debiti di riconoscenza (da Marco Aurelio)

Creato il 09 gennaio 2015 da Girolamo Monaco


Da Vero, mio avo, costumi retti e mitezza d’animo.




Dalla reputazione e dalla memoria del padre mio, modestia e carattere
virile.




Da mia madre, il rispetto per gli Dei, la liberalità, la frugalità, il rifuggire la vita fastosa dei ricchi.




Dal mio bisnonno, l’aver avuto in casa insigni maestri e l’aver capito che, riguardo a questo, non bisogna lesinare sulle spese.




Dal mio precettore, il non aver parteggiato né per la fazione dei “verdi”, né per quella degli “azzurri”, il saper sopportare le fatiche, l’accontentarmi di poco, il saper bastare a me stesso, il non immischiarmi negli affari altrui, il non prestare orecchio alle calunnie.




Da Diogneto, il trascurare le inezie, il non credere alle chiacchiere dei fattucchieri, il valorizzare la schiettezza, l’aver coltivato gli studi filosofici.




Da Rustico, l’aver concepito la necessità di correggere il mio carattere e di vigilare su di esso, il non ostentare austerità o prosperità per essere ammirato, a leggere attentamente e a non accontentarmi di una comprensione superficiale.




Da Apollonio, l’indipendenza dello spirito, la fermezza d’animo, la circospezione, ad essere inflessibile e mite.




Da Sesto, la benignità e l’esempio del buon padre di famiglia, l’idea della vita secondo natura, la serietà senza affettazione, la necessità di aiutare sempre gli amici, la sopportazione verso gli ignoranti, la propensione a dir bene degli altri e ciò senza strepito, l’amore per la cultura senza ostentazione.




Da Alessandro il grammatico, il non censurare alcuno, il non biasimare chi discorrendo cada in errore, ma facendogli capire, con abilità, l’essenza del suo errore sotto l’apparenza di rispondergli o di seguirlo nella sua idea.




Da Frontone, l’aver conosciuto quanta invidia, frode e simulazione esista nei tiranni e come, in complesso, coloro che tra noi sono detti patrizi abbiano meno cuore degli altri.




Da Alessandro il platonico, il non dire ad altri, o scrivere “io sono occupato”, né l’avvezzarmi in siffatta maniera a esimermi dagli obblighi verso coloro tra i quali vivo, accampando la scusa dell’urgenza degli affari.




Da Catulo, a non trascurare le lamentele di un amico, anche se egli si lagni senza motivo, ma di fare il possibile per rasserenarlo.




Da Severo, l’attaccamento verso la famiglia, la verità e la giustizia; l’aver concepito uno Stato nel quale le leggi siano uguali per tutti e così i diritti di ogni individuo e la libertà di parola.




Da Massimo, il saper padroneggiarsi, il non lasciarsi prendere la mano in nessuna evenienza, il superare con serenità le malattie come l’avversa fortuna, e la moderazione del carattere.




Dal padre mio adottivo, l'imperatore Antonino Pio, mitezza e perseveranza nelle deliberazioni ben ponderate, il disprezzo dei cosiddetti onori, l’amore per il lavoro e la tenacia, la capacità di ascoltare, la fermezza nel ricompensare secondo il merito, l’esperienza nel sapere quando sia necessaria la severità quando la clemenza, l’avere il senso della comunità, la cura nell’indagare le cose con attenzione e non accontentarsi della prima impressione, la capacità di prevedere i fatti, il reprimere plausi e adulazioni, il vigilare costantemente ai bisogni dello stato.



Marco Aurelio (121- 180 d.C.),

Colloqui con se stesso, Cap. I