OSSERVANTE –> Norme Artificiali, Dogmi Religiosi, Illusioni Mistiche
OSSERVATORE –> Mutamenti Reali, Fenomeni Naturali, Principi energetico-Spirituali
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Come creare una Dottrina?
Semplice: ci si crea un bel labirinto lastricato di tabù (fai questo, non fare quello, perché l’ha ordinato l’Altissimo o suo Figlio) e poi ci si inventa la Via d’Uscita – testimoniata naturalmente da profeti, miracoli e rivelazioni incontestabili.
Di seguito alcuni estratti dal libro GLI OSSERVANTI (Fenomenologia delle norme) di Franco Cordero: [in PDF -> http://www.scribd.com/doc/115808182/DEL-PERCHE-I-RACCONTI-BIBLICI-VANGELI-e-altri-MONO-POLITEISMI-SONO-DEI-CULTI-INFANTILI-E-PRIMITIVI]
… L’osservante, finché vive soggiace almeno a una norma, anche se di fatto sono molte e potrebbe anche darsi che si moltiplicassero diabolicamente sino a spegnere la vita che regolano; così il tessitore può decidere di rompere la trama di alcuni dogmi, per poi affrettarsi a ritessere nuove norme spiritual-morali. Questi tessitori divini , sono esperti nel far roteare parole profetiche senza significato, ma abbastanza suggestive da riuscir ad orientare delle mandrie intere di pecorelle smarrite.
In Isaia (1, 18-20) :
“Se mi vorrete e mi ubbidirete, vi mangerete i frutti migliori della terra.
Se non vorrete e mi irriterrete, sarete pascolo della spada.”
Gerarchia, sacerdozio, sacramenti e l’oggettività della grazia risolvono l’ecclesia in un’istituzione, la cui propensione manovriera trova una contropartita nella positività del depositum fidei. Primo effetto sul piano dottrinale, il controllo sull’interpretazione del testo sacro: interpretato evolutivamente, secondo le esigenze di questo o quel caso, ma il criterio esegetico sta nelle mani della gerarchia. L’apparato garantisce la massima disciplina; la pratica della discussione lo disintegrerebbe e da qui nasce un’azione preventiva, assidua e sottile. Rimedi sacramentali come la penitenza, la repressione delle eresie, interdetti e scomuniche, il governo ecclesiastico delle anime assicurano la compactio membrorum.
Nella chiesa, quale che sia, tiene in gran conto la sottomissione. Il vertice della perfezione individuale sta nel saper ubbidire contro la logica, il sentimento e gli stessi canoni della fede: obbedienza tanto più meritoria quanto meno comprensibili sono le ragioni del comando. Quando vi si comincia a riflettere, l’istituzione è ormai prossima a perire; il suo fondamento sta nell’autorità e si intende tale ” l’accidente dal quale si è supposto che proceda qualcosa di necessario”, ovverosia la pietra su cui si è creduto che si fondassero la coscienza di una verità eterna.
Il Postulato di una presenza invisibile, attuata per gradi in una trama di astuzie della ragione, favorisce la tendenza a distinguere i fatti in gerarchie qualitative: alcuni privilegiati sugli altri, poiché esistono altrettante teofanie…
… Altro un fatto e altra la sua valutazione, ma tutto sta nell’intendersi sul significato della parola ” legge”, “precetto divino” e così via: quello in cui costoro la intendono è il più lontano dal comune; provate a dirlo e vi attirerete risposte rabbiose. Alcuni non capiscono i termini della questione, come un primitivo cresciuto nel mondo delle partecipazioni mistiche al quale si tenti di spiegare la natura di un certo fenomeno; … ma certi li hanno capiti e sanno che ” legge” designa un certo atto e non un atto “più” un’ entità invisibile, presente in quanto l’atto sia (misteriosamente) giusto.
I confronti sono fuori luogo, dati i termini eterogenei, ma se dovessimo farne uno, [usando i loro criteri], bisognerebbe dire che un titolo di superiorità della fede sull’intelletto sta nell’autosufficienza. Il sentimento fideistico dell’osservante basta se stesso , e comunque è intrinsecamente legato (quindi affine) alle sublimi Verità (Neo o Vetero Testamentarie), mentre il misero intelletto umano (che nulla può in confronto alla grandezza – ed evidenza- di tali Verità Rivelate) è un semplice organo utile solo nel distinguere e combinare i dati dell’esperienza.
Inutile discutere oltre: l’osservante ha ragione per principio, anzi per fede. [Sottintendendo che la sua - a differenza delle altre - sia l'autentica Fede]
Qualcuno parla ancora degli assiomi come di verità “ di per se stesse”, alludendo a una certezza privilegiata. Ma a considerarli meno superstiziosamente, si scopre che sono analiticamente veri ossia veri poiché tautologici, in quanto riformulano una frase secondo criteri stabiliti preventivamente (ad esempio, incondizionatamente vero che il tutto sia maggiore delle singole parti, in quanto abbiamo definito in un certo modo le parole “tutto e parte”); oppure consistono in proposizioni non tautologiche, non verificate e forse nemmeno verificabili, postulati non perché sembrino vere ma perché la tal dottrina abbia convenuto scegliere quelle piuttosto che altre… In altre parole consistono in precetti immaginari (che per un fedele è sinonimo di divini…)
Parlano di ” strutture ontologiche”, mondo di valori e altre simili cose; deplorano il procedere discorsivo per concetti logici: quello che auspicano non è tanto un pensiero senza storture intellettualistiche quanto un modo di parlare libero dalle costrizioni del pensiero.
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Ecco la conclusione a cui conduce la premessa di un osservante, sviluppata al filo di logica in accordo all’onnipotenza divina:
Dio non fa niente d’ingiusto, essendo la sua volontà regola suprema di ogni giustizia; in quanto archetipo della perfezione, è anche misura di tutte le leggi… [incredibile serie di tautologie, evidenti per tutti tranne che per l'osservante che oggi, come 3000 anni fa, sembra proprio non accorgersene ... - altrimenti che fideistico osservante sarebbe ?]
Del resto, continua l’irreprensibile osservante, non siamo giudici idonei né competenti a pronunciarci in questa materia secondo la nostra ragione. Se osiamo più di quanto ci sia consentito, incorriamo nella terribile minaccia del salmo: ogni qualvolta sarà giudicato dai mortali, Dio uscirà vittorioso.
In parole semplici e lasciando da parte gli eufemismi, il Signore è giusto perché Strapotente.
… Lo stesso Lutero, sbigottito di fronte ad un mare di contraddizioni degli stessi teologi, commenta così la situazione: “Una volta si insegnava che Dio fosse incomprensibile e indefinibile ma ormai niente è più inintelligibile e ineffabile dei nostri teologi.” (Luthers Randbemerkungen zu den Sentenzen des Petrus Lombardus, 1, 23)
Si diceva anche che ” qualunque cosa cercata oltre quel limite, riesca incomprensibile”, ma ora i seguaci di questa o quella dottrina ” cercano e capiscono”.
Altri liquidano il tutto concludendo semplicemente che l’esperienza della legge divina ha momenti intellettualmente intraducibili: … In altre parole è un tabù !
Esiste forse miglior dissimulazione intelletualistica di questo arguto espediente per adescare nuovi osservanti e glorificare la grandezza del proprio gruppo di appartenenza ?
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… La dissacrazione di alcune dottrine, ad essere sinceri, non è costata molta fatica; bastava esplorare il significato di una parola o controllare la sintassi di una frase, perché interi continenti metafisici finissero inghiottiti. Dal punto di vista affettivo era indubbiamente un’epoca più ricca quella in cui si credeva che da pseudo-premesse profetiche e da verità rivelate si potesse scalare a gerarchia delle essenze e sino a Dio.
