Deep Purple-Child in Time
Dolce figlio del tempo Vedrai la lineaLa linea Che separa il bene dal malePallottole volanti Che riscuotono PedaggiSe sei Stato cattivo, oh Signore, lo scommetto,e se sei Stato Colpito da piombo volante Faresti bene a CHIUDERE Gli occhi, chinare la testaE Aspettare il rimbalzo del Proiettile
I Deep Purple sono uno dei gruppi fondamentali dell'hard rock, inferiori forse ai soli Led Zeppelin, rispetto ai quali probabilmente non hanno avuto uguale propensione alla sperimentazione e alla ricerca sonora. Con ciò non si creda che i Deep Purple siano stati del tutto privi di originalità; la loro miscela di fragore e melodie raffinate, abbinata a una eleganza esecutiva indubbia costituisce una novità nell'ambito del rock più ruvido. La loro musica migliore appare come estremamente semplice e fruibile, ma non banale: tuttavia una parte della critica tende a sminuirne il valore, liquidando il gruppo come fautore di dischi troppo corrivi e ordinari. In realtà, nel periodo d'oro del gruppo è evidente la volontà di aprirsi a un ventaglio di sonorità e stili molto ampia; tale qualità costituisce un valore aggiunto che distingue i Deep Purple dalle molte band che in seguito riproporranno aridamente e senza lo stesso gusto alcune loro brillanti soluzioni, contribuendo a banalizzare e impoverire la "scena" hard rock. Queste specificità sono spesso rivendicate dai componenti del gruppo, tanto che Ian Gillan in un'intervista relativamente recente dirà: "Ciò che più mi dispiace è vedere oggi il nostro nome associato esclusivamente all'ambiente metal; noi in realtà ci muovevamo in un campo senza confini precisi, la nostra musica andava dai Black Sabbath a Marc Bolan, e nel mezzo ci mettevamo di tutto."
La band si forma attorno all'organista Jon Lord ed al chitarrista Ritchie Blackmore; entrambi vengono da una formazione musicale di stampo classico e sono affascinati dal neonato pop sinfonico di Moody Blues e Vanilla Fudge, ma ancor più forte è l'attrazione per il rhythm & blues americano, condivisa con gli altri componenti: Ian Paice alla batteria, Rod Evans alla voce e Nick Simper al basso. Così i primi e acerbi dischi Shades of Deep Purple e The Book of Taliesyn cercano di conciliare queste influenze, con risultati poco più che modesti; si tratta di compilazioni di brani originali inframmezzati da alcune coverche integrano un repertorio ancora piuttosto povero. Non mancano alcune citazioni classiche (in "And the address" o "River deep, mountain high"), piuttosto forzate e comunque poco convincenti. Tuttavia i Deep Purple assaporano il primo successo commerciale grazie alla cover del brano "Hush" (di Joe South), che li pone all'attenzione del grande pubblico. Cominciano così le prime lunghe tournèe, utilissime per trovare quel suono che la band insegue e che si baserà sull'Hammond potente del baffuto Lord e sul chitarrismo raffinato e al contempo energico di Blackmore.
Il successivo disco omonimo (1969) rappresenta un netto miglioramento: brani convincenti, ben costruiti e suonati con una carica nuova. Nell'ottima "Why Didn't Roselary" compare il primo grande assolo di Blackmore, mentre Lord soddisfa la sua voglia di classicità nella barocca "Blind" e sopratutto in "April", lungo brano suonato alternativamente dal gruppo e da un orchestra sinfonica (arrangiata dallo stesso tastierista). Il tour che segue la pubblicazione di "Deep Purple" è un successo di pubblico, ma Lord e Blackmore intuiscono che per migliorare ancora bisogna ritoccare la formazione: vengono estromessi così Simper ed Evans, ed entrano rispettivamente Roger Glover e Ian Gillan. La scelta si rivela azzeccata fin dalle prime esibizione della nuova line-up, che poi resterà nota come Mark II: Glover è un bassista dallo stile sobrio, in grado di assorbire con solidità le lunghe fughe solistiche che i due leader amano proporre dal vivo, mentre Gillan è un interprete di gran talento nonché un valido frontman. Così assestata, band diventa una vera e propria "macchina da concerti", testimoniata da roventi bootleg ancora oggi di facile reperibilità. Vengono composti anche parecchi brani nuovi: il singolo "Black night" ne è un esempio; si tratta di un aggressivo hard-blues, molto accattivante, e che diventa ben presto conosciutissimo. Ma quando la band sembra lanciata ai vertici del rock duro, a sorpresa Jon Lord si getta su un suo progetto ambizioso quanto coraggioso: un concerto sinfonico per gruppo e orchestra, che si tiene nel settembre del '69 alla Royal Albert Hall di Londra. Lord si occupa della scrittura e dell'arrangiamento dell'orchestra (per l'occasione viene scomodata la Royal Philharmonic Orchestra), mentre al gruppo è lasciato poco spazio. Complessivamente il concerto è godibile e regala momenti avvincenti, anche se probabilmente alcuni arrangiamenti risultano un pò troppo ampollosi.
