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Deficit di sistema e danno generazionale

Creato il 05 febbraio 2012 da Ifioribludizazie

La liberalizzazione del sistema universitario è un’arma a doppio taglio. Da un lato, può apparire come mezzo idoneo per creare concorrenza tra Atenei e tra laureati ma dall’altro, potrebbe codificare una discriminazione di partenza. La disparità potrebbe frapporsi non solo tra università pubbliche e private in termini di finanziamento ma anche tra curricula di studio di medesimi corsi di laurea, valutati non più secondo la qualità delle competenze maturate ma rispetto al sigillo di garanzia dell’ateneo di provenienza. L’antica filippica di Einaudi che preferiva “uomini vergini di bolli” viene riproposta a distanza di più di cinquant’anni al fine di annullare il valore legale dei titoli. Su questo punto, il governo ondeggia. Negli ultimi anni, un’eccessiva proliferazione di università senza un controllo capillare da parte dello Stato rispetto a qualità e quantità delle risorse umane impiegate, né sull’utilizzo e risultati dei finanziamenti, ha provocato un deficit diffuso del sistema. Se, in via generale, vige un principio di autonomia per ciascun Ateneo, i Rettori, devono anche garantire il puntuale rispetto delle norme generali dello Stato. Discutendo in termini di profitto, la riforma del 3+2 ha apportato un maggior vantaggio proprio alle piante organiche degli atenei che hanno visto moltiplicare i corsi di laurea e parcellizzare gli esami, così da incrementare numero di docenti e ricercatori. E’ risaputo che un esame di diritto, di fisica o di storia è, per grandi linee, uguale a Napoli, a Roma come a Milano; la differenza tra il vecchio e il nuovo ordinamento non risiede nei programmi, rimasti pressoché intatti, ma nella scorporazione di ciascun esame. Oggi gli studenti, per superarne uno afferente a una sola disciplina, devono affrontare più verifiche; in questo modo la visione della materia sarà disorganica così come ampiamente diversificati metodi di studio e valutazioni finali. Se gli universitari di oggi sono generalmente uguali al passato in termini di capacità di apprendimento, forse la decisione del frazionamento dell’esame ha rappresentato uno strumento per inserire risorse umane nelle Università e non, quindi, per alleggerirne i piani di studio. D’altronde, i laureati sia del vecchio che del nuovo ordinamento non hanno beneficiato di alcun vantaggio avendo canonicamente seguito i percorsi di studio statutari. Le eccezioni alla regola sono rappresentate da una parte cospicua di lavoratori pubblici che hanno conseguito un titolo di alta formazione grazie al superamento di soli 4-6 esami avendo potuto tramutare l’attività professionale in crediti quando ancora non vigeva un limite preciso. Limite poi imposto a un massimo di 30 crediti, intervenuto allorquando troppe pergamene erano già state sfornate con lo sconto. Chi non ha fatto in tempo a beneficiare dell’opportunità della facilitazione del titolo, invece, è stato soddisfatto da progressioni economiche interne “contrattate”. In pratica, la progressione di carriera è avvenuta seguendo un principio di anzianità scollegato, in molti casi, del titolo culturale, obbligatorio per lo scatto. E’ pur vero che vige un diritto allo studio “in ogni tempo” ma scavalcarlo “nei tempi” o “nella sostanza” a danno di un’intera generazione è una distorsione singolare che ha permesso la sedimentazione di una categoria avvantaggiata sia nei pubblici uffici che nelle gerarchie militari. Essa nasconde le proprie lacune dietro il paravento di una laurea ottenuta con un furbesco espediente e non con la dedizione allo studio. Mentre gli studenti erano nell’atto di raggiungere il titolo abilitante all’accesso per una professione, e i laureati si confrontavano faticosamente per superare concorsi pubblici, gli stipendiati progredivano nella scalata sociale, verso posizioni apicali. Discutere della dubbia e controversa spettanza di titoli e mansioni ottenuti sotto l’egida di un subdolo “scavalcamento generazionale” dovrebbe porsi come primo passo del governo per tutelare i diritti della cultura e dell’alta formazione della generazione che avanza.

Articolo pubblicatomi su Il riformista in data 01.02.2012 e presente nella rassegna stampa del CRUI


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