scandalizzato la mia dolce metá quando gli ho suggerito di andare a vedere la mostra della Wellcome Collection. “You are on your own!” ha concluso lapidario. “I’m not coming. At least not yet...” Uh! Fifone.

Già in passato la Wellcome Collection aveva proposto mostre insolite che proponevano temi controversi come le droghe o la sporcizia. Ma la morte?? Difficile pensare ad essa come il soggetto adatto per una mostra, meno che meno l'oggetto di svago di un sabato pomeriggio non lavorativo...! Ma poi a pensarci, non è poi così strano. Che il tema della Danza macabra non è nuovo nell’iconografia della storia dell’arte, soprattutto di quella medievale. E si capisce. Chiunque soggetto di continuo a pestilenze, guerre e carestie sarebbe ossessionato dall'idea...

An image of a classic oil painting of skulls and flowers within a thick black square frame

Adrian Van Utrecht, Vanitas Still life with a Bouquet and a Skull (1643). Oil on canvas© The Richard Harris Collection

La mostra attinge a piene mani dalla collezione privata dell’americano Richard Harris che da anni raccoglie oggetti, dipinti, stampe, sculture etc. che hanno come tema la morte (il mondo è pieno di gente strana...) e una volta dimenticato di essere volontariamente venuti a contatto con un argomento che di solito si fa di tutto per dimenticare, è veramente coinvolgente. Organizzata tematicamente lungo cinque sale, la mostra esplora i modi diversi in cui culture diverse in periodi diversi hanno affrontato l'inevitabile. Sin dall'antichità infatti l’angoscia e il mistero che circondano la morte hanno spinto gli uomini ad elaborare raffigurazioni che fossero di impatto immediato al fine di scuotere la coscienza dell’osservatore. E così dalle rappresentazioni della vanitas del protestantesimo olandese alle drammatiche stampe di Dürer e Goya si passa ai buffi scheletri ukiyo-e del giapponese Kawanabe Kyosai che giocano fra loro e sembrano divertirsi una sacco, per nulla turbati dal fatto che della loro persona non è rimasto altro che le ossa.

Frolicking Skeletons by Kawanabe Kyosai

Kawanabe Kyosai's Frolicking Skeletons: emphasising the carefree spirit of the world beyond. Photograph: The Richard Harris Collection/Wellcome Images

Che una cosa è certa: quello della morte è un tema universale. La morte non solo come memento mori, ma come satira sociale perché davanti a Dio (o chi per lui) siamo tutti sono uguali. Certo non e’ una mostra da prendere a cuor leggero, soprattutto quando si arriva alle stampe di Otto Dix dove la tragedia della Guerra davvero non ha bisogno di parole...

Otto Dix, Shock Troops, art

Otto Dix, Shock Troops Advance Under Gas (1924). Photograph: The Richard Harris Collection/Death: Wellcome Collection

Da qualche parte nelle Lettere a Lucilio Seneca ha detto che “Non temiamo la morte, ma il pensiero della morte.” Forse. Ma devo dire che preferisco l’approccio di Blaise pascal quando dice che “Gli uomini, non avendo potuto guarire la morte, la miseria, l’ignoranza, hanno deciso, per vivere felici, di non pensarci.” Credo che farò così... Almeno per un altro po'...


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