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“Debunking sull’amore”, un racconto inedito di Andrea Frau

Creato il 15 agosto 2014 da Criticaimpura @CriticaImpura
Salvador Dalì, Bob Sandbergin, 1947

Salvador Dalì, Bob Sandbergin, 1947

Di ANDREA FRAU

Debunking: la pratica di mettere in dubbio o smentire, basandosi su metodologie scientifiche, affermazioni false, esagerate, antiscientifiche. (Definizione Garzanti)
Primo tempo.
Il signor Soave passava le sue sere a far debunking all’amore.
Canticchiava sempre una nenia:
“Con un velo da sposa pulisce un telefono a gettoni,
per il suo funerale manda le partecipazioni,
al paraurti del carro funebre ha legato le lattine,
cosa ci si aspetta da chi battezza i neonati amori nelle latrine?
Sull’altare scambia promesse, anelli e malattie veneree
per speranze funeree.
Corone di spine le loro fedi,
ciò che non senti non vedi,
tutto ha una fine, tutto è segnato
così l’amore, così l’intero creato”.
Questa nenia gliel’aveva insegnata la mamma quand’era ancora in fasce. La madre era solita fasciarlo con dei fogli che riportavano i calcoli delle endorfine rilasciate dopo i rapporti sessuali intrattenuti regolarmente con partner differenti.
Il signor Soave era conscio che dalla sua verità e consapevolezza non poteva nascere nulla. Attaccava dei fiocchi neri alla porta per ogni suo sogno abortito.
Perché la verità è sterile, dalla razionalità è nata solo l’eugenetica. La vita continua sul nostro pianeta perché accettiamo di non sapere, guardiamo il coniglio uscire dal cilindro e applaudiamo contenti come dei bambini. Ma è grazie alla scienza che se il coniglio impazzisce e morde il mago, quest’ultimo può farsi un’antirabbica.
Il signor Soave era affetto da sindrome di Asperger e non era capace di mentire. Per questo si muoveva scettico come Houdini ad una seduta spiritica. Avrebbe voluto conficcare il suo microscopio negli occhi degli amanti per capirne il mistero. Schiantare il razzo sulla luna come Melies.
Se vedeva un neonato il suo primo pensiero non era “Che carino”, ma “Tra una settantina d’anni se gli va bene morirà”. Per questo motivo non capiva Huxley, non capiva Burroughs, Vonnegut o il barone di Munchausen.
Nel suo archivio conservava dei dossier sulle storie d’amore finite. Gli amori degli amici, dei conoscenti, delle persone che spiava e dei personaggi pubblici erano ordinati in ordine alfabetico e di durata.
Ogni dossier riportava con certosina e ossessiva perizia i cinque punti:
-circostanze in cui si è conosciuta la coppia;
-inizio del rapporto;
-momenti migliori;
-momenti peggiori;
-sopraggiunta freddezza con conseguente distacco;
-fine del rapporto.
La sua missione era svelare la truffa dell’amore, razionalizzarlo, individuandone ripetitività e prevedibilità.
Quand’era bambino svelava sempre i trucchi dei maghi alle feste di compleanno dei compagni di scuola che finirono per non invitarlo più.
Secondo tempo.
Un anziano rom sinti ricevette il signor Soave. Non era usuale che uno del suo rango concedesse udienza a un gagè qualsiasi.
Il vecchio aveva una grossa cicatrice sulla nuca che segnava la sua grande testa pelata e bruciata dal sole. Come grande segno d’ospitalità gli offrì sua sorella. Lui in cambio gli regalò il grande spoiler del “moriremo tutti”.
Il capo prese la mano di Soave, la premette contro la sua cicatrice da cui esplose un raggio luminoso che accecò il poveretto. Il gagè si ritirò spaventato. Tutti intorno risero.
Dietro di loro c’era un acquario di liquido amniotico con dentro un giovane gagè nudo con l’espressione più serena del mondo, con un tubo infilato dietro la testa.
Molti giovani si rivolgevano al vecchio per poter superare le delusioni d’amore con il metodo dell’acquario. Erano diminuiti i femminicidi ma aumentate le denunce per scomparsa. Una sorta di volontaria castrazione chimica della memoria per superare l’aggressività.
Il sogno di Soave era costruire un parco a tema “Debunking sull’amore”.
Gli ospiti del parco avrebbero potuto vivere una storia d’amore realistica. Avrebbero potuto essere Marylin Monroe o Joe Di Maggio, Bonnie o Clyde, Luigi Tenco o Dalida, Loredana Bertè o Borg, Nilde Iotti o Togliatti, Sid o Nancy, Kurt o Courtney, John o Yoko, Rimbaud o Verlaine, Allen Ginsberg o Peter Orlovsky, Sartre o Simone De Beauvoir, Dario Fo o Franca Rame, Veronica Lario o Berlusconi. I clienti avrebbero portato con sè la foto del primo amore, dimenticato o tradito, morto in guerra o sul lavoro. Sarebbe bastata un’iniezione, il tubo dietro la nuca e poi giù nel tunnel a più di 100 km/h per finire nel grande acquario e sognare in sicurezza.
Il signor Soave voleva farci dei soldi con quel sistema, ed era lì per comprare l’accampamento e gli acquari.
Ovviamente il vecchio si rifiutò. Ovviamente Soave si prese quel che voleva. L’accampamento fu dato alle fiamme, le vasche ribaltate, chi si opponeva e lanciava maledizioni venne neutralizzato.
Il campo era circondato dal filo spinato elettrificato. Un giovane kamikaze accarezzò il filo con il pletro della sua chitarra e tutt’intorno si udì un riff elettrico, urla e convulsioni. L’odore di bruciato del giovane attirò coyote e vouyer fascisti che si masturbarono fuori dalla recinzione eccitati da quell’odore di forno crematorio. I compagni e i fidanzati del chitarrista giurarono che da quel terreno concimato da carne carbonizzata e sperma fascista sarebbe cresciuta una nuova vendetta.
Soave in ufficio compilava i fogli per attribuirsi la proprietà del campo. La penna gli cadde dalla mano. La sua mano si illuminò e tentò di strangolarlo. Lottò con il suo arto ribelle per poco tempo, poi se lo tagliò di netto con una mannaia. Non era uno che si lasciava irretire dalle maledizioni.
Quando una spedizione di rom trovò vendetta incendiando il parco molti erano ancora attaccati ai tubi. I loro corpi forse perirono ma le loro illusioni, le loro storie fasulle, sicuramente sopravvissero.


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