Messa da parte l'esperienza sinfonica, nel 1970 viene pubblicato il celeberrimo Deep Purple in rock; probabilmente il loro capolavoro, è un disco di grande energia e ricco di splendide canzoni. Il suono è volutamente grezzo e ruvido, ma il tutto è curato con notevole gusto. Il tour che segue consacra i Deep Purple a vertici della scena rock britannica.
Ma il gruppo non si adagia sul successo ottenuto, e quando nel '71 viene pubblicato Fireball, si notano subito dei tentativi di cambiamento; la ferocia del disco precedente lascia spazio alla ricerca di un suono leggermente ripulito; così accanto ai consueti brani durissimi (la title-track o "No one came"), compaiono alcuni pezzi dalle intenzioni vagamente psichedeliche ("Mule" e "Fools", con un organo à la Manzarek), nonché le divagazioni simil-contry in "Anyone's daughter".
Il tentativo di raffinamento riesce ancor meglio con Machine Head (1972): "Maybe I'm a leo" e "Lazy" riprendono con grazia i canoni del blues e mostrano un Blackmore a suo agio sia quando deve graffiare, sia quando deve ricamare assoli delicati; anche Gillan, qui alla sua miglior prova, si muove con agilità e sicurezza fra vocalizzi arditi. Non mancano anche qui gli episodi più tirati ("Highway star" e la funambolica "Pictures of home"), e il momento fortunato è confermato dall'incredibile quanto inatteso successo commerciale di "Smoke on the water" (il brano era inserito nella seconda facciata, quasi come un mero riempitivo). Si parte per una nuova tournée mondiale, che tocca anche il lontano Giappone: dalle tre date in terra d'Oriente viene tratto il celebrato Made In Japan, doppio album dal vivo che riprende il gruppo in un autentico stato di grazia, diventando in fretta uno dei dischi più popolari del rock.
Il successo travolge il gruppo e fa lievitare le pressioni e le tensioni al suo interno: in questo clima nasce Who Do We Think We Are? (1973), disco solitamente considerato minore, ma comunque molto buono e che rappresenta un ulteriore sviluppo nella ricetta musicale dei Deep Purple ("Woman from Tokio" e "Smooth dancer" i brani più noti). A ogni modo, poco dopo la fine delle registrazioni, Gillan e Glover lasciano il gruppo per lanciarsi nelle rispettive carriere soliste: specie Gillan riuscirà ad ottenere un discreto successo, pur cimentandosi in territori lontani dal rock in stile Purple (ad esempio in "Scarabus").
Blackmore e Lord non perdono tempo e sostituiscono i due defezionari con un sol colpo, chiamando nel gruppo il giovane cantante e bassista Glenn Hughes, che aveva già maturato una discreta esperienza nei Trapeze. In tal modo la formazione sarebbe di per sé già completa, ma l'entourage che circonda la band preme perché venga mantenuta la formula a 5 elementi: così entra un secondo cantante, David Coverdale.
Agli inizi del '74 esce Burn; l'intenzione è quella di tornare sulle orme di In Rock, con un suono più grezzo e un piglio più istintivo nell'esecuzione. Effettivamente "Burn" è un buon disco, con belle canzoni arricchite da un intelligente utilizzo delle due voci (potente e calda quella di Coverdale, più fresca e acuta quella di Hughes). Tuttavia qui s'interrompe la stagione di evoluzione della formula musicale dei Deep Purple, che d'ora in poi si limiteranno a ripetere all'infinito percorsi già tracciati negli anni precedenti (fa eccezione l'isolato esperimento del duetto chitarra-sinth nello strumentale "A 200"), Probabilmente Lord e Blackmore se ne accorgono, e nell'immediatamente successivo Stormbringer tentano un improvviso cambio di rotta verso sonorità funky ("You can't do it right" e "Hold on") e si cimentano in alcune ballate ("Soldier of fortune" o "Holy man"); ma si avverte una certa stanchezza compositiva, tanto che i brani più tipicamente hard-rock sono i più deludenti.
