Degustando in vigna, così bello mai: Vignai da Duline

Da Iltaccuvino

Ci incontriamo a Ronco Pitotti con Federica e Lorenzo, anime salve – e salde – di Vignai da Duline. Questo vigneto è uno dei due cru aziendali (l’altro è Duline), con vigne risalenti agli anni 30, cresciute su basi di piè rupestris, e non sui più comuni portainnesti americani post-fillossera. Siamo su vigneti che da oltre 40 anni non vedono concime, né chimico né naturale, che ad ogni modo renderebbero dura la vita delle radici originali, più a loro agio in un ambiente incontaminato.

Il paesaggio è verde ed inerbito, pare fertile ma in realtà vi è solo una spanna di terra sopra un substrato di roccia vergine che costituisce questo versante di collina, intonso almeno dal 1600, come si può vedere dalle carte con i riferimenti dei vigneti. Le linee dei filari mostrano con i loro andamenti i profili delle colline, denunciando l’intervento dell’uomo ad ogni angolo netto del loro volgere. In questo vigneto, in mano a questi giovani vignaioli dal 2001, non si concima e non si diserba, e pure i trattamenti sono ben radi e misurati, come si intuisce dal candore dei vecchi pali di cemento, dove non rimane il minimo residuo di rame o zolfo.

Il Pinot grigio è  la varietà storica di Ronco Pitotti, rappresentandone il più vecchio esempio in Friuli, e le si affiancano filari di tocai giallo, chardonnay, merlot, pinot nero e refosco dal peduncolo rosso. Tra i vitigni appena elencati i più scaltri avranno notato il tocai giallo, quello che era il biotipo principale fino agli inizi del 1900, dal grappolo spargolo e acino piccolo, dalla spessa buccia. Ora il vigneto friulano vede maggioranza di tocai verde, capace di rese maggiori ma più sensibile a problemi fitosanitari a causa di una buccia più fragile e un grappolo più compatto.

Quello che colpisce passeggiando tra i filari, oltre alla bellezza incontaminata di questo luogo circondato da boschi, è la potatura delle piante, che si basa sul sylvoz, ma adattato praticamente in base alle esigenze della singola pianta, assecondandone le necessità con un lavoro di grande sensibilità agraria. Un’interpretazione che si riflette anche nel ciclo vitale, evitando di cimare le piante e ritorcendone i tralci in modo da creare riparo dove necessario. Nella pratica applicano principi steineriani (da Steiner, padre della biodinamica, ndr), ad esempio ricorrendo all’erba medica come un’arma regolatrice per i nutrienti del terreno.

Lorenzo porta un cesto in vimini con calici e bottiglie, e con Federica ci traghetta fino al punto più panoramico, dove troneggia un’opera d’arte che diventa anche il nostro desco di degustazione. Attorno a questo tavolo artistico, a cielo aperto in una giornata soleggiata del primo autunno con la bora ad asciugarci le ossa, sembra di respirare il cielo e affondare i piedi come radici nel vigneto.

Tra una considerazione e l’altra si stappa la Malvasia
Chioma Integrale 2014
, nata proprio dal concetto di vigna non cimata, e riempie i nostri calici di gioiosa luce. Piena e intensa nei profumi, di sasso, arancia, lavanda e nocciola. Invoglia al sorso e dopo il primo chiama subito il secondo. Ti avvolge sol suo bel sapore, appena metallico ferroso, da scorza di arancia, scorre dolcemente senza spigoli, con vibrante finale salino e rincorrersi di ricordi di fiore, pepe bianco e noce moscata. Viene da vigne sulle terre rosse di Duline, sulla prima collina carsica, che Lorenzo preferisce per questo vino, mentre sul flysch (terreno di Ronco Pitotti) verrebbe grassa, perdendo in finezza.

In un’atmosfera quasi indescrivibile di pace approfondiamo la conoscenza, scoprendo che Federica è insegnante alla scuola Steineriana, mentre Lorenzo viene da un passato di artista, come bassista del gruppo combat-folk degli Arbe Garbe, una carriera che per la sua natura nomade mal si conciliava con le esigenze stanziali del lavoro in campagna, e quindi presto abbandonata per dedicarsi a tempo pieno ai vigneti e alla cantina.

Dall’unione delle uve di Refosco dal peduncolo rosso dei due cru di Ronco Pitotti e Duline nasce il Morus Nigra 2013 (recente Eccellenza Guida L’Espresso), bicchiere che assaporiamo in compagnia, godendo del colore fitto ma luminoso e giovane, dai profumi dalle pennellate scure di mirtillo, viola, ciliegia nera, rosolio e arancia rossa. La bocca è da inchini, o semplicemente ci si può abbandonare a osservare l’orizzonte, godere del suo tannino puntiforme fuso in un finale asciutto che vira su note confettura di lamponi e more, cioccolato e fiori di glicine, lunghissimo e saporito. Spettacolo liquido. Per chi necessita sapere come nasce, fermenta in tini da 6 quintali, per 28 giorni a contatto con le bucce (protratti a 45 nel 2014), svolge anche la mallolattica, poi affina in piccoli fusti di rovere per un terzo nuovi, a grana fine e non tostati. Ma basta assaggiarlo, e i tecnicismi non importano più nulla.

La passeggiata di ritorno è altrettanto bella, osservando il terreno, con una vena di flysch affiorante, rocce sedimentarie multiformi e friabili, che con i loro strati alterni permettono un buon drenaggio e una discreta riserva d’acqua per le radici. Lorenzo ne preleva alcuni frammenti per mostrarci la diversità di componenti, che determinano gli apporti minerali alle sue piante. Piante di cui ammiriamo la disposizione lungo l’anfiteatro naturale della collina nei filari di chardonnay, stupendamente volti verso la vallata come in un abbraccio.

La vendemmia qui era appena terminata, qualche foglia tira già al giallo o al rosso, mentre il pomeriggio avanza e si fa ora di lasciarci, ma con la promessa di vederci presto, probabilmente al Mercato FIVI di Piacenza, a fine novembre, dove troveremo sicuramente i nostri fantastici Vignai da Duline.


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