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Del nuovo header e di un po' di telefilm: Reign, Flowers in the Attic (e Petals on the Wind), Mom, The Crazy Ones
Creato il 05 giugno 2014 da Mik_94Reign
I Stagione
Io ho un odio inconscio, e mica tanto inconscio, per la storia. Raramente leggo romanzi storici, raramente guardo film storici, e mai sono alle prese con serie TV in costume che non siano i bikini di Baywatch. Reign, eppure, l'ho visto. Reign che è tutto, fuorché una fiction storica. Un teen dramma leggero, divertente, pieno di licenze pseudo-poetiche, all'epoca di Elisabetta I e alla corte di Francia. C'è il marchio The CW. Ciò significa che sono tutti belli come dei, ricchi, famosi e che il trash galoppante è nascosto, tra riccioli perfetti, sottane d'alta sartoria, maschere di madreperla. Nel regno in cui si balla sulle note dei Bastille, le voci narranti vanno a ritmo dei The Lumineers, l'antichità incontra la novità come in Il destino di un cavaliere. Reign ha una delle sigle più belle messe a punto di recente, cattura anche chi è allergico agli intrighi dinastici, è una parata di sfarzo ed eleganza, con vari sprazzi di mistero. Ha creato fandom dai cui, ovviamente, mi tengo a distanza di sicurezza; fanfiction sui triangoli amorosi; team contrapposti. Un po' alla Twilight, insomma. Il segreto sta nella leggerezza del tutto – anche se non nascondo di essermi annoiato, verso la fine di questa prima stagione: troppi episodi, troppe pause, troppi tempi morti – e in una parata di bellezze. I protagonisti sono Mary Stuart – ché detto in english fa più figo - , fanciulla che tutti vogliono (uccidere, sedurre, sposare) e il Delfino di Francia, Francis. Promessi sposi per motivi politici e per volere dei loro rispettivi Paesi, si vedono e si piacciono. E ti credo. Probabilmente, la vera Mary aveva la barba, ma in questo serial è la bellissima Adelaide Kane: ventiquattro anni, una cascata di capelli scuri, fisico da modella, un accento inglese che fa sciogliere. Anche se il vero Francis, dai dipinti trovati su Google, non era ai livelli di bruttezza di Enrico VIII – che nei Tudors, eppure, era il non proprio brutto Jonathan Rhys Meyers - , di certo non era Toby Regbo: sensibile, efebico, biondissimo. Principe Azzurro in incognito. I due sono alla moda, affiatati e pure bravini. Il terzo incomodo è il figlio bastardo di quell'erotomane pervertito di re Henry II: Sebastian. A far girare la testa ai reali, anche le amiche della futura erede al trono: sveglie, scaltre, con le idee chiarissime. Il loro scopo nella vita è stupire con continui cambi d'abito e accasarsi. A dominare incontrastata, mentre il sovrano fa la bella vita e i figli diventano rivali in amore, la regina Catherine: una carismatica, letale, affascinante Megan Follows. Realizzato discretamente, simpatico, originale, Reign riporta in vita il personaggio di Nostradamus e le paure del paganesimo. Ha una bella colonna sonora, immagini da rivista patinata, costumi regali firmati da Alexander McQueen. Anch'io che sto alle passerelle come Maurizio Costanzo sta agli scaldacollo, ne riconosco l'eleganza. Il telefilm è elegante, ma senza classe. E' malizioso, ma senza volgarità. E' piuttosto coinvolgente, ma senza impegnarsi. A lungo andare, temo che la perenne aria da soap opera potrebbe ucciderlo, però. Si vedrà. (6)
Flowers in the Attic & Petals on the Wind (TV Movies)
Flowers in the attic. Remake dell'omonimo film del 1980 e, soprattutto, trasposizione di un romanzo della dimenticata Virginia C. Andrews: una signora autrice che sua maestà Stephen King ha inserito nella lista degli scrittori che più l'hanno ispirato. Prodotto destinato alla TV, sul puritano Lifetime, si rivela interessantissimo, per le tematiche, la psicologia dei personaggi, la morbosa crudeltà di fondo. Non perfetto, ma macabro, cattivo, freudiano. Mi ha ricordato An American Crime, a tratti. La storia di quattro bellissimi fratelli imprigionati nella soffitta della nonna, come fiori senza sole. La madre che li abbandona, in cerca dell'ennesimo matrimonio di convenienza; la nonna che li punisce con barbari metodi; il mondo che ignora la loro prigionia, mentre il resto della casa si scopre un covo di segreti, lussuria proibita, omicidio impunito. Sono sbagliati i rapporti che nascondo tra quelle mura, ma comprensibili. Hanno un perché che capisci. Cathy e Cristopher, i fratelli maggiori, si scoprono attratti tra loro: fioriscono insieme, sbocciano insieme, scoprono insieme la sessualità e l'amore. Non hanno contatti con l'esterno. Hanno due bambini piccoli da accudire e proteggere, come se fossero figli e loro genitori. Il giocare alla famiglia felice, il mentirsi a vicenda per sentirsi meglio, il ritrovarsi cresciuti e adulti all'improvviso, accende una scintilla nera che, anche se contro natura, ha un senso. L'ho visto, a gennaio, pensando di trovarmi davanti a una pellicola autoconclusiva. A un horror psicologico distrubante e crudele. Validissimo nella sua semplice crudezza, coinvolgente per il suo romanticismo perverso - con una