Pagani o cristiani, questi ” misteri” , per quanto cerchiamo di renderli ” morali”, contengono un fondo di magia, senza la quale non sarebbero ciò che sono. Sopravviverebbero per un po’, come simboli, per poi cadere in disuso. Visibilmente pratica e non speculativa, la ragione del successo di simili strumenti di salvezza, e anzi le ragioni sono due: la loro sperimentata utilità come rimedi consolatori e terapeutici di sofferenze psichiche, se non di mali metafisici, e, particolare da non trascurare, l’immenso potere che garantiscono a chi li detiene il suo ministro in esclusiva. “EXTRA ECCLESIAM NULLA SALUS” (Fuori dalla Chiesa nessuno si salva)
L’espediente più usato consiste nel ” moltiplicare i passaggi intermedi, nell’illusione di abbreviare le distanze ” . E’ quel che coscienziosamente ogni dottore della Controriforma si è sforzato di fare, escogitando sempre nuovi e più numerosi tipi di ” grazie, fedi, meriti”, e perfino di scienze divine.
… Poi l’apparato prolifera senza trovare altro limite fuorché l’estro dei legislatori e la docilità dei sudditi: esempi ragguardevoli sono le indulgenze, delle quali i teologi parlano con naturalezza come di ” merce santa” o ” sacro negozio”. Il domenicanoTetzel, specialista in questo genere di affari celesti, giudice inquisitore e banditore della campagna di indulgenze indetta a Magonza nel 1517, suole dire che, nell’istante in cui il denaro tintinna sul fondo della cassa, un’anima se ne vola dal purgatorio. A parte gli aspetti scandalosi, dalle premesse sulla potenza divina in forma ordinaria viene fuori un complesso intreccio di rapporti giuridici con l’onnipotente: in primo luogo, il sacramento della penitenza… La risposta, efficacentissima come misura preventiva di disordini, è che la grazia a volte può trovare espressione nelle opere.
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Nella chiesa si nasce a differenza della setta, nella quale si entra con un atto consapevole di adesione (il divario tra i due regimi trova un esempio nel battesimo degli infanti e in quello degli adulti), e qui sorge un problema di pedagogia risolto secondo i rispettivi archetipi: se la setta è una comunità di eletti, la Chiesa, mossa dalla sua vocazione di dominatrice universale, ha optato per la massa. Impartisce un’educazione capillare ma senza attribuire molta importanza al fatto che il singolo sia raggiunto e toccato in interiore homine. Pensieri e sentimenti la interessano non tanto per quello che sono quanto per l’eventuale seme di una possibile disobbedienza, nello scoprire il quale i suoi custodi sviluppano un talento da impareggiabili cacciatori di prede. L’apparato educativo mira a modellare sudditi docili più che a suscitare la risonanza interiore della parola contenuta nel testo sacro; e anzi simili risonanze attirano sguardi diffidenti perché sfuggono al controllo e non si sa dove portano. Vengono guardati con sospetto anche la spontaneità ispirata, i toni profondi di vita emotiva, perché rivelano un’instabilità pericolosa: meglio un incredulo docile del credente divorato dagli impulsi di una fede più forte dell’obbedienza.
Le reazioni emotive più interessanti, dal nostro punto di vista, sono irrilevanti nella chiesa. In primo luogo, dispensatrice di salute. Di qui la fiducia che infonde ai suoi membri e la paura di esserne espulsi. Vi stanno come il feto nel grembo materno, e infatti il leader della generazione sessuale costituisce il motivo dominante nei suoi simboli: “Uterus Ecclesiae” o sposa di Cristo; Sant’Agostino dice: Deum patrem et ejus ecclesiam matrem habere.
La gamma del piacevole va dal sentirsi protetti e integrati nella compaction membrorum a una dolce irresponsabilità. La Grande Madre risparmia ai figli l’angoscia di pensare e decidere. Vi genera e con l’unzione sacramentale che predispone amorosamente all’ultimo viaggio. Ci assolve dai peccati, purché si mortifichino confessandoli… Niente di più abominevole del disubbidire. Il dissenso come eresia, ossia peccato capitale, la cui repressione colpisce la pretesa inaudita di avere un pensiero fuori dal coro, un contagio da stroncare immediatamente. Così esordisce il dispositivo della condanna di Galileo:
“” … Diciamo, pronuntiamo, sententiamo e dichiariamo che tu, Galileo sudetto, per le cose dedotte in processo e da te confessate come sopra, ti sei reso a questo S. Off.o vehementemente sospetto d’heresia, cioè d’haver tenuto e creduto dottrina falsa e contraria alle Sacre e divine Scritture, ch’il sole sia centro della terra e che non si muova da oriente ad occidente, e che la terra si muova e non sia centro del mondo, e che si possa tener e difendere per probabile un’opinione dopo esser stata dichiarata e diffinita per contraria alla Sacra Scrittura; e conseguentemente sei incorso in tutte le censure e pene dai sacri canoni et altre constitutioni generali e particolari contro simili delinquenti imposte e promulgate. Dalle quali siamo contenti sii assoluto, pur che prima, con cuor sincero e fede non finta, avanti di noi abiuri, maledichi e detesti li sudetti errori et heresie et qualunque altro errore et heresia contraria alla Cattolica ed Apostolica Chiesa, nel modo e forma che da noi ti sarà data. Et acciocché questo tuo grave e pernicioso errore e transgressione non resti del tutto impunito, et sii più cauto nell’avvenire et essempio all’altri che si astenghino da simili delitti, ordiniamo che per pubblico editto sia prohibito il libro de’ Dialoghi di Galileo Galilei. Ti condaniamo al carcere formale in questo S.° Off.° ad arbitrio nostro; e per penitenze salutari t’imponiamo che per tre anni a venire dichi una volta la settimana li sette Salmi penitentiali: riservando a noi facoltà di moderare, mutare, o levar in tutto o parte le sodette pene e penitenze. Et così diciamo, pronuntiamo, sententiamo, dichiariamo, ordiniamo e reservamo in questo et in ogni altro meglior modo e forma che di ragione potevo e dovemo.”"
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Tono sinistro, che lascia presagire poco di buono, ma, quando il dissenziente è atterrito, lo trattano come un figlio… Così, di fronte al perdono immeritato, il penitente si scioglie in lacrime. (Sola condizione del perdono che il peccatore si mortifichi pubblicamente).
Strumento poliziesco necessario, la delazione è praticata in lungo e in largo nella versione mondana e in quella soprannaturale dell’ecclesia. Ha un valore educativo. Saggia la misura in cui il suddito ha rinunciato alla morale privata. I delatori sono figli docili e sappiamo quanto sia apprezzata la docilità che, del resto, si ottiene a buon mercato. La prospettiva di finire fuori della Chiesa, dove non c’è salvezza, suscita lo sgomento e predispone all’ubbidienza. Soltanto li possiamo vivere in stato di grazia. “Estromesso dalla Chiesa e scisso dalla solidarietà dei suoi membri e dal vincolo della carità, saresti punito col supplizio eterno anche se affrontassi il rogo per il nome di Cristo”. La soggezione alla gerarchia conta più della fede, delle opere individuali e persino del martirio.
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[... La visione della crudeltà di Dio nei confronti delle creature, da riuscire insopportabile, per quanto spiacevole, è uno spettacolo a cui il fedele deve abituarsi, si vuole rispettare le regole del gioco.]
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La natura contagiosa del peccato e l’identificazione della specie in un individuo sono tipici atteggiamenti di pensiero primitivo.
I precedenti biblici abbondano. Jahvé indurisce il cuore del faraone e proclama che avrà misericordia di chi vorrà e sarà clemente con chi gli piacerà (Es. 33, 19). Ispira propositi rovinosi a Seon, affinché il suo popolo perisca. Non tratta più teneramente i figli di Eli, sui quali gli ammonimenti paterni non esercitano alcun effetto. Alcuni benedisse ed esaltò, ed altri maledisse e umiliò (Eccl. 33, 12)
… Ma tra gli esegeti, a cominciare da Sant’Agostino, prevale la tendenza a sorvolare su questi passi o a interpretarli in claris, alterandone il senso.
Costruendo parole come giustizia, sapienza, verità rivelata, e simili, gettiamo le premesse di un pensiero metafisico difficilmente controllabile: ci sono voluti i paradossi di Russell per incrinare la fiducia negli universali.
Di qui i giochi rischiosi e ingenui dei cercatori di etimologie, che sottintendono la corrispondenza di parole e cose.
