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Del perché bisognerebbe forse trasferirsi in inghilterra (su libri, librai e una nuova rubrica genovese)
Creato il 18 marzo 2012 da AaIl dottor Jekyll e Mr. Heidegger Milano, febbraio 2012. Il giovanotto si avvicina al punto informazione al quarto piano della grande, enorme, sterminata, inquietante libreria del centro. Il giovane tira fuori di tasca un foglietto stropicciato e domanda: “Avete Il dottor Jekyll e Mr. Heidegger di Stevenson?”. Sul volto del commesso, dietro il computer, non si muove un muscolo. Impassibile, faccia da poker, mitraglia sulla tastiera poche esperte battute. Qualche secondo di attesa e arriva la sentenza: “Di Stevenson abbiamo solo Il dottor Jekyll e Mr. Hyde, va bene lo stesso?”. Il giovanotto, dopo alcuni momenti di sgomento, decide che può farselo andare bene lo stesso. Il dottor Jekyll, il signor Hyde, il professor Heidegger e Robert Louis Stevenson di danno un cinque, euforici. Approfittare di una scenetta di ordinaria e divertente ignoranza per trarne segnali di decadenza inesorabile e rimpiangere chissà quali bei tempi andati sarebbe ingiusto. Gli stupidari da libreria di ogni tempo traboccano di perle irresistibili e nessuno può sensatamente avere nostalgia dei “librai di una volta”, quelli che leggevano tutti i libri, conoscevano a memoria i cataloghi di tutti gli editori, consigliavano il libro giusto al cliente giusto e spesso lo molestavano con la loro invadente presupponenza. Le librerie nostrane di oggi, sommerse dallo tsunami di di 61mila titoli nuovi ogni 365 giorni (fanno più di 167 al dì), prodotti da 3000 case editrici, sotto l’incubo di babau immateriali ma potentissimi come Google e Amazon e i loro diabolici algoritmi capaci di interpretare e prevedere i gusti di ognuno, destabilizzate dal fascino discreto ma insinuante degli ebook, strapazzate da leggi su sconti e campagne promozionali che premiano grande distribuzione e vendite online, appiattite sulle politiche commerciali imposte dalle case editrici e, soprattutto, fiaccate dalla cocciuta resistenza degli italiani a leggere alcunché, vivono anni di disorientamento. Di crisi di identità profonda. La loro fatica e le loro paure meritano rispetto e comprensione e non prese in giro a buon mercato. Ma forse anche qualche riflessione. Come quelle che James Daunt, libraio londinese – la Daunt Books di Marylebone High Street è una libreria che ti apre il cuore e ti persuade che le librerie fisiche abbiano un futuro luminoso davanti a sé – ha espresso poche settimane fa a margine del seminario di perfezionamento della Scuola per Librai Umberto e Elisabetta Mauri di Venezia. “La chiave di volta per il successo di ogni libreria, indipendente o di catena, è uno staff credibile, autorevole, disponibile”, ha detto. “Chi lavora da noi alla Daunt Books è un professionista competente, colto e ben retribuito. In troppe librerie invece i commessi si limitano a controllare sul computer se il libro richiesto è in negozio e non sono in grado di instaurare un rapporto diretto, empatico, con il cliente”. E magari non distinguono Mr. Hyde da Herr Heidegger.
Qualche tempo fa, per una rubrica sulla rivista di settore "Bookshop", scrissi – qui e qui – di Nic Bottomley, un libraio di Bath che esprimeva criteri simili a quelli di James Daunt per la conduzione della propria libreria. Dio salvi la regina.* Scusate, o voi del "Secolo XIX", per questa selvaggia ma necessaria knowledge dissemination.
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