futile, fragile, odiosa Heather Graham e una mostruosa Ellen Burstyn. Poi, quattro mesi dopo, il seguito. Arrivato puntualmente, ma non richiesto. Ambientato dieci anni dopo, vede i protagonisti cresciuti e finalmente liberti. Dalla soffitta, ma non dal passato. Modesto come il primo, ma non altrettanto accattivante: nemmeno lontanamente. Cambiano gli attori e i due bellocci chiamati ad interpretare gli ormai grandi Cathy e Cristopher sono biondi, angelici, aitanti, ma pessimi. Dei mezzi cani. Lui vuole fare il dottore, lei la ballerina. Si dividono, tentano di andare avanti, rinnegando il dramma dell'incesto; il passato. Hanno relazioni fallimentari, si allontanano e si riavvicinano, tornano al punto di partenza. Quella che dovrebbe essere la loro atroce vendetta nei confronti di una mamma cattiva si rivela un bislacco polpettone, inverisimile e paradossale. E io amo il trash, ma Petals on the Wind mi ha messo a dura prova. So che il “troppo” è stato eliminato senza rimpianti: immaginate, allora, cosa debba significare sorbirsi un intreccio simile per intero! La cronaca di un Beautiful nella Casa del Diavolo. Il primo era oro. Questo seconda capitolo, si salva giusto alla fine, quando scendono in campo la Graham e la nostra nonnina preferita. Hanno un carisma innagabile; stessa cosa non si può dire del resto del cast, coinvolto in una o due scene erotiche da bollino verde che, montate in maniera rozza e arrangiata, hanno la stessa sensualità dell'accoppiamento tra triceratopi allo stato brado. Tanto Flowers in the Attic era teso e intenso, tanto Petals on the Wind è comico. Nel primo caso, ho partecipato con trasporto alle vicende. Nel secondo, non ho creduto nemmeno per un attimo a quello che stavo guardando. Diverte per sbaglio. Più inquietante Banderas che parla con la gallina Rosita: sì. Da oggi all'uscita del sequel – perchè i volumi della Andrews sono ben cinque – ne passerà di tempo. Magari mi passerà il fastidio, e magari i giovani protagonisti andranno a scuola di recitazione. (7) (4,5)
Mom
I Stagione
Partiamo dal presupposto che io e Anna Faris ci becchiamo sempre con piacere. Come Emma Stone, lei ha un viso e una mimica che scatenano le risate più fragorose nel sottoscritto. L'ho vista in Scary Movie, La coniglietta di casa, in (S)ex List. Film non proprio grandi, che avevo saputo, però, sottolineare il suo lampante talento comico. Non mi sarei perso una sit-com tutta sua nemmeno per sogno. Mom mi ha creato dilemmi. Odiavo le risate registrate del format (e le odiavo profondamente!), ma adoravo lei. Che fare? L'ho visto tutto, Mom, e dopo un po' alle irritanti risate in studio non ci ho fatto più caso. Gli straordinari tempi comici di lei sottolineavano quello che c'era da sottolineare, facevano sorridere nei momenti giusti. Quasi sempre, cioè. Spesso volgarotto, spesso cinico, racconta la storia di una ex Juno, nonché mamma di una futuro Juno. Figlia, a sua volta, dell'antenata diretta di Teen Mom. A trent'anni, la Faris – madre di due figli avuti da padri diversi – si trova alle prese con una nuova maternità: quella della figlia sedicenne. La storia si ripete. E le famiglie sono fatte per sostenersi. Si sentono nel momento del bisogno. La famiglia del personaggio di Anna è Bonnie, sua madre: la mamma, tipo, peggiore della terra. Una neo-cinquantenne destinata, in nove mesi, a diventare bisnonna, con un curriculum di tutto rispetto: carcere, strip club, droga, alcolisti anonimi. Un imprevisto testa a testa tra la Faris e la collega, una spumeggiante Allison Janney: chi sia più disastrosa, materna e avventata non saprei dirlo. Un finale di stagione non banale. Un ultimo episodio arrivato in ritardissimo, tra pause, festività, appuntamenti rimandati. Mom, tra le sit-com seguite dal sottoscritto, è una delle più carine. Nonché una delle poche non destinate alla cancellazione. Era destino, immagino. (6,5)
The Crazy Ones
I (e ultima) Stagione
Avventure e disavventure di una banda di pazzi pubblicitari newyorkesi: boss poco malefici, stagisti, impiegati, clienti, passanti occasionali, omini delle consegne. The Crazy Ones non è piaciuto. Ha avuto scarso seguito. E' una sit-com il cui destino si è giocato in una stagione soltanto. Un po' mi dispiace, sapete? Non imperdibile, ma divertente. Di ottima compagnia. Da vedere quando ti va, senza impegno. Soprattutto per il cast: affiatatissimo, nuovo, variegato. Un istrionico e camaleontico Robin Williams, una Sarah Michelle Geller che è sempre piacevole rincontrare in giro, tanti cameo di piccole star. Sorpresa autentica, i più giovani della serie. Li ho adorati. Tre personaggi ben scritti, esilaranti, scemi fino al midollo. L'allampanato e capelluto nerd Hamish Linklater e i belli Amanda Setton (Gossip Girl) e James Wolk. Rivederli all'opera con altro mi farebbe tanto piacere. E anche rivedere, magari, una New York racchiusa tra le stesse vetrate; dipinta con gli stessi colori, ravvivata dagli stessi toni da barzelletta al bar. Carino, ma evidentemente non abbastanza. (5,5)
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