“Decapitazione” una pratica jihadista che nel Corano non c’è

Creato il 26 agosto 2014 da Maria Carla Canta @mcc43_

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Al livello orrifico e spettacolare prodotto dai siti jihadisti, si affianca un atteggiamento pseudoculturale che, in buona o cattiva fede, presenta come assodato senso comune assunti denigratori che nulla hanno a che vedere con l’Islam. Nulla è più facile che stravolgere una ideologia pescando dall’insieme delle sue formulazioni ciò che conferma la tesi già predisposta. Sarebbe possibile stravolgere l’immagine tradizionale del Cristianesimo qualora venisse sempre rappresentato con questa citazione generalmente taciuta:

[…]“Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra: sono venuto a portare non pace, ma spada!” (Matteo 10,34)”

Nel caso dell’Islam, al contrario, vengono omessi precetti che sconfessano l’idea guerresca e spietata che si vuole darne:

“[…] Chi poi perdona e fa pace fra sé e l’avversario, gliene darà mercede Iddio, perché Dio non ama gli iniqui” (Sura 42, 40)

L’essenza di tutte le religioni è rendere consapevoli della complessità dell’essere umano e delle opposte forze che ne agitano l’interiorità. Nessuno è immune da un istinto categorico, dogmatico, integralista e intransigente, un nemico dentro ciascuno che, quando prende il sopravvento, induce a negare l’esistenza di altro da sè. Non ne sono scevri, ora come nel passato, neppure coloro che da una cattedra insegnano i principi delle religioni. E’ sufficiente ricordare le traversie attraverso cui sono passati i testi sacri del Monoteismo, per arrivare alla formulazione che conosciamo, per renderci conto della saggezza di quelle confessioni, come il Protestantesimo e l’Islam, che insistono sulla responsabilità tutta personale di fronte al Divino.

La circostanza della decapitazione di Foley è all’origine di un articolo che si sviluppa con intenzioni dotte partendo un concetto errato Decapitare l’infedele”: ecco il versetto del Corano che infiamma il Medioriente “. E’ carente di una considerazione basilare, di un’accortezza ineludibile per chi voglia confrontarsi correttamente con il testo coranico.

Le versioni in altra lingua del Corano non possono essere letterali, questo lo può confermare chiunque conosca l’arabo classico. Lo scomparso venerabile shayck di Milano Gabriel Mandel aveva redatto una traduzione letterale che mai diede alle stampe perché risultava del tutto incomprensibile. Esistono, pertanto, nelle varie lingue solamente delle versioni interpretative che risentono, ovviamente, della personalità dell’autore.

La potente Islam Call Society ne ha diffuso una formulazione in inglese che è diventata la base della versione nelle altre lingue. Anche per quella adottata dai centri islamici in Italia, ma nella nostra lingua ne esistono almeno quattro qualitativamente rispettabili.
Le versioni firmate da autori che hanno attinto direttamente dall’arabo classico, avendone le capacità e la cultura, sono quelle di Gabriel Mandel, edizione Utet, e di Alessandro Bausani, edizione Bur.
L’articolo in questione prende come spunto la Sura 47, al verso 4, riportando questa formulazione “taglia loro la testa“. Nemmeno la più antiquata e dura traduzione dalla versione della Islam Call giustifica tale formulazione, vi si legge infatti  “smite at their neck” letteralmente ” colpiscili al collo”. Volendo ironizzare, questa prescrizione è identica alla tecnica di combattimento Krav Maga, messa a punto da Israele e impiegata dalle polizie di quasi tutto il mondo, che colpisce direttamente alla carotide.

