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La trama (con parole mie): Arthur Poppington, un disadattato dalle intenzioni supereroistiche di mezza età, ha giurato di proteggere la comunità dal crimine vestendo i panni di Defendor, un giustiziere mascherato sempre pronto a raddrizzare i torti e sacrificarsi per il prossimo. Kat, una giovane prostituta con ambizioni letterarie, stringe con lui un legame che va ben oltre l'amicizia o il rapporto tra la vittima - più o meno - di un crimine ed il suo salvatore, dando inizio ad una vera e propria crociata contro l'organizzazione gestita dal poliziotto corrotto Dooney e dal criminale Radovan Kristic.I ricordi d'infanzia si mescolano alle imprese del presente portando l'eroico vigilante agli onori della cronaca, in bilico tra la condanna della legge e dell'ordine costituiti e l'amore suscitato nella gente comune: spinto proprio dal forte senso di responsabilità, Defendor sarà pronto a battersi fino alla fine per mettere fine al dominio di "Capitan Industria".
Passati - ma neppure troppo - gli eccessi del blockbusterismo da eroi in calzamaglia tutti effettoni ed esplosioni originate dalle saghe di X-Men e Spider Man, pare proprio che la produzione cinematografica dedicata ai superuomini si stia cominciando a concentrare sugli aspetti più "alternativi" del fenomeno, consegnando al pubblico protagonisti e storie molto più legate alla fallibilità di una condizione che di super ha solo le intenzioni, piuttosto che sulla spettacolarità di imprese che paiono nate per le nuove tecnologie digitali e per il 3D: così, dopo Kick ass e Scott Pilgrim lo scorso anno ed il recentemente apprezzatissimo dal sottoscritto Super, il recupero del troppo poco conosciuto Defendor è diventato quasi un dovere in casa Ford.
E ancora una volta, il risultato è stato assolutamente convincente, e pur se non perfetto il lavoro di Peter Stebbings riesce nell'intento di costruire un solido legame con lo spettatore analizzando da un lato la questione del vigilantismo - mantenendo un punto di vista razionale e, a ben guardare, legale - spingendo dall'altro l'acceleratore sull'identificazione e la partecipazione nelle imprese dell'insolito Defendor, interpretato alla grandissima da un Woody Harrelson in uno spolvero come non si vedeva da anni.
Proprio il protagonista, in bilico tra l'autismo di un Rain man e la tenerezza di un Forrest Gump, recupera il fascino dei vecchi eroi da noir anni quaranta/cinquanta - Spirit su tutti, e non parlo della sua pessima versione cinematografica - mescolandolo ad una serie di trucchi ed armamenti che, più che a Batman, paiono strizzare l'occhio al Trickster antagonista del Flash del piccolo schermo: proprio in questo folle mix di intenzioni, idee e applicazione delle stesse, Arthur/Defendor diviene lo specchio della coscienza positiva dell'audience - che, tendenzialmente, è associata alla figura della psicologa interpretata da Sandra Oh - senza di contro far perdere di vista quella che pare una sottile e nerissima critica al sistema più che altro americano - ricordiamo che la pellicola viene dai cugini canadesi - della giustizia fai da te.
La vicenda di Arthur, inoltre, diviene il simbolo di una sorta di riscossa sociale per una persona destinata a vivere nell'abbandono e nella non integrazione, smarrita nei ricordi di una madre perduta ed interprete piuttosto curiosa delle opinioni del nonno responsabile della sua crescita - curiosa ed assolutamente acuta la trovata che associa la presenza dei malvagi al nome di "Capitan Industria" -, appoggiata dagli amici - Paul e Kat - e dalla gente della strada in cerca di un simbolo - il writer vessato dai criminali - e poco digerita dal sistema, sia esso legale - il giudice, il padre di Kat - oppure no - Dooley, Radovan e i loro uomini -.
Un esperimento forse in qualche modo già visto, ma non per questo meno incisivo o interessante, sempre sul filo tra commedia grottesca e dramma umano profondo, in grado di suscitare partecipazione come un certo fastidio legato proprio alla figura del protagonista, a tutti gli effetti sfruttata appieno anche nelle sue componenti meno politicamente corrette.
La realtà più interessante è che, a fronte di questa nuova ondata di eroi/non eroi, pare evidente la curiosità di esplorare una componente clamorosamente applicabile alla realtà quotidiana del concetto di supereroe, quasi la fiducia ormai più che minata della gente per governi, politicanti ed affini porti inesorabilmente l'uomo della strada a cercare risposte - e giustizia - per proprio conto: sul finire degli anni settanta, questa scomoda sensazione di disagio sfociò in Taxi driver e Il giustiziere della notte.
Ora pare che l'indirizzo preso sia quello di fare di quello stesso anelito un simbolo, proprio come per gli ideali che gli eroi in costume della golden age portavano in tutte le case dalle pagine degli albi loro dedicati.
Il vero problema, in questo senso - ed è bravo a farlo notare molto sottilmente Stebbings -, è che di Defendor - e soprattutto di Arthur - ce ne sono pochi o nessuno, e le città in mano a personaggi di questo tipo potrebbero diventare addirittura più pericolose di quanto già non siano.
Viene quasi da pensare che ci vorrebbe V.
In modo da fare tabula rasa ai piani alti e ricominciare da capo.
Anche se, chissà, forse riusciremmo a percorrere esattamente le stesse strade commettendo ugualmente grossolani errori.
In fondo, siamo molto poco super e sempre spaventosamente uomni.
MrFord
"Oh, city streets
the stories that they tell
oh, city streets
they can be heaven, they can be hell."Carole King - "City streets" -
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