La percezione della morte in Messico è molto differente rispetto a quella europea e nordamericana, in cui invece è spesso sentita come qualcosa di innominabile, da nascondere e dimenticare, insomma un tabù contemporaneo. Con molta probabilità ciò dipende dalle varie influenze culturali che si sono stratificate e fuse nel corso della storia di questo affascinante paese ed hanno caricato il Trapasso di significati complessi e di difficile decifrazione per i non messicani.
Alla base di questa complessità troviamo da una parte la concezione dei popoli preispanici, con la loro propria cosmogonia e l’inframundo, dall’altra l’innesto della cultura cattolica con il giorno dei morti – ricorrenza messicana di primo piano- e quello di ognissanti. E poi pan de muertos, calaveritas, Catrinas, Santa Muerte, Altares de muertos ed un’infinità di altre usanze e costumi…
Ma andiamo per gradi: chi sono las Catrinas e perché si vedono spuntare su manifesti e sorridere inquietantemente dalle bancarelle e dalle vetrine dei negozi di artigianato durante tutto l’anno? Sono un’invenzione novecentesca e sono entrate ormai nel costume messicano, in pratica sono un po’ l’equivalente del ventaglio per la Spagna. La Catrina fu creata dal caricaturista José Guadalupe Posada intorno al 1913 ed ha anche un corrispettivo maschile, El Catrin. All’epoca si chiamava calavera garbancera, ovvero teschio venditore di ceci ed era una rappresentazione satirica delle messicane che pur avendo sangue indigeno volevano apparire ad ogni costo europee, moda pretenziosa diffusa durante il porfiriato; per questo motivo pur essendo solo ossa indossa un cappello alla francese e le piume di struzzo. Diego Rivera riprese questo personaggio nel suo mural Sueño de una tarde dominical en la Alameda Central e gli diede il nome di Catrina per la prima volta. E’ una figura molto amata in particolare nella città di Aguascalientes, in cui esiste un monumento a lei dedicato e si celebra una fiera dei teschi nei giorni vicini al Dia de los muertos. La Catrina è stata ricreata e reinterpretata da numerosi artisti durante i suoi cento anni di vita: a volte si presenta allegra e riccamente vestita, civetta e seduttrice. Altre volte malevola e minacciosa, in procinto di scatenare la sua potenza distruttrice. Altre ancora La Catrina ed El Catrin sono insieme, ballano, passeggiano, si divertono e rappresentano il piacere e la voglia di vivere del popolo messicano nonostante la consapevolezza della morte.
Di tutt’altra cosa si tratta invece quando si parla della Santa Muerte, un culto che, secondo quanto ci racconta il libro di Fabrizio Lorusso, sembra avere una radice indigena. Sopravvissuto alla conquista ed all’evangelizzazione è riapparso prepotentemente nel 2001, quando nel quartiere Tepito a Città del Messico Doña Queta ha tirato fuori da casa sua la statua della Santa ed in poco tempo è divenuta oggetto di adorazione da parte di folle sempre più・numerose. Contrariamente a quanto ci propongono molte suggestioni televisive, la Santa non è venerata esclusivamente dai narcotrafficanti, ma protegge gli emarginati, i disperati, gli ultimi. Naturalmente senza l’assenso di orde di pentecostali, evangelici e via dicendo che invadono attualmente l’America Latina e tanto meno della Chiesa di Roma che, pur di non soccombere, gli ha scatenato contro san Judas (Giuda Taddeo). La Santa Muerte ha moltissimi appellativi: Niña Blanca, Flaquita, Hermana Blanca, Hermosa sono solo alcuni. In circa dieci anni si è trasformata da Clandestina a Santa Globale, attualmente venerata in moltissime parti del mondo ed ancora in ascesa.
Voglio infine citare la tradizione delle Calaveras Literarias: poemetti tradizionali politico-satirici promossi perfino dal Fondo de Cultura de Mexico.
Nella cultura messicana la morte è un avvenimento particolare e trascendente per il quale si conservano le tradizioni e le usanze più significative ed in nessun modo viene occultata o ignorata. Il giorno dei morti la tradizione vuole che le tombe dei propri cari vengano addobbate festosamente ed addirittura trasformate in tavole dove si consumano i cibi preparati per la festa, cosa che a molti europei farebbe orrore. In Messico la morte viene celebrata in modo unico e speciale, a tal punto che il Giorno dei Morti è diventato un Patrimonio Intangibile dell’Umanità riconosciuto dall’UNESCO.
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