di Michele Marsonet. Pare che, finalmente, in Europa la tendenza a sottovalutare i rischi enormi dell’immigrazione di massa si stia invertendo. Governi, stampa e mass media in genere si sono, per così dire, risvegliati dal profondo torpore che prima li avvolgeva, e che trasformava le aggressioni in mere bravate e gli atti ostili in semplici scherzi. Caso emblematico è quello di “Repubblica”, che per mesi ha messo l’accento su un presunto allarmismo, mentre ora pubblica ogni giorno articoli – guarda caso – allarmati.
Si diffonde, in altri termini, la consapevolezza che abbiamo accolto milioni di persone che ben difficilmente s’integreranno nel tessuto sociale e civile dei Paesi in cui hanno trovato rifugio. E questo per un motivo molto semplice. Hanno una visione del mondo radicalmente diversa dalla nostra, fondata su precetti religiosi ritenuti veri senza “se” e senza “ma”, e su una concezione dei rapporti uomo-donna che dal punto di vista europeo (e occidentale) è semplicemente aberrante.
Mi preme far notare, per esempio, che in una intervista a “Repubblica” da me già citata in un precedente articolo, la scrittrice somalo-olandese Ayaan Hirsi Ali usa senza remore l’espressione “scontro di civiltà”. Proprio lei, che proviene dal mondo islamico, sostiene infatti che “oggi viviamo uno scontro di civiltà” e bisogna quindi comportarsi di conseguenza.
Ora, tutti sanno quanto sia difficile inserire tale espressione in un articolo: si rischia di non vederselo pubblicare. Fioccano le reazioni infastidite che, a volte, allignano anche in campo liberale. Eppure, a fronte di quanto sta accadendo, suona assai meno impropria di quanto appaia. Perché è un dato di fatto che società fondate sulla tolleranza e sul rispetto della diversità non possono permettere la prevalenza di chi a questi valori non crede affatto.
Altro esempio. La filosofa femminista francese Elisabeth Badinter, sul “Corriere della Sera” del 9 gennaio, nota che “la prima reazione delle autorità e dei media agli incidenti di Colonia è stata, subito, difendere l’immagine dei rifugiati e degli stranieri in generale. Non le donne”. E attacca alcune femministe americane che esaltano il velo come strumento di libertà. La Badinter si scandalizza perché “militanti per l’eguaglianza dei sessi finiscono per adottare questo punto di vista islamico secondo il quale sono le donne a essere responsabili del desiderio e degli eccessi degli uomini”.
Forse – chissà – verranno sdoganate altre espressioni proibite come “a casa nostra” e “a casa loro”, oggetto anch’esse di contumelie e fonti di accuse furibonde. Chi le utilizza è subito additato come islamofobo o, peggio ancora, razzista. Mentre, a ben guardare, denotano soltanto il rifiuto di cedere alle tendenze prevalenti in quanto contrarie al buonsenso.
E, a questo punto, mi sia concesso di manifestare a mia volta stupore per la continua, insistente (e pure stucchevole) predicazione dell’accoglienza assoluta e senza limiti da parte dei vertici della Chiesa. Mi pare, in fondo, una manifestazione di irresponsabilità nei confronti, in primo luogo, dei cittadini comuni e, poi, delle autorità politiche e civili che debbono ogni giorno affrontare i problemi reali che l’accoglienza senza limiti genera. Le prediche hanno valore soltanto se tengono conto della situazione concreta in cui ci si trova a operare.
E, tuttavia – lo dico con molto dispiacere – hanno ragione coloro che parlano di una battaglia già perduta. Era necessario pensarci prima, adottare strategie magari dolorose, ma atte a impedire il disastro. Invece le prediche e molte dichiarazioni incaute di parecchi politici europei – Merkel in testa – ci hanno condotto su una strada i cui contorni fanno adesso paura. Troppo tardi ci siamo accorti che la già debole identità europea sta correndo un rischio mortale.