Decimo cap.: i pensieri di Gattolona.

Ero felicissima perché finalmente il mio pancino, ora divenuto pancione, era stra sazio ed in verità si era anche molto allargato! Mi domandavo come sarei potuta entrare nei miei nuovi abiti aderenti della Collezione Autunno-Inverno acquistati dalle mia amica Melinda, che aveva una boutique per gatte d’alto rango. Mentre passeggiavo barcollando più che satolla per il giardino di Villa Patatona pensavo tra me e me che l’essere capitata per puro destino in questa stramba, magica ma felice famiglia era fonte di gioia e soddisfazione. Mentre facevo questi allegri pensieri, cercando un angolino dove poter schiacciare un meritato riposino, osservavo con attenzione e stupore la scena che mi si presentava davanti. Era deliziosa : Zia Speranza ricamava all’uncinetto un lenzuolo talmente lungo che arrivava fino alle cime del laghetto, Fulmine accoccolato ai suoi piedi le dava lo smalto alle unghie, cantandole una canzoncina, Tata Brunildina era fuori dalle zampe, cioè nel suo regno a cucinare, anche se il mio olfatto eccezionale mi diceva che stava strinando qualcosina. Che si fosse finalmente innamorata? Con il cuore in subbuglio e le farfalle nello stomaco avrebbe perso quella sua aria burbera e cattiva da generale? Gedeone e Amilcare giocavano a carte sotto al porticato ridendo a crepapelle, mentre sorseggiavano una bibita verde ramarro che volteggiava nell’aria, andando poi ad infilarsi con estrema precisione nelle bocche dei due amici. Più che bocche, sembravano caverne, soprattutto quella di Gedeone che senza denti era veramente ridicolo. “Roba da matti!” Pensai! “Ma che intruglio poteva mai essere quello?” Forse una medicina per restare giovani in eterno? Avrei dato un ciuffo del mio profumato e morbido pelo rosa per saperlo, ma in questa casa tutto e tutti erano dei veri misteri e, anche se lo avessi voluto domandare in modo gentile, nessuno mi avrebbe risposto. Forse solo Alicetta poteva rispondermi, buona e dolce com’era! Notai però che stava correndo felice nel prato di fronte alla scuderia di Fulmine, mentre giocava con le sue sorelle Anita ed Agnese e rideva a più non posso, con le lacrime agli occhi che scendevano sul suo bellissimo visino.”Che meraviglia!” pensai, ogni lacrima che scendeva si trasformava rapidamente in una farfalla colorata, ed in pochi minuti il cielo, che aveva il color grigio scuro del mare quando è in tempesta, si riempì di farfalle tutte diverse per forma e colore. Uno spettacolo così non l’avevo mai visto. Facevano roteare dei cerchi colorati, che altro non erano se non degli enormi lecca lecca. Ogni tanto ne mangiavano un pezzettino, litigandoselo naturalmente e un morso dopo l’altro i cerchi non c’erano più. Anzi per meglio dire, erano stampati e appiccicati alle loro guance, alle bocche, ai deliziosi vestitini che indossavano, ai loro nasi, alle orecchie: ne avevano dappertutto: sembravano i simpatici pagliacci del circo. Quasi quasi mi veniva voglia di assaggiarne un pochino, ma la mia linea ne avrebbe di certo risentito. Perciò desistetti anche dal proposito di aiutarle a pulirsi e me ne stetti buona buona con la goccia che mi cadeva da un baffo.