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Ma direi che è quasi il contrario. Il punto più alto della cultura greca è stato il IV secolo pericleo, quando i vecchi filosofi non disdegnavano di farsi i ragazzini e gli eroi della guerra, da Achille prima ad Alessandro Magno poi, che erano un po’ come tu mi vuoi, nel senso che passavano tranquillamente dalle belle Briseidi ai giovani di bell’aspetto, per non parlar di Saffo e chi più ne ha più ne metta. Se tuo padre ti prendeva un precettore di una certa fama da cui apprendere l’amore per la sapienza, potevi star certo che non salvavi le chiappe, salvo rifarti in un secondo tempo. Di Cesare marito di tutte le mogli e moglie di tutti i mariti, ne son piene le cronache. Durante il nostro Rinascimento, poi, se non eri da quella parte lì, forse neanche ti prendevano a bottega. Altri invece, pongono la possibilità che la decadenza viaggi a braccetto con la violenza e la litigiosità che portano alle guerre e l’avidità della corruzione, che impesta ogni carica pubblica, lucrando su appalti, prebende e su ogni cosa dia la possibilità di fare soldi. Ma anche qui la storia sconfessa questa teoria.
Ancora una volta chiamo in causa il nostro Rinascimento, dove venivano ordite le più atroci congiure, i Borgia si avvelenavano l’un l’altro, non c’era mercato a negozio che non volesse la sua brava tangente, si compravano cariche civili, politiche e financo ecclesiastiche, mentre bande di ventura mettevano a ferro e a fuoco la penisola, eppure le città italiane erano le prime nel mondo e generavano i Michelangelo e i Leonardo, mentre gli Svizzeri, brava gente per carità, che non cercano di corrompere neppure il boia, in 800 anni hanno inventato solo l’orologio a cucù (questa l’ho letta si internet). Non parliamo della Serenissima dove all’apice della sua storia, poco prima di Lepanto, si dovevano calcolare e mettere in preventivo quanto ogni armatore di galea avrebbe rubato sugli appalti per poter muovere guerra al Sultano. No, credo che anche corruzione e violenza non siano un metro valido per poter dire che una civiltà è in decadenza. Mi sono convinto invece, osservando un po’ le varie storie dei grandi imperi che il loro fulgore e la loro importanza crescesse inesorabilmente quando, l’avanzare nella società, le carriere e il raggiungimento di posizioni massime di potere era dato senza infingimenti dal merito e non dal nepotismo.
Le varie dinastie che si sono succedute in Cina, avevano alla base del funzionamento dello stato, il difficilissimo esame per diventare funzionario. Era una lotta spietata a cui concorrevano ogni anno in migliaia, da ogni parte del paese. Tutti, in teoria potevano accedervi, naturalmente i più ricchi avevano più chances di arrivarvi, non era una questione di giustizia sociale, ma quello che contava era che alla fine venivano scelti i migliori in assoluto e per questo lo stato prosperava. Non si disdegnava di mettere ai vertici, come ministri, personaggi che arrivavano dall’estero e che forse avevano più ampie vedute. Kubilai Khan aveva come ministro delle finanze un arabo e elevò al rango anche il nostro Marco Polo, tanto per dirne una. I Sultani Ottomani sceglievano la loro classe dirigente tra i fanciulli rapiti nelle scorrerie o scelti appositamente tra i più dotati nei vari villaggi.
Anche qui selezione spietata, molti si perdevano, i più tosti andavano a formare la classe dei Giannizzeri, un esercito di specialisti di eccellenza, i migliori in assoluto diventavano ministri e visir, i governanti effettivi dell’impero, tutti provenienti dalle classi più umili. Quando cominciarono ad arrivare a queste cariche figli e parenti vari, arrivò anche Lepanto e l’Impero entrò in una inarrestabile decadenza. L’esempio più eclatante è poi l’impero romano, dove i primi imperatori, proprio per evitare il nepotismo, sceglievano il loro successore in base ai meriti, veri o presunti naturalmente, perché l’uomo nasce fallace per natura. Quindi lo adottavano garantendogli la successione. Anche qui, quando il sistema andò in disuso, cominciò inarrestabile, il decadimento. In fondo questa è la natura dell’uomo. Chi non vorrebbe il meglio per il proprio figlio, chi è così grande da essere capace a rinunciare ad aiutarlo, oltre i suoi meriti? Io credo pochi, per questo siamo destinati, sazi di benessere e lamentosi all’infinito, a scendere inesorabilmente verso il basso. L’importante è farsene una ragione.
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