Ritchie Blackmore, insoddisfatto dai risultati di Stormbringer, abbandona il gruppo per formare i Rainbow; il gruppo sarà una sua diretta emanazione, con cui potrà ridare sfogo alla sua passione per le sonorità magniloquenti in una manciata di dischi di buon livello (dall'album d'esordio fino a "Long live rock'n'roll). I Deep Purple perdono così il loro leader principale, e molti pensano che senza lo stile inconfondibile del chitarrista, il gruppo sia destinato all'epilogo. Invece nel '75 viene rilasciato il buon Come Taste The Band, con alla chitarra il semi-sconosciuto Tommy Bolin; nonostante il cambio di formazione, il risultato non cambia in modo significativo: ormai i Deep Purple non riescono a essere che una copia di loro stessi. Ma la crisi è ormai irreversibile, e dopo il consueto tour, la band annuncia lo scioglimento. Intanto viene pubblicato un altro disco dal vivo, Made In Europe, con registrazioni dei concerti del '74 e contenente esecuzioni di alcuni fra i brani più recenti; il riferimento nel titolo al precedente disco dal vivo è piuttosto infelice, e comunque il confronto fra le due incisioni non è proponibile. Per di più Made In Europe è penalizzato da un missaggio pessimo, che sembra quasi preoccuparsi di offuscare la chitarra del fuggitivo Blackmore.
Negli anni seguenti verrà pubblicata una numerosa schiera di dischi antologici e di altri ancora registrati dal vivo, alcuni dall'utilità piuttosto dubbia.
Intanto David Coverdale fonda i Whitesnake, autori di un discreto hard-rock con forti influenze blues; per giunta nei primissimi anni 80 confluiranno nel gruppo anche Lord e Paice. Nel frattempo i Rainbow del tenebroso Blackmore hanno perso il loro slancio iniziale e si trascinano con dischi mediocri, rincorrendo il fortunato filone A.O.R.. Cominciano a farsi pressanti le voci di una reunion della cosiddetta "Mark II" (quella del periodo 1970-'73, per intenderci), ma nel '83 Gillan spiazza tutti accettando il ruolo di cantante nei Black Sabbath; tuttavia questa esperienza trova lo spazio di un disco (l'apprezzabile Born Again) e di un breve tour. Così nel 1984 i tempi sono maturi per la riunione ufficiale. Esce Perfect Strangers, un grande disco di rock legato certamente allo stile classico del gruppo, ma non nostalgico. Il suono è sufficientemente fresco e i brani molto efficaci e ben prodotti ("Knocking on your back door", la title-track e la ballata elettrica "Wasting sunsets" sono i brani migliori). Le cose nel gruppo sembrano tornate a girare nel modo giusto, e la lunga tournée che segue è entusiasmante.
Il successivo The House Of Blue Light (1987) si sposta su atmosfere più compassate e mature, ma nel complesso convince meno dell'esplosivo predecessore. Nell'anno seguente Nobody's Perfect testimonia il ritorno dal vivo del gruppo. Ma presto Gillan e Blackmore ricominciano a litigare, e il cantante abbandona nuovamente; al suo posto viene chiamato l'ex Rainbow (il che fa capire quale sia ora il "peso" del chitarrista nel gruppo) Joe Lynn Turner. Così nel '90 vede la luce Slaves And Masters, un disco decisamente mediocre e privo di mordente, che ci consegna un gruppo a disagio con le sonorità più moderne e in chiaro declino creativo. Un po' per la delusione , un po' per il cadere della ricorrenza del 25° anniversario del gruppo, si riesce a riportare "a casa" Gillan; The Battle Rages On (1993) sancisce così l'ennesima ritorno alla "Mark II", con un disco energico ma poco ispirato. Le liti interne sono ormai la norma, e dopo un altro pressoché inutile disco dal vivo (Come Hell Or High Water) c'è di nuovo un abbandono: ma stavolta a lasciare è Blackmore, che da lì a poco intraprenderà il nuovo discusso progetto denominato Blackmore's Night.
Il sostituto del tenebroso chitarrista è Steve Morse, esperto e preparatissimo musicista americano (ex Dixie Dregs e Kansas), col quale vengono pubblicati nel '96 Purpendicular e due anni più tardi Abandon, godibili ma irrimediabilmente nostalgici.
La sensazione è che questi nuovi dischi siano poco più di un pretesto per tornare in tour, dove i Deep Purple raccolgono ancora folle entusiaste. La fissazione per gli anniversari colpisce di nuovo i nostri, che riprendono il Concerto For Group And Orchestra nella ricorrenza del suo trentennale; per l'occasione vengono suonati con l'ausilio dell'orchestra anche alcuni brani presi dalle carriere solistiche dei singoli componenti, e vi partecipano alcuni vecchi compagni di avventura (Sam Brown e Ronnie James Dio).