Le parole sono una nostra creazione (in parte inconsapevole) ma spesso ci sfuggono di mano e formano strutture sovrapposte.
Ecco una summa di luoghi comuni millenari:
- Vi sono, in qualche luogo metafisico, delle verità oggettive
- l’intelletto è l’organo che le intuisce
- La relativa conoscenza è infallibile
- il metodo discorsivo o razionale, in contrapposizione a quello intellettuale, inferisce un enunciato dall’altro
- il discorso procede da principi primi naturalmente conosciuti e perciò veri, perché rivelati dall’intelletto, ma pur muovendo da queste certezze primitive, è infallibile, in quanto mediato dalle operazioni del comporre e dividere.
Una simile dottrina (l’immagine delle essenze immediatamente intuibili domina a lungo, tant’è che ancora oggi si professa) corrisponde al bisogno di sentirsi importanti, protetti e orientati provvidenzialmente. Nessun orientamento migliore di un lume innato e, quanto a sicurezza, ce n’è una superiore a quella garantita dalle essenze intelligibili coeterne a Dio?
Senza contare l’invidiabile rango che così ci assicuriamo nella gerarchia delle creature. Quando intus-legimus (leggiamo dentro) e apprendiamo le ” verità superiori”, siamo sul piano degli angeli. Sollevare dubbi in proposito è cinismo distruttivo e impopolare come negare che la terra sia il centro dell’universo.
[ Una regola è tautologica quando dà al problema una risposta a vuoto. E' come dire del vento che soffia, come se potesse esserci un vento che non soffia.
Se chiediamo che cosa dobbiamo fare e qualcuno ci risponde di fare il bene ed evitare il male, la risposta non dice nulla; il significato della frase si riduce semplicemente a " è bene che tu compia azioni buone", e questa è una tautologia. Anziché spiegare che cosa sia il bene, l'interlocutore dice soltanto che dobbiamo agire in modo conforme al buon dovere del proprio credo.
Un principio assolutamente indipendente dai fatti è vuoto e non se ne deduce nulla, e se invece riusciamo a dedurne qualcosa di moralmente significativo, il principio non era un prodotto di ragione pura ma conteneva un apporto dell'esperienza (intesa come somma di fatti sensibili e degli atteggiamenti emotivi): insomma, il misticismo si basa su una pseudodeduzione o deduzione effettiva di una regola morale da uno pseudoprincipio di ragione.
... La dissacrazione, ad essere sinceri, non è costata molta fatica; bastava esplorare il significato di una parola o controllare la sintassi di una frase, affinché interi continenti metafisici finissero inghiottiti. Dal punto di vista affettivo era indubbiamente un'epoca più intensa quella in cui si credeva ciecamente a pseudo-premesse profetiche e a verità rivelate tali da poter scalare la gerarchia delle essenze, sino a Dio. ]
Con la caduta di queste sedicenti verità oggettive (del tipo “Se A implica B e B implica C, A implica C”) cade il solo esempio che si sapesse portare di principium per sé notum e appare illusorio il progetto di un etica da premesse assolutamente vere: constatazione spiacevole, che incontra forti ostacoli emotivi tra gli osservanti, e questo spiega la persistenza dell’illusione.
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Ma sta di fatto che, Misericordiosamente, il Creatore sceglie, in questa massa dannata, solo alcuni fortunati, ” per ragioni ignote agli uomini e agli angeli” e indipendenti da ogni merito; la grazia avrebbe dovuto aprire a costoro la prospettiva di una immeritata beatitudine: per gli altri il giusto castigo sotto forma di tormenti eterni. Secondo una comune massima, Dio ” esercita graziosamente la sua misericordia senza alcun merito nostro ma punisce nella misura dovuta alle nostre colpe.”
La pratica dell’esame di coscienza nasce dal bisogno di trovare una causa all’inquietudine del peccato originale.
… Se non riuscissimo a giustificarla, dovremmo ammettere che il Creatore è soltanto una potenza smisurata, imprevedibile e arbitraria, e poiché una conclusione del genere suscita sgomento, si fa il possibile per eluderla. Sant’Agostino dice di non sapere come il peccato originale sia propagato, ma di essere certo che si propaga perché, se non fosse così, i neonati sarebbero innocenti e gli adulti potrebbero non peccare, il che renderebbe superflue l’incarnazione e la Passione.
Inoltre, come riconoscere a Dio l’attributo della giustizia?
Di qui l’assunto di un peccato, trasmesso con la generazione carnale, che fa del genere umano una massa corrotta meritevole di tormenti eterni. Ecco dimostrata la giustizia divina. Il miracolo della grazia, poi, scopre l’altro versante di Dio: non più giudice né persecutore ma a portatore di una felicità ineffabile.
Senonché l’apologia presenta due punti deboli, che la rendono inutile al fine per il quale l’hanno escogitata. In primo luogo, un modello di giustizia del genere, basato sulla responsabilità per colpe altrui fino al più remoto ascendente (e anzi sull’idea di origine magica che le colpe dei genitori siano nostre), si accorda con la moralità di tre millenni fa, dalla quale verosimilmente discende, ma oggi appare rozzo e feroce quanto i costumi di allora, e ripugna più della potenza pura e arbitraria: meglio soggiacere a quest’ultima che all’automatismo ottuso di una giustizia tribale. In secondo luogo, l’altro punto debole è che la storia starebbe pure in piedi a patto di supporre un personaggio divino potente ma ignaro del futuro, spiacevolmente deluso dal misfatto della prima coppia e vittima di un’ira tanto più violenta in quanto non l’aveva prevista (così il Signore del racconto biblico); appare invece insensata dal punto di vista dell’onniscienza, che abbraccia anche i futuri contingenti.
… Insomma, in primo piano è necessario anteporre potenza e giustizia divine, cui la miserabile vicenda degli uomini serve ad esaltare.
Dio, in seguito al gesto azzadato di Adamo (e ogni successivo uomo in lui), sembra essere costretto a dannare ” giustamente” quanti ha predestinato alla dannazione nell’istante in cui li creava. La giustizia assorbita nella potenza.
Calvino così si espone: ” l’ordine della giustizia divina è irreprensibile anche se occulto, essendo fuori discussione che i dannati meritassero di essere predestinati a una simile fine; è quindi altrettanto certo che la rovina in cui cadono sia giusta ed equa. Il primo uomo è caduto perché Dio lo ha ritenuto opportuno. Non sappiamo quali siano le ragioni di questa scelta. Ora chi parla della gloria di Dio pensi anche alla sua giustizia: ciò che merita lode è necessariamente giusto. (Institution , cit 23-8, 427)”
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Grazia e potentia ordinata
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Un’altra questione concerne il punto se, dati un Dio onnipotente e il decreto di predestinazione, le opere siano necessarie alla salvezza. La risposta assolutamente affermativa presuppone un limite a ciò che il creatore può fare e, quindi, contraddice la premessa. “Non è tenuto a corrispondere il nostro amore” ma ama liberaliter et libere.
Ed essendo onnipotente fino al limite della contraddizione, niente gli impedirebbe di destinare alla beatitudine l’anima senza carità e respingere quella che la possiede, giacché simili eventi cadono nella sfera del contingentl. Così ragiona Occam, che ha sviluppato coerentemente la dottrina della potenza assoluta. Nessun limite al potere e nessun dovere di esercitarlo in un modo piuttosto che nell’altro o non esercitarlo.
Anche nelle epistole Paoline (Rm. 11, 22) un’apparente contraddizione è presente fra premesse negatrici dell’autonomia umana e atteggiamenti esecrativi o esortativi.