Nella versione di Bausani, il verso 47.4  è così espresso:

“E quando incontrate in battaglia quei che rifiutano la Fede, colpite le cervici , fino a che li avrete ridotti a vostra mercé , poi stringete bene i ceppi, dopo o fate loro grazia o chiedete il prezzo del riscatto finché la guerra non abbia deposto il suo carico d’armi “

Importante notare che il versetto non si ferma qui, prosegue:

“Così dovete fare, che se Dio avesse voluto si sarebbe vendicato da solo, ma non lo ha fatto, perché Dio ha voluto provare alcuni di voi per mezzo di altri, e coloro che verranno uccisi sulla via di Dio, Iddio non vanificherà le loro opere”

E’ significativo che questa parte venga taciuta. Concetto raffinatissimo, e scomodo, sancisce la banalità del male. A nessun individuo è dato riscattare il mondo, nessuna opera di sterminio deve essere tentata. La responsabilità, il Corano spesso lo sottolinea, è sempre individuale e ognuno deve preoccuparsi di non essere agente infettante il male nella comunità. Un detto del Profeta al ritorno di una campagna vittoriosa contro tribù nemiche suona come: ora che abbiamo vinto la piccola guerra, dobbiamo vincere la grande guerra dentro di noi.
L’incitamento a colpire “coloro che rifiutano la fede” viene inteso da molti come ordine di convertire forzatamente. Ciò perché non si tiene conto che il motivo delle guerre ai tempi del Profeta era acquisire la libertà di praticare la propria fede. Il’ nemico era combattuto non per  convertirlo ma  per affrancarsi dai limiti che esso poneva al credente.

E’ evidente come questi versi coranici non appoggiano jihadismi feroci, squalificabili come anti-islamici già in partenza. Poichè la giustificazione della guerra sta nella difesa della Fede, ne consegue una prescrizione assoluta per il musulmano: non prendere le armi contro altri musulmani.

Perché allora tutta questa ferocia ogogliosamente manifesta, tutte queste persecuzioni ad opera di gruppi che si proclamano “veri” fedeli e che alimentano, così, l’ islamofobia?

Occorre risalire al XVIII° secolo, quando l’ Impero Britannico era in fase di espansione nel medio Oriente, e alla figura di Muhammed Ibn Abd al Wahab . All’Inghilterra premeva destabilizzare l’Impero Ottomano, il mezzo fornito da Wahab fu insinuare la discordia all’interno dell’Impero mettendo i musulmani in lotta fra loro.
Avvicinato e coinvolto dagli Inglesi, Wahab indossò le vesti del purista riformatore, accusò ognuno di devianza dai precetti coranici e di politeismo, definì jihad, guerra santa, il conflitto con chiunque pratichi l’Islam in modo differente. Gli odi e le pratiche tribali, a quel tempo e in quelle regioni, fornirono gli strumenti per infrangere l’unità della Umma, collettività islamica, come nel sanguinoso periodo successivo alla morte del Profeta Muhammad, dominato da feroci lotte di potere per la sua successione.

I discendenti dottrinali di Wahab sono i monarchi dell’Arabia Saudita. E’ noto che essi sono i maggiori finanziatori delle formazioni terroristiche. Ciò che Wahab fece dentro il mondo islamico, oggi la monarchia wahabita lo sta facendo in dimensione globale creando e manovrando bande criminali che in nome di un corano di fantasia sterminano popolazioni, inquinano il dibattito nei paesi occidentali, diffondono la falsa percezione di un pericolo incombente sulla civiltà globale, che viene pagato dalle comunità musulmane nel mondo occidentale.

Osama Bin Laden con Al Qaeda preparò un substrato morale per l’Isis di oggi, demonizzando l’Occidente ha creato lo spazio per un progetto politico. Che tale è l’Isis, nato come Stato islamico dell’Iraq e del Levante, ora semplicemente Stato islamico. Combatterlo significa non fermarsi alle sue manifestazioni di ignoranza e ferocia. Ai vertici vi sono personalità culturalmente formate, spesso provenienti da paesi occidentali, perfettamente edotte su come suscitare le nostre emozioni, attrezzate mediaticamente per campagne di proselitismo, finanziate, ma anche autofinanziate attraverso attività criminali, dal traffico di organi a quello della droga. Un progetto politico massimamente pericoloso, una resa dei conti sugli errori della geopolitica nel Medio Oriente.

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