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Death race

Creato il 10 dicembre 2011 da Misterjamesford
Death raceRegia: Paul W. S. AndersonOrigine: UsaAnno: 2008Durata: 111'
La trama (con parole mie): siamo nel pieno del prossimo futuro dominato dalle grandi Corporazioni, in cui la crisi economica ha spazzato via tutte quelle che erano le speranze della gente comune.Jensen Ames, ex pilota e operaio, finisce dentro dopo essere stato incastrato per l'omicidio della moglie, e immediatamente viene reclutato affinchè prenda il posto di Frankenstein, il pilota più noto della competizione chiamata Death race, una corsa di bolidi armati di tutto punto tutta confinata nei carceri di massima sicurezza, in cui il rischio di morte è pane quotidiano ed il premio dopo cinque vittorie la libertà: lo stesso Frank, infatti, è deceduto a seguito di un incidente causato dal suo avversario di sempre, Machine gun Joe, cercando di ottenere quella che sarebbe stata la sua vittoria decisiva. Il compito di Jensen sarà di spacciarsi per lui.Ma per la direttrice della prigione ed organizzatrice della competizione Hennessey i guai cominceranno proprio quando Ames si metterà al volante.
Death race
Lo riconosco: parlare di un film firmato Paul W. S. Anderson, che dopo I tre moschettieri si è giocato perfino le già scarsissime possibilità di essere credibile anche nell'ambito trash, può essere decisamente assurdo, oltre che autolesionistico.Eppure, sarà per Statham, sarà per i vaghissimi richiami a pellicole "di reclusione" come 1997: fuga da New York o la trilogia di Undisputed, sarà per il gusto clamorosamente kitsch che regge come un'impalcatura tutta la pellicola, ammetto di essermi tutto sommato divertito, con questo giocattolone che mescola le sindromi in genere tutte maschili alla Fast&Furiousad una strizzatina d'occhio al passato, presente anche e soprattutto grazie all'ispirazione venuta dalla produzione di Roger Corman, che attualizza - o meglio, tamarrizza - una sua vecchia "creatura" - della quale non firmò la regia - targata 1975 e ribattezzata qui da noi Anno 2000: la corsa della morte, che vedeva nel cast anche un giovane Sylvester Stallone.
Ma per tornare alla pellicola firmata dall'Anderson più scarso del pianeta regia, la regola principale pare essere quella di "staccare la spina", lasciando che il cervello riposi mentre la pancia si gode gli inseguimenti e le sparatorie di questi veri e propri mostri a quattro ruote come a trovarsi nel pieno di un videogioco, forti di un protagonista che sempre più pare assumersi il ruolo del Bruce Willis dei nostri tempi, del consueto vecchio saggio del carcere nonchè mentore del nostro - un discreto Ian McShane - e di alcuni aspetti che quasi sconfinano nel fumetto che sicuramente faranno presa su tutti gli spettatori più pane e salame e che nascondono una riflessione neppure troppo banale sulla strumentalizzazione dello spettacolo: il personaggio di Frankenstein, infatti, ed il ruolo della sua maschera, rendono molto bene l'idea del grande circo che gira attorno ad alcune figure mediatiche di spicco, e se non fosse che ci troviamo nel bel mezzo di un film ignorantissimo di uno dei registi più scarsi del panorama statunitense verrebbe quasi da dire che quello del dualismo Frank/Jensen Ames è un colpo davvero niente male per una pellicola di pura azione senza pretese.
Ma non soffermarsi troppo su questa ipotesi - potrebbe minare la valutazione complessiva della pellicola, che come ho detto poco sopra richiede una robusta dose di encefalogramma piatto - diviene necessario per godersi fino in fondo i combattimenti in pista, così come i richiami - sempre molto alla lontana, come quelli alla saga di Snake Plissken - a Duel dello scontro più esplosivo - in tutti i sensi - tra quelli con Jensen protagonista, che vede il pilota che interpreta Frankenstein accanto alla sua nemesi di sempre Machine gun fronteggiare il mostruoso camion assemblato dall'equipe di Hennessey.
Poco altro resta dello script e della sceneggiatura, giocata spesso e volentieri attorno ai tipici clichè carcerari ed assolutamente imbarazzante rispetto alla sua parte di intrigo - l'inganno che porta l'incarcerazione di Ames ed il suo sospeso con Pachenko - e a quella dedicata alla presenza femminile - non può esistere, ovviamente e per tornare all'invisibile ponte che corre tra Jensen e Toretto e soci, che manchi il secondo elemento fondamentale di ogni filmaccio di questa risma oltre ai motori -, votata in tutto e per tutto alla mercanzia in mostra e palesemente in contrasto con la controparte maschile dello stesso - gli uomini sono brutti, zozzi e vestiti di stracci, le donne appena uscite da un centro fitness con tanto di trucco, parrucco e vestiti molto poco coprenti -: lungi da me fare il perbenista - il saloon non è certo un posto buono per l'aristocrazia -, o apparire come tale, ma l'utilizzo delle partners dei piloti è davvero mal sfruttato, tanto da scomodare paragoni con lo scarsissimo Bitch slap, per intenderci.
Tutto sommato - e quasi sorprendentemente -, però, il carrozzone regge durata e pretese, spingendo al massimo in ogni sua parte e arrivando al limite senza effettivamente finire la sua corsa schiantandosi irrimediabilmente: merito dell'aura ormai "expendable" di Statham, certo, ma - per una volta si può dire - anche dello spirito goliardico del regista, totalmente senza pretese.
Come il suo film.
E per stavolta va bene così.
MrFord
"Tonight, tonight the strip's just right
I wanna blow 'em off in my first heat
summer's here and the time is right
for racing in the street."
Bruce Springsteen - "Racing in the street" -

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