“Ora, quali cooperatori di Cristo, vi esortiamo a non ricevere invano la grazia di Dio” (2 Cor 6, 1)
L’epistola agli Efesini sottolinea il contrasto ancora più nettamente. Comincia dicendo che Dio ” ci ha eletti prima della fondazione del mondo a essere santi e irreprensibili al suo cospetto, avendoci predestinati per amore a essere suoi figli adottivi… affinché la cosa torni a lode della gloriosa manifestazione della sua grazia” (Ef 1, 3)
Soggiunge che siamo ” per natura figli d’ira al pari degli altri” (Es. 2, 3)
… Poi esalta la scelta gratuita con cui l’onnipotente ha creato alcuni di noi ” in Gesù Cristo per opere buone, a cui li ha destinati perché le praticassero (ivi 2, 10)” e parla “dell’imperscrutabile ricchezza di Cristo” e di un misterioso ed eterno disegno ” nascosto da secoli in Dio creatore di ogni cosa”, ma ora proclamato “ai Principati e alle Potestà dei cieli attraverso la Chiesa; e tutto questo prelude a una minuta esposizione di doveri, che riempie il messaggio di norme a cui l’osservante dovrebbe ubbidire, naturalmente nell’amore del Padre suo…
… In San Paolo ritroviamo l’aborrimento della sarx (carne) e la sotereologia realistica. Senza l’idea ossessiva della nostra morte e la fede nella resurrezione di Cristo, avvenimento miracolosamente salutare, non ci sarebbe una teologia Paolina, la cui verità dipende dal fatto che Gesù si è davvero risorto: ” sareste nei vostri peccati e sarebbero periti anche quanti sono morti in lui (Cor 15, 17)”
Per distruggere il peccato incarnato nel corpo, bisogna affrontare la morte del battesimo (morte mistica ma anche reale e non semplicemente simbolica), dal quale l’iniziato rinasce. Ordine miserabile quello delle cose visibili e tale resterà fino alla resurrezione dei morti, generatrice di un immenso salto qualitativo.
“Il corpo, seminato corruttibilmente, risorge incorruttibile; seminato ignobile, risorge in gloria, debole, risorge in forza. Seminato animale, risorge spirituale” (Cor 15, 42).
Naturalmente impossibile passare dalla condizione attuale a quella gloriosa, concessa ai soli eletti.
“La carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio, né la corruzione l’incorruttibilità”.
Ci vuole l’evento prodigioso legato al suono dell’ultima tromba, perché sia avverata la profezia di Isaia:
“Morte, dov’è tua vittoria? Dove, o morte, il tuo pungiglione?” (Is 25, 8)
pg. 546 – Apologia della natura
[...] Ci sono poi altri casi biblici che fungono da banco di prova della legge di natura: Quello di Abramo, al quale Jahvé ordina di sacrificare Isacco, oppure quello di Osea e la prostituta.
Nel primo caso il clou sta nel ” diritto alla vita”, che Dio toglie e dà: se Dio è il padrone della vita e della morte, solo che lo ordini, possiamo uccidere legittimamente (cioè su ordine divino) chiunque, colpevole o innocente.
Quanto a Osea , l’adulterio consiste nel rapporto con una donna altrui, in quanto legata ad altri secondo la legge imposta da Dio, e quindi ” non è adulterio né fornicazione avere rapporti con una donna qualsivoglia” - dietro suggerimento divino.
… Il tema della vittoria sulla morte, è sviluppato nella prima epistola ai corinzi con un curioso avvolgimento dialettico:
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“Se i morti non potessero risorgere, neanche Cristo sarebbe risorto; e se non fosse risorto, sarebbero vane La nostra predicazione è la nostra fede e saremo falsi testimoni di Dio, avendo attestato rispetto lui che risuscitò Cristo; ma non l’avrebbe risuscitato se i morti non potessero risorgere; se i morti non risorgono, nemmeno Cristo è risorto, e se non è risorto, vana la vostra fede e siete ancora nei vostri peccati; e perciò anche la gente morta in lui è perita.” (1 Cor 15, 13-18)
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Segue un’antropologia dei due archetipi, il terrestre e celeste: “Questo dico, o fratelli, che la carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio, nella corruzione l’incorruttibilità. (Cor 15-50)
Perciò sono necessari anche i carismi, che trasformano prodigiosamente l’uomo assimilandolo (in via di partecipazione mistica) al Cristo-Spirito.
Curiosamente, allo stesso fine mirano i misteri eleusinii, orfici, di Mitra, Attis e Iside: gente inquieta in cerca di qualcosa che prevalga sul ” pungiglione della morte”.
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Il carattere magico, e quindi amorale, dell’operazione sacramentale traspare dal battesimo degli infanti, nel quale manca un concorso intellettuale o emotivo dell’accipiens e infatti, per non abdicare al requisito della fides , i teologi ricorrono a espedienti fra i più singolari: l’effetto salutare, dicono, è reso possibile dall’intervento sostitutivo dei padrini; oppure i ” bambini sono nell’utero di Madre Chiesa” che li nutre con la sua fede (espressione di origine agostiniana). Eguale sentore di magia nella confessione, dove ” l’effetto della passione di Cristo discende dall’assoluzione sacerdotale congiuntamente all’atto del penitente, che ecco opera con la grazia nel distruggere il peccato”.
… Ormai la sorte ultraterrena del fedele dipende dal prete.
Altro carattere magico. La Chiesa costruita su due materie potenti come il sangue e l’acqua usciti dal costato di Gesù, che con la sua passione ha acquisito la potestà di rimuovere l’ostacolo ossia di aprire le porte del cielo; e perciò i preti, quando dispensano i sacramenti, dispongono in una certa misura di quel potere, non a titolo originario ma per virtù divina e grazie alla passione di Cristo.
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pag. 589 – L’Orgoglio
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[...] gli appartenenti al popolo di Dio sanno di essere stati scelti. “Il Signore vi prese e tolse dalla ferrea fornace dell’Egitto, per fare di voi il popolo suo erede, come oggi siete.” (Dt 4, 7-8)
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Frase reiterata fino all’ossessione affinché ciascuno se le imprima in mente: ” Attento Israele e ascolta. Oggi sei diventato il popolo del Signore Dio tuo “. (Dt 27, 9)
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Quello con Jahvè non è un rapporto di adorazione estatica, del genere praticato nei culti mistici, ma di servizio aggressivo: “Oggi hai scelto il signore… il signore ha scelto te, perché tu sia il suo popolo…; diventerà la relazione più grande del mondo, per lodarlo ed esaltare il suo nome e la sua gloria…” (ivi 26, 17-19)
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Il concetto dell’onore di Dio torna spesso nei salmi:
O Dio, mio re, voglio esaltarti
e benedire il tuo nome in eterno e per sempre.
Una generazione dopo l’altra loderà le tue opere,
e annuncerà la tua potenza (Salmo 144, 1-4)
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Da molti episodi risulta quanto Jahvè sia geloso della propria reputazione. In Ezechiele, ad esempio, la trasgressione dei comandamenti e la profanazione dei sabati da parte del popolo lo inducono a lasciar traboccare la sua collera e a consumarlo nel deserto. Poi riflette su ciò che diranno i Gentili e si modera:
” Mi sono trattenuto dal farlo per riguardo al mio nome, affinché non fosse profanato davanti i Gentili, di fronte ai quali vi avevo condotti via [dall'Egitto]“.
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… questo Signore ” nel giorno dell’ira stritola i re. Giudicherà le nazioni, accumulerà rovine, fra carcerati servici… (Sal 109, 4-6)”. Il rispetto della legge può persino diventare frenesia ditirambica.
“Odio l’ iniquità e amo la tua legge (ivi 118, 113)”
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“Come amo la tua legge, oh Signore iddio!”
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Il nucleo emotivo della situazione sta però nel compiacimento di essere stati scelti:
“Non cedere ad altri la tua gloria,
né i tuoi privilegi a gente straniera.
Noi beati, noi Israele,
perché si è manifesto quel che piace a Dio.(Bar 4, 3-4)
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[...]
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La fedelta, pg. 591
[...]
Nei Leviti viene espresso il modello di questa milizia fedele sino alla ferocia. Siamo nell’istante in cui Mosé, disceso dal Sinai, trova il popolo in adorazione orgiastica del vitello d’oro:
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… si fermò all’ingresso del campo, e disse: “Chiunque è per l’Eterno, venga a me!” E tutti i figliuoli di Levi si radunarono presso lui. Ed egli disse loro: “Così dice l’Eterno, l’Iddio d’Israele: Ognun di voi si metta la spada al fianco; passate e ripassate nel campo, da una porta all’altra d’esso, e ciascuno uccida il fratello, ciascuno l’amico, ciascuno il vicino!” I figliuoli di Levi eseguirono l’ordine di Mosè e in quel giorno caddero circa tremila uomini. Mosè allora disse: ciascuno di voi ha oggi consacrato al Signore le mani del figlio e del fratello, per questo sarete benedetti.
