Mi sono avvicinato a questo libro un po’ per curiosità, un po’ per un moderato sentimento di antipatia nei confronti dell’autrice.
Il libro l’ho preso in biblioteca, ovviamente, perché di una cosa ero sicuro: non sarebbe valsa la pena di tenerlo in casa (e nemmeno in cantina).
L’ho letto tutto in una sera (160 pagine, carattere tipografico medio/grande e parecchie pagine bianche) e quando l’ho finito ho provato un senso di disgusto, non tanto per la storia e chi l’ha scritta, ma per l’editore che 17 anni fa ha deciso di pubblicarlo e l’ha pure ripubblicato recentemente.
Ho lasciato passare una giornata e riconfermo la sensazione di disgusto, che non è certamente data da bigottismo, ma dalla convinzione che il valore letterario di quest’opera prima sia pari alla temperatura di un freezer.
La storia è presto detta: un gruppo di bambini, in un paese della pianura emiliana, in un’estate senza tempo, si ritrova di sera in un capannone abbandonato in mezzo alla campagna per fare i primi esperimenti sessuali. Il gruppo è composto da due bambine di dieci anni e tre bambini, uno di dieci, uno di quattordici e uno di quindici. Quest’ultimo, Mirko, è il capo del gruppo.
I primi incontri sono caratterizzati dalla curiosità e anche dal divertimento, ma più si prosegue più il gioco prende una piega devastante.
Mirko inizia a portare riviste pornografiche, sempre più dure: si passa dalle riviste pornografiche a quelle pedopornografiche, a quelle con violenze su esseri umani e su bambini. L’autrice, ovviamente, non lascia niente all’immaginazione, ma descrive minuziosamente le immagini che i bambini osservano, senza risparmiarci “deliziosi” particolari.
Mirko inoltre intrattiene ambigui rapporti con due adulti, che lo riforniscono di questo materiale pornografico, forse anche di droga e che, a conoscenza degli incontri ai quali partecipa, lo invitano a scattare qualche fotografia, per fare un po’ di soldi.
Nella storia gli adulti sono presenti, ma se ne stanno ai margini. La stessa ambientazione è lasciata abbastanza sui generis. I dialoghi sono pochissimi, a volte vengono inserite divagazioni che mi sembra abbiano poco a che vedere con la storia.
Durante l’ultimo incontro dei bambini, accade il fattaccio: spinti da una serie di fotografie particolarmente truculente, in preda a una specie di delirio collettivo o forse sotto l’effetto di qualche sostanza, Mirko improvvisamente sevizia brutalmente con il manico di una racchetta da tennis una delle due bambine (quella più “piccola” e più timida), che muore. A questo punto avvolgono il corpo, le riviste, i vestiti, ecc. in un paio di sacchi che vanno a interrare nel bel mezzo della campagna.
Fine.
Qualcuno potrebbe definirlo un romanzo anticipatore di qualcosa (commenti qui e qui), ma a me sono venute in mente le parole di un mio professore di liceo, che una volta disse: “Ricordatevi che in edicola ci stanno le riviste porno da mille lire e quelle patinate di cinquemila lire, ma sempre della stessa cosa si tratta“.
Personalmente ritengo che certi argomenti debbano essere trattati da esperti. Ho letto qualche libro sulla pedofilia e sulla psicologia infantile, pre-durante-post adolescenziale. Anche le situazioni più pesanti erano descritte con un linguaggio che non lasciava spazio alla morbosità. Non è che invece la letteratura si può permettere di tutto. Se lo fa, anche se patinata, diventa spazzatura.
Forse un giorno qualcuno chiederà conto agli editori (in questo caso Einaudi) dei motivi per i quali pubblicano certi libri…
Decisamente sconsigliato.