Nel 2003 i Deep Purple tornano con il nuovo Bananas, che si ricollega alle ultime produzioni, segnalandosi soprattutto per l'assenza del vecchio leader Jon Lord, qui sostituito da Don Airey.
Si trascina così stancamente la carriera di un gruppo fondamentale dell'hard-rock, ancora insuperato dall'infinita schiera di eredi più o meno legittimi che hanno tentato di ripercorrerne le orme.
Nel 2005, Rapture Of The Deep tenta di invertire la tendenza, finendo per sorprendere per freschezza e piglio creativo. E' vero che nel ritmato orecchiabile "Girls Like That" si ripresenta quella specie di refrain anni 80 di cui Bananas era pieno, ma questo disco ha una marcia in più che va cercata e apprezzata pur limitatamente al contesto dell'album stesso. L'intro di "Money Talks", infatti, sembra riportarci indietro nel tempo insieme ai ghirigori sparsi qui e lì dell'hammond del talentuoso Don Airey, che, sorprendentemente, sembra non far rimpiangere l'ultimo John Lord.
"Wrong Man" è un brano tipicamente à-la Purple, con riff e organo a dialogare tra loro con potenza e destrezza, accompagnati da un Gillan particolarmente ispirato che torna a provare gli acuti. E' strano, poi, come lo spirito di Blackmore ancora aleggi su questo gruppo. La title track ricorda molto le scale orientaleggianti usate dal chitarrista nei Rainbow, creando un sound progressive decisamente accattivante.
I Purple sanno rallentare e "Clearly Quite Absurd" è una ballata atipica degna di un Eric Clapton più grezzo. Poi il blues cadenzato di "Don't Let Go" e il sintetizzatore di "Back To Back" spezzano leggermente la tensione del disco. Ian Paice ricorda di essere un grande batterista e il suo tribale à-la Bo Diddley apre "Kiss Tomorrow Goodbye" che ricorda molto la produzione dei tempi di "Fireball". Dopo il rock modesto di "Junkyard Blues", spetta a Gillan il compito di chiudere questo album. "Before Time Began" è una specie di suite in crescendo con una prestazione molto carica e passionale del cantante che, per un attimo, riesce quasi a fermare il tempo ormai passato.
A otto anni di distanza dall’ultimo parto discografico, ma soprattutto a diciasette dall’ultimo realmente ascoltato da qualcuno (Purpendicular, l’ennesimo nuovo start, e non era niente male), i Deep Purple tornano a registrare un disco, Now What?! (2013), con l'aiuto in regia da parte di Bob Ezrin, proprio lui, l’ingegnere dietro i successoni di Alice Cooper, Kiss, proprio lui, il signore a cui Roger Waters chiese più di un consiglio nel tentativo, poi riuscito innumerevoli volte, di scavalcare il muro più ostico di tutti i tempi. Seconda mossa: cerchiamo di fare una cosa dignitosa cosicché la dovuta dedica al compianto John Lord non appaia come una battuta di cattivo gusto.
Ecco allora serviti 11 brani, più una bonus track per i più affezionati spendaccioni, con i quali rileggere uno stile che fece proseliti ovunque, tra blues, memorie sinfoniche, ammiccamenti pop. E, con un po’ di pazienza, anche stavolta qualche cartolina potrebbe essere conservata: il singolo “Hell To Pay” è una discreta canzonaccia dotata di un certo vigore, con Gillan che riesce a non cadere nella caricatura, Paice e Glover che macinano, Steve Morse che, come al solito, non ha eguali nell’utilizzo dei cromatismi in chiave ritmica, Don Airey che offre la migliore imitazione di Lord; “Body Line” che approccia la materia Purple in chiave fusion, alla Toto modello “Rosanna”, con l’incipit di Paice travestito da Jeff Porcaro, un ritornello dal sapore Aor, tutto molto agile e fresco, nonostante i modelli di riferimento; “Above And Beyond”, dall’andatura compassata, quasi recitata, salvo le classiche impennate, con le tastiere gustosamente seventies, approdo facile ma anche piacevole; “Uncommon Man”, l’omaggio atteso al baffo che non c’è più, sette minuti di orchestrazioni prog che a metà dell’opera si rifanno al vecchio spartito di “Fanfare For The Common Man”, senza però mai apparire grossolani; anche questo può essere visto come un traguardo superato, come pure quello di aver scongiurato, per l’ennesima volta, il più volte annunciato tour nei migliori ospizi del globo.
Contributi di Mauro Vecchio ("Rapture Of The Deep"), Davide Sechi ("Now What?!)