(Esodo 32:25-35)
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Anche il massacro rientra nella logica della fedeltà assoluta, e di qui risulta quanto sia pericolosa la mistica dell’obbedienza. Meglio esercitare la ragione, dal punto di vista di una convivenza assennata.
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pg. 604 - IL PECCATO
[...] sul peccato, osserva Sant’Agostino nel De Civitate Dei (14, 12):
“Non dobbiamo credere chi sia una mancanza di poco conto, in quanto rifiuto di un’obbedienza fine se stessa. Quest’ultima, infatti, ” custodisce e genera tutte le virtù; ed è salutare per la creatura essere soggetta e pericoloso a distogliersi dalla volontà del creatore, per seguire la propria.”
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Vediamo fino a che punto l’argomento è plausibile, a parte la sproporzione del castigo, rivelatore di un concetto primitivo di giustizia e di una visione magica del mondo: bisognerebbe spiegare con quale meccanismo genetico il peccato sia trasmesso e come un’anima creata perfetta sia contaminata dal corpo chi ha avuto in sorte. .. Su questo punto, come molti altri , i teologi medievali si sono spinti ai vertici di bizzarrie difficilmente ineguagliabili, macinando molte parole senza dire niente di ragionevole.
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Sant’Agostino oscilla poco coerentemente fra diverse ipotesi, dapprima dice che i progenitori:
vivevano in una pacifica astensione dal peccato, sufficiente a garantirgli da ogni fastidio esterno. Pensate che desiderassero a saggiare il frutto proibito e non lo facessero per paura di morire? Dio ci vieta di pensare che una cosa simile potesse avvenire in un luogo dove non c’era peccato: sarebbe stato peccaminoso desiderare una cosa vietata e astenersene più per paura della pena che per amore della giustizia. [De Civitate Dei (14, 10)]
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Su un piano del genere non possiamo parlare di peccato per la medesima ragione per cui non peccano i fossili e vegetali. Ma un istante dopo ritroviamo ad amo fornito di volontà, amor proprio e, insomma, di tutto quanto ci vuole per peccare. Sant’Agostino, quando ragiona su Adamo ante culpam, non gli sfugge che Dio, “prevede ogni cosa, non potevano prevedere l’accaduto dell’uomo. (De Civitate Dei (14, 11))”… cadendo così in un’ingenua in coerenza, spiegabile in pratica con le ragioni di tattica pedagogica contraria un insegnamento crudo della predestinazione. Dopo aver ammesso che il signore è onnipotente è nell’ordine delle cose create ogni evento dipende da lui, suppone che, almeno una volta, La creatura gli si sia potuta contrapporre, in regime di indipendenza effettiva, è questa rivolta servile abbia introdotto il male nel mondo. L’ipotesi contraddice la premessa. Se l’attrazione implica alterità, La creatura è vittima e non colpevole.
[...] ma dopotutto Adamo non batte ciglio, come se sapesse di essere vittima di un gioco tragico. Agisce come chi sa di essere nato per affrontare un certo genere di prove difficili e vuole recitare bene la propria parte: spettacolo di compostezza virile.
[...] Jahvé eccede nel suo discorso persino con una nota di scherno: ” ecco, Adamo è diventato quasi uno di noi e conosce il bene e il male: che non abbia a stendere la mano e prendere un frutto anche dall’albero della vita, mangiarlo e vivere in eterno!” (Genesi 3, 22)
Adamo invece tace, se ne va con Eva, lavora e procreare figli. In quest’occasione si è comportato meglio del suo partner strapotente. Ecco che cosa significa peccato: sentirsi chiusi nel tempo e nello spazio, nati per morire, esposti all’ingiuria del prossimo, bisognosi di una perfezione di cui abbiamo qualche vago sentore e che appare tanto più irraggiungibile quanto più moltiplichiamo i tentativi di perfezionarci con la legge e l’obbedienza.
Si capisce anche perché lo stato d’animo del peccatore sia la disperazione e nessun atteggiamento , incluso il pelagiano, versione pseudo cristiana della leggerezza greca.
L’eclissi del sentimento religioso è visibile nel fatto che il peccato decada a semplice trasgressione di una legge, compensabile con atti di osservanza. Anzi, più del peccato gli intenditori parlano dei peccati, dei quali formano accurati inventari. Ma un teologo che non ha perso la sensibilità religiosa ritiene inutile enumerarli: sotto questo o quel nome c’è sempre la natura umana corrotta. Persino ai bambini incapaci di volere sono in stato di peccato, sebbene nessuno possa dire come e perché. Qualcuno cerca di spiegarlo con ” tracce impresse nel loro cervello”, simili a quelle formatesi in Adamo, nelle quali sarebbero radicati gli impulsi al male. Ma “du Pin” osserva che la spiegazione è monca: bisogna pur sempre supporre, a proposito di un bambino, che ” Dio abbia preso in odio tali inclinazioni sregolate, gliele abbia imputate come volontarie e abbia quindi deciso di privarlo della beatitudine e forse di condannarlo a una pena, come la fede ci insegna che ha fatto.”
I teologi liberali, invece, dopo aver dissolto il peccato nei peccati e averli classificati, fissano con precisione giuridica le condizioni alle quali si pecca. Elaborano anche una dottrina delle discriminanti. Di qui la casistica, che non finisce mai di tessere la sua tela:
Aveva ragione chi disse che i libri dei casisti contengono l’arte di cavillare con Dio: questi avvocati del tribunale della coscienza escogitano un laboratorio di morale, nel quale le verità più solide se ne vanno in fumo, sali volatili, vapori. (P. Bayle, Dictionnaire historique, 735)
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Cap. Undicesimo – Oltre la Legge
1- L’Angoscia
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La svalutazione cristiana della legge ha il suo testo fondamentale nell’epistola ai romani, dove non mancano i movimenti contraddittori: da un lato la legge come rivelazione positiva, prima della quale il peccato si imputa, e dall’altro, il buono per natura.
” Chi ha peccato senza legge, perirà senza legge… i gentili, che non l’hanno, quando fanno per natura le cose da esse prescritte, sono legate a se stessi: mostrano la sua opera scritta nei cuori, come attestano la loro coscienza e i loro pensieri, che ora si accusano ora si difendono tra loro. Il che apparirà manifesto nel giorno in cui Dio giudicherà i segreti degli uomini. (Ep. Rm. 2, 12-16)
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Non è il genere di contraddizione comune fra i parlatori ingenui o inabili. Gli avvolgimenti, le diversioni e le sottigliezze di questa logica contengono un saggio impressionante di introspezione, e sappiamo che in materia di sentimenti non valgono le regole formali di coerenza. Il solito linguaggio a frasi critiche e talvolta ermetiche, ma un punto appare incontrovertibile: La legge non salva; dalle sue opere ” nessuno sarà giustificato di fronte a Dio”; procura soltanto la conoscenza del peccato e non la “virtutem faciendi” , ossia la capacità di compiere gli atti che rivela buoni.
Svelando il peccato ma non il modo di evitarlo, rende palese la nostra iniquità e moltiplica le occasioni di inadempimento, e così esaspera in severità il giudizio di Dio”. Per di più, scatena uno stimolo a peccare: ” quando vivevamo secondo la carne, le inclinazioni peccaminose, suscitate dalla legge, agivano nelle nostre membra in modo da portare frutti di morte” (Rm 7, 5).
In se stessa non è peccaminosa, ma se non ci fosse, non avremmo conosciuto il peccato, essendo la concupiscenza inseparabile dal non desiderare: ” il peccato, prese le mosse da quel comandamento, ha fatto proliferare me la concupiscenza” (Rm 7, 7).
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L’epistola ai romani dispiega così la psicologia della tentazione:
” Non sono padrone dei miei atti, perché faccio ciò che odio e non quello che voglio. Se agiscono come non vorrei, ammetto che la legge è buona non sono più io ad agire ma il peccato che abita in me. (Lc 11, 52)
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Sdoppiata la persona è storpiata alla legge: “secondo l’uomo interiore acconsento alla legge di Dio ma ne trova un’altra nel corpo, che ripugna a quella della mente e mi asserisce al peccato. (ivi 7, 22).
