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L'operazione ogni volta compiuta da Douglas Pearce è sublime. Comporre canzoni fortemente melodiche cercando di celare fino all'ultimo l'essenza della melodia stessa. Per un certo verso intraprende un percorso inverso rispetto a molte delle esperienze musicali: cerca di distrarre l'attenzione dal corpo delle proprie canzoni accentuando la monotonicità del canto, con l'obiettivo, in questo modo, di raggiungere solo dopo molto la sensibilità dell'ascoltatore. E' quasi come desiderasse dai propri interlocutori uno sforzo partecipativo, un coinvolgimento cosciente, alle volte talmente violento da far rivoltare lo stomaco. Il suo canto (solo apparentemente) piatto, gli arrangiamenti limitati ad uno, al massimo due, strumenti, la ripetizione ossessiva dei motivi possono sembrare, messi assieme, ingredienti pericolosissimi da gestire. Ed invece Douglas P. - questo vecchio mentecatto che si diverte a dare di sé un'immagine tanto ambigua quanto in contrasto con la profondità artistica delle sue composizioni - li controlla alla perfezione riuscendo a trarne il miglior risultato possibile.
"Peaceful Snow" non è altro che la rivisitazione pianistica di alcuni dei brani più celebri dei Death In June, realizzata grazie al congegnale accompagnamento del pianista polacco Miro Snejdr. Di suo, questa raccolta non aggiunge niente all'intera opera del gruppo, e quindi occorre liberarsi di ogni pregiudizio da preascolto per poterla valutare con giudizio. Snejdr, in realtà, riesce infatti a fare quello che molti altri pianisti votati al rock o anche all'avanguardia non riescono a fare. Traduce cioè le caratteristiche troppo peculiarmente classiche dello strumento in qualcosa che si avvicina molto di più all'elettronica. Per capire, ascoltate ad esempio "A Nausea": le scale si avviluppano in vortici battenti, si alzano e si abbassano con precisione quasi digitale trasmettendo così una sensazione di stordimento da dancefloor. In altri, il piano serve da contrappunto alle sentenze di Douglas P., riuscendo a stabilire col canto un rapporto sintetico che la chitarra, così spesso utilizzata fino adesso, non poteva fare tanto efficacemente.
Nella sostanza, la sensazione finale è quella di trovarsi davanti ad una versione lugubre di Leonard Cohen (somiglianza spesso citata quando si parla dei DIJ), con in più una visione attenta all'avanguardia musicale. Un approccio, questo, che agli ascoltatori più sensibili consente di apprezzare un certo gusto mitteleuropeo per la sostanza della musica e per il ribrezzo verso fronzoli e immediatezza: mali, quest'ultimi, assoluti dell'arte contemporanea e votata al mercato.
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