Da quando mi occupo di questo sito le richieste di recensione di libri, come è facile immaginare, sono abbondanti e continue. Oltre alle case editrici, piccole o grandi, con cui il rapporto è diretto e professionale, sono molti gli autori che scelgono la via dell’auto-pubblicazione e si rivolgono a me per ottenere una recensione.
Per comprensibili questioni di tempo ho dovuto stabilire dei criteri nella selezione dei testi da leggere e, non avendo la vocazione della talent scout, ho scelto di non dedicarmi, almeno per il momento, ai romanzi auto-pubblicati (quelli degli editori a pagamento sono esclusi a priori). Sono certa di perdermi molto di buono, ma è una scelta dettata da esigenze pratiche. A qualcosa nella vita si deve pur rinunciare.
Quello che in questi tre anni di vita de Leultime20 ho potuto toccare con mano è che la casistica sul tipo di approccio da parte degli autori fotografa un’umanità da manuale di sociologia.
C’è chi utilizza i social per mitragliare ogni profilo ritenuto papabile con messaggi tipo “leggi il mio capolavoro”. Uno spam aggressivo e controproducente che non genera altro che fastidio e repulsione.
Al polo opposto ci sono quelli che pur di riuscire ad essere presi in considerazione ti scrivono veri papiri, mostrando un apprezzamento così grande nei tuoi confronti da risultare stucchevolmente falso.
Ci sono anche addetti stampa che ti propongono l’invio di un testo in cambio di una recensione certa ed entro un tempo determinato. Condizioni improponibili per un freelance che fa della libertà di gestione del suo sito una prerogativa irrinunciabile.
Nel mezzo, per fortuna, ci sono le persone gentili, che con parole misurate e argomenti convincenti ti chiedono di leggere i loro scritti. Cosa che se il testo rispetta i parametri di cui sopra, cerco di fare sempre, sebbene, essendo provvista di solo due occhi e una testa (e non dubito che sul mercato ne esistano modelli migliori ma io sono stata dotata di questi), i mie tempi non siano proprio fulminei.
C’è un punto intermedio tra le buone maniere untuose di chi è in cerca di favori e la sgarbata maleducazione di chi vive credendosi un gradino più su rispetto alla massa dei non eletti. Si chiama gentilezza. Ne hanno già scritto in tanti, le hanno dedicato persino una giornata mondiale (13 novembre) e il fatto che si pubblichino trattati per elogiare questa semplice virtù la dice lunga sul pericolo d’estinzione della stessa.
Anche il dopo-recensione ha la sue vicissitudini.
Premesso che preferisco parlare dei libri che ho amato (sul sito sono davvero pochissime le mie stroncature), perché trovo più utile suggerire una lettura piacevole che denigrare un lavoro che non mi ha soddisfatto, (scelta che per gli habitué del “massacro a parole” risulta inconcepibile), è curioso vedere come gli scrittori, i social manager e gli uffici stampa della case editrici rispondano in modo completamente diverso.
Mi sono capitati casi di scrittori nemmeno troppo affermati, convinti che tutto sia loro dovuto. L’editore ti invia il loro romanzo, lo leggi, ti piace, scrivi una recensione lusinghiera, la promuovi sui social, la casa editrice ti manda i suoi ringraziamenti mentre lui, il divino autore, invece, se va bene si limita a stellinare il tuo tweet, come a dirti “Sì, ho visto, che c’è di strano? sono un genio, è normale che si parli bene della mia opera”.
Per fortuna i libri sono molto più riconoscenti dei loro autori e ti concedono di essere riletti e apprezzati infinite volte. Le persone, invece, le “sfogli” una volta e ti basta per capire che non ci sarà una seconda.
Anche nel caso dei professionisti della comunicazione, uffici stampa, digital Pr, social manager e tutte le figure responsabili della promozione di un testo tra i media, la casistica è piuttosto ampia.
C’è chi ti invia il testo e attende con pazienza una tua eventuale recensione (ricordo che non ci sono vincoli contrattuali che obbligano a scrivere del libro di questo o di quell’editore) per poi diffonderla abbondantemente attraverso i suoi social. In genere questo tipo di persona, coerente e professionale, completa il ringraziamento con una mail e stabilisce un rapporto duraturo con il giornalista o blogger. Scontato? Per nulla. Non sono pochi gli addetti ai lavori che si scordano del tutto di diffondere la recensione per cui hanno tanto insistito e, peggio ancora, dimenticano di proferire quelle cinque lettere oggigiorno così bistrattate: “Grazie”.
Basterebbe mettersi nei panni degli altri, un esercizio banale che ormai riesce a pochi e che vale in qualsiasi contesto, per capire che con gentilezza si va più lontano.
“È meglio non ricevere gratitudine piuttosto che non fare del bene” diceva Seneca e aveva ragione.
Sono convinta che parlare di libri non possa fare che bene in una società che ha i tassi di lettura tra i più bassi d’Europa, per questo chi come me, con incrollabile ottimismo, crede che migliorare sia sempre possibile, continuerà a parlarne con o senza i grazie di chi li ha scritti.
Il mio “grazie”, invece, lo dico io a chi ha la pazienza e la costanza di leggermi.
La gentilezza non è mai debolezza. È saper stare al mondo.
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