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… L’effetto corruttore è sceso tanto fondo, che nemmeno la giustificazione operata con i meriti di Cristo lo elimina, nel senso di trasformare realmente giustificato, il quale rimane quello che era; e ogni suo atto continuerebbe a essere un peccato.
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… La ricerca del peccato ignoto sviluppò una tecnica della cura delle anime, i cui canali sono in Grecia l’oracolo delfico e dagli ebrei la consulenza levitica.
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… Il peccato come condizione metafisica: perdita dell’immediatezza e l’impossibilità di restaurarla, caduta nello spazio- tempo, scissione dell’io dal tu e dell’autore dall’atto, doveri frantumti in atti, ciascuno dei quali si stacca e diventa un oggetto estraneo, costretti a un’unità artificiale quale la persona-maschera, risultante da una somma di gesti e parole, vale a dire, essere creatura. La causa di tutto ciò è un atto peccaminoso compiuto nella protostoria.
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… in questa vita infelice vaghiamo per la retribuzione di un protopeccato del tempo primitivo: non sappiamo in che cosa sia consistito e chi l’abbia commesso, ma nessun dubbio che “Debba” esserci stato; altrimenti come giustificare il presente?
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… rapporto di prefigurazione e non di causa effetto. La vera causa sta fuori del tempo storico e delle gesta umane, nel fatto stesso della creazione… Adamo pecca nell’attimo in cui vuole sapere che cosa siano il bene e il male.
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… ma ora, dopo avere scoperto che la radice dell’infelicità non sta in quello che facciamo ma in ciò che siamo, sorgono forti dubbi sulla sua utilità. Come pensare che questo o quel gesto, l’uso di una formula, l’offerta del sacrificio, fare qualcosa o non farlo, modifichino un assetto imposto dalla creazione?
Solo rimedio radicale e ovviamente impossibile (a parte la morte) uscire dalla situazione di creatura.
[Come peccatore l'uomo era separato da Dio dalla profondità più abissale della qualità - Kierkegaard - malattia mortale, 354]
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… questo stato di cose secerne angoscia: sensazione di essere irrimediabilmente finiti e bisogno di superarsi, pur sapendo che non possiamo, infelicità convertita in autoaccusa e ricerca della colpa, attrazione-ripugnanza per l’oggetto sentito come colpevole, sofferenza se omettiamo qualcosa e pentimento se lo facciamo, preghiera, sacrifici, oracoli, elaborazione di culti e misteri, vani tentativi di rompere la spirale.
… Ciò che nel paganesimo è l’oracolo, nell’ebraismo è il sacrificio, nel quale il fedele cerca inutilmente rimedio.
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pg. 618 – La Disperazione
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… Nell’epistola ai romani la scoperta dell’impossibilità di adempiere provoca una scissione della persona: l’uomo interiore, che vuole osservare la legge del Signore, e “il peccato che abita in me (Rm 7, 22)” e mi rende schiavo della sua legge ” insediata nelle mie membra (7, 17)”.
Il punto di vista migliore per capire in effetti dirompenti del conflitto è una visione realistica dellal di là (soprattutto quanto ai tormenti infernali), assillata dall’ansia per la propria sorte.
Dapprima , una paura che può raggiungere il deliquio. Un caso classico ha come protagonista il giovane Lutero, educato sui testi dei teologi nominalistica e disperatamente intento a guadagnarsi il cielo con le opere. Un giorno, durante la lettura del passo evangelico sull’esorcismo del sordomuto indemoniato, cade a terra gridando ” non sono io, non sono io”.
Poi scopre che la sensazione di essere peccatore il timore di perdere l’anima crescono, anziché attenuarsi, con le opere intese ad accumulare meriti, ed è il momento nel quale il discorso (con premesse sulla giustizia distributiva) conduce a conclusioni drastiche sulla giustizia di Dio
… Sembrerebbe che Dio giustifica colui che, nei limiti delle proprie forze (ex suis naturalibus) , ha adempiuto la legge. Di qui un impulso forsennatamente agonistico.
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pg. 623 – La Rivolta
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… San Paolo, quando dice che ” La legge signoreggia l’uomo finché vive (Rm 5, 1)” , allude alla possibilità religiosa ossia a quel punto obbligato del nostro itinerario, nel quale cerchiamo invani di superare la condizione umana con strumenti umani: e così , ” impigliati nell’intreccio del divenire religioso, in cui tutto (Tutto!) è umano” , svolgiamo il nostro tentativo contraddittorio…
Una via a fondo cieco, nella quale parole come ubbidienza, resurrezione, Dio, esprimono altrettanto che impossibilità…
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pg 626 – L’attesa
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[...] alla vittoria dell’esercito celeste di Cristo segue la prevedibile strage: La bestia e il falso profeta finiscono vivi nello stagno di fuoco, mentre il vincitore in persona passa gli altri a filo di spada.
Ma il nemico non è annientato:
“Vidi poi un angelo che scendeva dal cielo con la chiave dell’Abisso e una gran catena in mano. Afferrò il dragone, il serpente antico – cioè il diavolo, satana – e lo incatenò per mille anni; lo gettò nell’Abisso, ve lo rinchiuse e ne sigillò la porta sopra di lui, perché non seducesse più le nazioni, fino al compimento dei mille anni. Dopo questi dovrà essere sciolto per un po’ di tempo.” (Ap 20, 1-3)
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Pg. 632 – La Consolazione
[...] perché la liberazione sia effettiva, bisogna uscire dalla spirale dell’osservanza e della trasgressione e, quindi, dalla sfera della legge mistica: impossibile senza un intervento dal di fuori. L’evento miracoloso consiste nella ” morire alla legge (Rm 7, 4)” , secondo un processo che l’epistola ai romani descrivere in termini di causalità magica. Continueremmo ad essere schiavi se Dio, ” mandando suo figlio in carne simile a quella del peccato”, non lo avesse condannato ” nella carne, affinché la giusta sentenza della legge si adempisse in noi, che non viviamo carnalmente ma spiritualmente.” (ivi 8, 4)
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In altre parole, il figlio di Dio, morendo, ha distrutto il peccato che incarnandosi, aveva assorbito, pur essendo innocente; dopodiché, basta il rito misterico del battesimo perché ciascuno lucri l’effetto prodigioso e sia invasato dallo spirito (ivi 8, 9-15)… la Legge ha esaurito la sua funzione di “pedagogo (Gal 3, 24)”.
Perciò il contrario del peccato è la fede in una virtù…
Di paradosso in paradosso: ” il cristianesimo stabilisce il peccato in modo che l’intelletto umano non lo possa mai comprendere”, e poi lo toglie in modo altrettanto incomprensibile.
(Ecco abrogata una legge – per quanto debole e inutile, non portando nulla perfezione – che apporta una migliore speranza con la quale accostarsi a Dio)
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… La giustificazione del cristiano non dipende più dalle opere: la sua anima diventa tale quale la parola di Dio, a somiglianza del ferro rovente che scintilla come il fuoco da cui è penetrato. “Unita a Cristo come la sposa allo sposo”, e riappare il tema Paolino della partecipazione mistica salvatrice. Il Dio-uomo , sottratto al peccato, alla morte e all’inferno, possiede ” uno giustizia, una vita e un potere di salvare invincibili, eterni e onnipotenti”.
Per virtù dell’anulum fidei prende su di sé i peccati, i dolori e la mala sorte della sposa e non si lascia dominare: ” stupendo duello”, l’anima ” si libera dal peccato, diventa immune dalla morte, sfugge all’inferno”.
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… Non facciamo nulla e non prestiamo nulla a Dio ma soltanto riceviamo in lui l’azione divina: perciò questa giustizia della sede o cristiana si può propriamente denominare ” passiva”. Premessa metafisica, che l’uomo non agisca in regime di autodeterminazione ma sia lo strumento di forze irresistibili. Fuori di noi la fonte dell’energia morale e di quella fisica.
