Sull'incontro
di venerdì 8 febbraio con il filosofo Massimo Donà e il suo libro “Filosofia
dell’errore” edito da Bompiani
Tutti sanno della straordinaria capacità che hanno gli esseri umani di produrre errori. È così, l'errore prende tutti nella sua rete, è un dominio assoluto e vastissimo che accomuna insipienti e saggi, con la differenza che il saggio progredisce e trae vantaggio dal'errore, ne diventa amico e lo tratta con rispetto, anzi lo sbaglio gli è perfino congeniale. In qualche caso è addirittura cercato con spericolate manovre intellettuali e giustificati paradossi, allo scopo altissimo di scoprire nuove relazioni tra le cose. Al contrario, per l'insipiente l'errore è fonte di un imprecisato stupore, ed è qualcosa da togliere di mezzo il più presto possibile, un inciampo inutile sulla strada che lo porta alla verità, messo naturalmente da qualcun altro nel tentativo di farlo desistere dal suo scopo (sempre futile) di giungere a una certezza assoluta, l'errore è qualcosa da dimenticare in un battere d'ali. Il risultato certo è la moltiplicazione dell'errore. Commettere errori e moltiplicarli sembra essere una condizione speciale e incontrovertibile e ripeterli ha una sua malignità che alligna nella smemoratezza e nella perversione. Per il saggio lo sbaglio è dunque un' apertura nello scenario del reale da non perdere, è l'opportunità di gettare il proprio occhio scrutatore oltre l'orizzonte basso del già visto, mettere il dito nella propria anima, se si può dire, e sapere qualcosa di più circa l'orientarsi nel mondo. Il filosofo ci insegna che ci si avvicina al vero secondo leggi dinamiche di correzione, attraverso passaggi tortuosi e periferici isolati e severi. Inciampando e sollevandosi si misurano le forze, la prudenza si affina e imprime al pensiero nuove traiettorie di guida. La coscienza indica ai perplessi nuove possibilità di esplorazione e, se il sentiero si interromperà al limite di un dirupo sarà la contemplazione del dirupo e il sentiero percorso lo scopo dell'errare. Il filosofo ci insegna che mondarsi dagli errori non è possibile.
Cerchiamo
certezze risolutive e otteniamo viluppi
tormentati di dubbi dentro ai quali si resta in attesa di risposte.
Dunque
gli errori individuali, le distrazioni, le deviazioni dalla retta via, gli
equivoci, gli errori di linguaggio, le false rappresentazioni del vero,
potrebbero considerarsi la materia del nostro conoscere, i mattoni con i quali
passo dopo passo, sbagliando, costruiamo
e de-costruiamo il nostro essere, in un'incessante bisogno di
dialettizzare il mondo?
<<…tollerava
negli altri anche l'esagerazione e l'imprecisione, purché servissero ad
afferrare qualcosa...>> ( da Atlante Occidentale, Daniele del Giudice ).
Esagerazione e imprecisione sono entrambe modalità che esondano
dall'equilibrio, sono però da considerarsi“ errori”? Potrebbero esserlo se non
afferrano nulla, ma se lo fanno tracciano una nuova via. Dunque dipende sempre
dal risultato. Le conseguenze si fanno sentire sulla procedura.
Perciò
si può deviare, certamente, tuttavia se appena si lasciano i territori della
dialettica, e si entra nel territorio della misura e del peso (il vero), allontanarsi
da un percorso lineare quando è stato tracciato e se ne è verificato la bontà,
può essere fonte non solo di inganno (sarebbe poco), ma può aver conseguenze
pratiche gravi e immediatamente quantificabili. Pensiamo a tutti gli errori di
procedura in un'attività pratica e che possono esseri commessi per i più
svariati motivi e le conseguenze sul piano di valori assodati ad esempio
economici o di salute. Ci muoviamo in un
campo minato da percorrere con molta prudenza e con il conforto di un filosofo,
Spinoza, per il quale l'errore non
esisteva in quanto sarebbe stato in contraddizione con la sua idea di Natura
come Dio. Esisteva solo l'ignoranza. Come dargli torto.
di Ivano Nanni






