Questa storia della garanzia quasi come, se non funzionasse, ce ne potessero dare un altro, è piuttosto fragile. Sono pochi i Presidenti del passato eletti alla prima votazione, a significare un'ampia convergenza. Ognuno lo è perchè alla fine c'è una maggioranza che fa quello che vuole. Infatti, l'unica garanzia che i partiti chiedono a un Capo dello Stato è che non nuoccia alla propria parte politica. Non veniamo a raccontarci favole sul Presidente che deve unire, che deve rappresentare tutti gli italiani, perchè se così fosse lo faremmo semplicemente scegliere a quegli stessi italiani che dovrebbe rappresentare, senza lasciare il compito ai partiti.
Franco Marini, candidato del centrosinistra gradito al centrodestra, rappresenta di più tutti gli italiani o rappresenta qualche interesse di parte, soprattutto di singoli individui più che di partiti? Romano Prodi, candidato a sorpresa del Partito Democratico, rappresenta tutti gli italiani o la preferenza di uno specifico partito (o, meglio, di una parte di un partito)? E allora smettiamola, per favore, con questa favola della rappresentanza universale e concentriamoci sul caso specifico. Mentre, a mia memoria, le precedenti elezioni del Capo dello Stato venivano con un governo già in carica, questa elezione serve da tramite per formarne uno. Infatti, dalla scelta del nome dipende l'accordo tra i partiti a sostegno dell'esecutivo. In ultima analisi, il nuovo Presidente, se non si trovasse accordo tra i partiti, dovrebbe semplicemente sciogliere le Camere e indire nuove elezioni. Sempre, comunque, la scelta ricadrebbe su una figura in grado di accontentare le aspettative della parte che può eleggerlo anche se, in questa occasione, la parte politica che può eleggerlo da sola non c'è. C'è un partito dal quale, pur non avendo la maggioranza assoluta, non si può prescindere, e che quindi detta i tempi, ma uno che possa accollarsi il solitario onere della sua elezione non c'è. Però il partito Democratico è sull'orlo della distruzione: Rosy Bindi si dimette, il segretario Bersani pure, il partito è spaccato. Le prospettive sono fumose.
Con le forze politiche incapaci di trovare punti di accordo, non solo è difficile vedere uno spiraglio all'elezione dell'inquilino del Colle ma anche alla formazione di un esecutivo. Nel frattempo in cui continua la ricerca di un accordo in grado di garantire governabilità e cariche, il Parlamento non è nemmeno in grado di portarsi avanti e lavorare a uno straccio di legge elettorale. La situazione è quanto mai bloccata.
In queste condizioni non dispiace l'iniziativa del M5S. La designazione di un candidato da parte degli iscritti al movimento, se non altro, mette di fronte al fatto compiuto di una scelta decisa dalla maggioranza e che quindi, in linea di principio, non accontenta nessuna corrente rispetto a un'altra. Certo, la nostra Costituzione non prevede l'elezione diretta del Capo dello Stato ma una consultazione non è certamente proibita. Milena Gabanelli è stata il frutto di questa scelta, anche se poi ha rinunciato. Ma, che accadrebbe se i candidati dei vari partiti non coincidessero?
Una possibilità, per me, sarebbe quella di scegliere, nelle varie classifiche dei candidati, quel nome che raccoglie più consensi. Questo sarebbe, probabilmente, il Presidente in grado di unire e rappresentare più italiani possibile. E, soprattutto, non rappresenterebbe un accordo sottobanco funzionale all'interesse di pochi. Sarebbe, pur con tutti i limiti, un Presidente di garanzia. Lasciamo che a decidere il nuovo Presidente della Repubblica, in questo frangente così confuso, siano i cittadini e concentriamoci su una legge elettorale che garantisca a qualcuno di governare la nuova epoca politica del tripolarismo.
In alternativa, la smettessero i partiti di invocare la figura di garanzia e parlassero chiaro. Come per qualsiasi altra carica, uno non vale uno e i Presidenti con la garanzia inclusa non ci sono. Ogni garanzia è funzionale alla parte che lo elegge, con buona pace del diritto di recesso.
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