… Come il giumento biblico, la volontà umana va dove vogliono Dio o Satana, secondo che vi si insediano l’uno o l’altro. Essendo la grazia un’energia estranea, il sanctus , considerato in sé, continua a essere un peccatore; siamo giusti soltanto e stilisticamente, non per virtù nostra o in ragione delle opere ma perché Dio ci reputa tali.
Nessun mutamento reale: l’uomo resta quello che era, miserabile peccatore; la novità sta nel fatto che Dio si compiace di non considerarlo più tale.
La transizione dalla ” coscienza afflitta” alla consolazione e poi allo jubilus avviene con un salto nella misericordia divina, che il Commento all’epistola ai Galati descrive così: “… mi proietto fuori da ogni giustizia attiva, basata sulle mie opere e sulla legge umana, e mi affido a quella passiva della grazia, della misericordia, della remissione dei peccati e, insomma di Cristo e dello spirito Santo…”
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… Ogni esperienza mistica muove dal concetto che l’individuazione sia metafisicamente un male, come è frammento di Annassimandro, in cui spiega l’esperienza del martello:
“Tutto qui umilia l’anima; chi parla per ispirazione pensa di parlare soltanto per natura. Non vediamo mai da quale spirito siamo spinti, il soffio più divino spaventa; e tutto ciò che facciamo o sentiamo è oggetto di disprezzo come se fosse difetto o imperfezione. Ammiriamo gli altri e ci sentiamo 100 piedi al di sotto; non c’è nulla nel loro comportamento che non confonda. Si diffida di tutto chi i propri lumi, non si può essere sicuri di nessuno dei propri pensieri; siamo certamente sottomessi ai consigli più trascurabili, che crediamo veri…”
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[...] Poi San Tommaso si chiede che cosa sia la grazia e comincia parlarne come di un atto d’amore, ” che solleva la creatura ragionevole al di sopra della natura, sino a farla partecipare al bene divino”, ciò che sembrerebbe implicare un rapporto rinnovato istante per istante fra due persone: una strapotente e l’altra impotente, secondo la più genuina prospettiva religiosa. Ma poco dopo precisa che ” Dio in fondo ha certe forme o qualità soprannaturali, dalle quali letterature sono soavemente e immediatamente mosse al conseguimento del bene eterno.”
Poi introduce una complicatissima classificazione. Dapprima distingue fra gratia gratum faciens, propriamente detta, per effetto della quale ” un uomo si ricongiunge a Dio”, e gratia gratis data, chi eccede sempre la sfera delle risorse naturali e dei meriti personali… Distingue ancora l’operans, che muove la volontà, e La cooperans, che interviene nel processo esecutivo dell’atto, predisponendo le circostanze favorevoli. dopo di ché enumera cinque effetti consecutivi, la cui successione fornisce il criterio per classificare La grazia in “preveniente” e “susseguente”…
L’equivoco, tuttavia, rimane sul piano della terminologia, non essendovi dubbio che il concorso del cosiddetto libero arbitrio si è inteso in senso rigorosamente deterministico. Dio muove le cose secondo la natura di ciascuna e perciò ” in un modo le cose gravi e nell’altro le lievi”; quanto all’uomo, gli infonde il dono della grazia giustificante in tal modo da muoverlo ad accettarlo. Ribadisce, infine, che la grazia prima, nell’ordine della causalità spirituale, non può mai essere meritata.
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… G. Biel, premette che de potentia absoluta di Dio non deve niente a nessuno e non può mai essere ingiusto, essendo la sua volontà il criterio sovrano di ogni giustizia, in quanto radicata -tautologicamente – nell’identità Dio-giustizia.
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… La grazia consiste nell’ingresso dello spirito Santo nell’anima, puro misticismo, ma il resto segue in termini di contrappasso: determinati compensi per dati atti, resi possibili dall’abitatore celeste dell’uomo. Anche un lato magico; l’energia soprannaturale insufflata nel viator ormai gli ubbidisce docilmente:
“Lo spirito Santo, insediatosi nell’uomo con il suo illapsus no portatore di santità, è pronto ad orientarlo in ogni atto meritorio e infine a sublimarlo, nella beatitudine, e perciò diciamo che in un certo qual modo ubbidisce alla volontà umana; sta infatti alla porta e batte; sei gli si apre, entra e non ritrae mai la mano (I Sent 14, 1)
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pg. 204
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Cap. dodicesimo – La Riconciliazione
- Ritorno alla Legge
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[...] Grande avvenimento la nascita della Legge, per virtù della quale l’uomo raggiunge il vertice della propria condizione; in un primo momento, di cui abbiamo trovato l’esempio nell’elogio del salmista, si capisce che la consideri un valore inestimabile: rifugio contro le insidie, guida alla felicità, titolo d’orgoglio, segno dall’alleanza con il signore, espressione dell’ordine universale. Poi, acuitasi la sensibilità, coglie le sue miserie. Pensava che lo sollevasse l’altezza dei cori celesti, di fronte al trono dell’altissimo, come nella visione di Ezechiele, e ora scopre quanto sia umano il tono delle sue prescrizioni. Fai questo, astieniti da quello, celebre sabato, sacrifica al Signore: niente che si stacchi dalla massa degli atti nei quali spendiamo l’esistenza; nemmeno l’ombra di una qualità superiore, da cui l’atto sia riconoscibile come il veicolo di un salto nell’immediato ossia nell’eterno, in quanto negazione della temporalità.
La legge, inoltre, è un contesto di parole e niente umilia l’aspirazione all’assoluto quanto l’algebra interpretativa, le corporazioni di interpreti e quel loro prodotto ingombrante ma necessario che è la casistica. Senza contare l’effetto deprimente del constatare il discredito di certi precetti, sui quali l’osservante ieri si sarebbe giocato la vita: era dunque un’illusione che il figlio della legge potesse condurci fuori del tempo è delle cose periture.
Ancora peggio sul piano della coscienza religiosa. Dall’osservanza il concetto della trasgressione peccaminosa e di qui la sensazione del peccato sino alla conclusione che siamo peccatori indipendentemente dalle opere, per il fatto di esistere come creature; e infine, portato l’agonismo dell’obbedienza a un punto prossimo alla perfezione, scopriamo che, qualunque cosa si faccia, quel sentimento resta e anzi, quanto più obbediamo, tanto più cresce.
Qualcuno tenta la pseudo-soluzione, rinviando in un futuro remoto la restaurazione dell’immediata gloria; è un espediente debole, un medicinale immaginario che lascia le cose al punto a cui erano.
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… dopo l’esperienza della grazia l’invasato ridiscende in terra, ma la qualità del passaggio appare mutata. Inutile dire che il mutamento non è venuto nelle cose ma nell’osservatore, che riguarda in un altro modo… per fare il tutto santamente, non deve cambiare altro che il suo cuore… La santità consiste dunque nel volere (accettare) ciò chi ci capita per ordine di Dio.
I contenuti della legge restano tali e quali ma senza la forma imperativa. A questo nuovo timbro emotivo allude l’epistola ai romani nel versetto che contrappone lo spirito di adozione a quello di servitù e di timore: a un certo grado di maturità spirituale l’osservanza non è più l’arnese di tortura con il quale abbiamo infierito su noi stessi, riducendosi alla disperazione.
Un assunto comune, che il superamento del dovere, come esperienza penosamente repressiva e agonistica, segni l’avvento di una forma spirituale più elevata.
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… Nel dualismo Paolino vi è l’ uomo carnale, soggetto alla legge, e quello spirituale, adottato da Dio e quindi liberato dalla servitù.
Formule a parte, l’uomo più che religioso aspira a una condizione in cui il bene sia è opposto e superiore al male: soppressa ogni polarità, vuole aderire all’archetipo della beatitudine, quello a cui, secondo Sant’Agostino, non possono non aderire i beati. È il classico ritorno al pleroma.
… In realtà, individuo vi trova la liberazione dagli impulsi istintivi e dal vuoto di un ” dover essere” avvolto nelle più penose contraddizioni… In altre parole: gli animali soggiacciono agli impulsi naturali, mentre la ricerca indipendente della perfezione morale è cosa degna dell’uomo ma porta ai dissidi di coscienza, all’irraggiungibile, all’inazione e, in ogni caso, all’infelicità. Per uscire da questa schiavitù dobbiamo calarci nella vita comunitaria che offre, precostituiti, i modelli etici di cui andavamo in cerca. Facile dire in una comunità etica ” quello che l’uomo deve fare e quali doveri adempiere per essere virtuoso: né più né meno del socialmente prescritto.”
Siamo sul piano del costume, universale modo di agire dei componenti del gruppo, ossia della “Seconda natura”.
Nella trama compatta dell’ethos, secrezione organica della comunità, svaniscono il capriccio e la coscienza particolare del singolo ” e domina ” lo spirito reale di una famiglia e di un popolo”, rispetto al quale l’individuo è un puro accidente.
… Atteggiamenti del genere implicano un’adesione senza riserve all’ordine vigente.
La seconda natura, l’abitudine, lo spontaneo automatismo dell’osservanza, per alcuni alludono allo stato sovrumano della levitazione oltre la gravità degli appetiti e non a quello infra umano dei movimenti istintivi; ma poiché il nostro mondo mentale non ammette contenuti più che umani, l’alternativa è l’evasione nell’attesa dell’eterno Sabato o La costruzione di un apparato sociale inteso non tanto a sollecitare l’obbedienza quanto a trasformare gli individui secondo un certo stampo. Utopia o alchimia catastrofica del genere preannunciato da Orwell… ?
Gli abili strateghi come Stalin sanno che il trucco sta in piccoli giochi di parole, come nel dire ” salvaguardia delle propietà dello Stato” anziché ” repressione o accumulo dei beni del popolo”.
Qualcuno aspetta un tempo fiabesco in cui, dissolta la gravità degli appetiti, gli individui si muovano al richiamo del” bene comune”, con la leggerezza di spiriti disincarnati: giochi di fantasia, prodotti e di menti deboli o trappole per i creduloni… invasati mistici che talvolta fanno in laetitia cose atroci.
… Sarebbe bello cogliere in un solo colpo le premesse e le conclusioni più remote, come (a sentire San Tommaso) riesce agli angeli, ma quaggiù ci dobbiamo accontentare del discursus intessuto a fatica, un enunciato dopo l’altro.
Anche il più ingenuo dei sognatori sa che l’uomo ha un fondo di tendenze da tenere incatenate, se vogliamo convivere in modo decente.
… impossibile sbagliare (credono gli osservanti), perché vivono immersi da capo a piedi nell’ethos sociale, e secondo la sottile ironia di Kierkegaard, ” è un modo di vedere antiquato pensare che molti possano fare un’ingiustizia; ciò che fanno i molti è la volontà di Dio… L’essenziale è che siano molti, proprio molti, ad andare d’accordo: se ci riusciamo, siamo sicuri del giudizio dell’eternità.”
Gli antidoti sono due. In primo luogo, riconoscere il valore sacrosanto di certi strumenti usciti dal faticoso tentativo di rimediare alla nostra imperfezione. Poi conviene togliersi di testa l’idea che la comunità sia una super persona visitata dallo spirito; anziché cercare disperatamente compagnia, proviamo a decidere da soli: del resto, anche nella vita più comunitaria c’è qualche situazione irrimediabilmente privata come ad esempio nascere, morire, giocarsi l’anima.
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PG.5
[...]
La dottrina dell’onnipotenza e della predestinazione implica conseguenze molto importanti. Il decretum horribile che ha predestinato dall’eternità la massa all’inferno e alcuni pochi, scelti arbitrariamente, alla gloria, non tiene alcun conto degli eventi della nostra vicenda terrena, i quali sono quelli che sono in dipendenza di esso: perciò la grazia che Dio ha arbitrariamente conferita è inaccessibile agli altri a cui l’ha negata, quali che siano le opere. Il possesso della certitudo salutis scatena una fiducia in se stessi e un’energia creativa ineguagliabili.
Dottrina aristocratica: ” Predestinazione vuol dire vocazione dei migliori, dei santi – ossia della minoranza- a dominare sui peccatori – quindi sulla maggioranza”.
Incomprensibile e immutabile la volontà di Dio, da cui dipendono le nostre sorti. Il fatto che nulla, nell’ordine delle cose create, possa modificarla, colloca il fervido fedele in un’immensa solitudine. Il rispetto dell’onore di vino esige che l’uomo sia piegato davanti alla sua legge in sottomissione libera e forzata.
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Pg. 478
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[...] Il quarto Vangelo esprime il concetto della predestinazione in una formula lapidaria:
“In verità Gesù conosceva fin dapprincipio gli increduli e colui che lo avrebbero tradito: perciò vi dissi che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio.” (Gv 6, 65)
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Un Dio che è predestinato dall’eternità e un altro che segue trepidante nella vicenda terrena i non predestinati, come uno spettacolo del quale ignori la conclusione, pur desiderandone ardentemente una felice, un numero chiuso di beati e uno aperto di dannati, è così seguitando.
Occam pone il problema in forma dilemmatica: la nostra volontà è determinata o no da quella di Dio?
Se la creatura agisce necessariamente nel senso voluto dal creatore, i suoi atti non le dovrebbero essere imputati. L’ipotesi contraria, di una perfetta indeterminazione, suppone invece che Dio non sappia che cosa avverrà .
Tale la nostra situazione: sudditi di un re celeste… Nella nostra mente non entrerebbe nemmeno il minimo pensiero, se Dio non lo volesse e non avesse voluto da tutta l’eternità che rientrasse.
Puro eufemismo dire che ” l’ha voluto ma non ha costretto nessuno.”
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pg 494 – Doppia Predestinazione
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I precedenti biblici abbondano.
” Jahvé indurisce il cuore del faraone e proclama che avrà misericordia di chi vorrà e sarà clemente chi gli piacerà (Es. 33, 19).
Ispira propositi rovinosi a Seon, affinché il suo popolo perisca. Non tratta più teneramente i figli di Eli, sui quali gli ammonimenti paterni non esercitano alcun effetto.
“Alcuni benedisse ed esaltò, ed altri maledisse e umiliò (Eccl 33, 12)
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… Ma tra gli esegeti, a cominciare da Sant’Agostino, prevale la tendenza a sorvolare su questi passi o a interpretarli in claris, alterandone il senso.
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pg. 204 - La Potenza
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Quando appare a Mosè intento a pascolare il gregge, Jahvé gli impone di non avvicinarsi al roveto ardente è di togliersi i calzari, perché il luogo dove sta è ” terra Santa”. Aggettivo sinistro, come sperimenta Oza, quando stende la mano per sorreggere l’arca dell’alleanza che sta per rovesciarsi: l’imprudente ha dimenticato che gesti del genere riescono fatali al profano.
” Il Signore si adirò grandemente contro di lui e lo colpì a causa della sua temerarietà; egli mori in quel luogo presso l’Arca di Dio. Davide si contristò perché il Signore lo aveva percosso, e quel luogo fu chiamato punizione di Oza sino al giorno d’oggi.” (2 Re 6, 7-8)
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Il testo parla di un intervento personale di Jahvé e di una pena… L’ira da cui il racconto dice che Oza sia stato colpito non è quella esercitata sui peccatori; nemmeno l’ombra di una legge morale; è più una forza automatica di una causalità da trattare con grande cautela.
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… Anche San Paolo parla della ” fede nel sangue” di Cristo come ciò che giustifica gratuitamente.
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… La virtù del battesimo discende dal sacrificio della croce, ma nell’economia salutare l’acqua è una materia efficace e non un semplice simbolo: con il sangue (e in misura minore il fuoco e anche l’incenso) presiede il mondo greco e romano la prerogativa di antidoto ad ogni impurità: elemento lustrare per eccellenza, gli osservanti la usano fino all’ossessione nevrotica nelle abluzioni rituali a fini catartici, pratica che Ovidio deplora come superstiziosa e moralmente ottusa…
Nel rito egizio di purificazione se ne usa una più antica per ogni cosa creata… Un riferimento all’acqua primitiva, sulla quale abita lo spirito di Dio, anche nella formula cattolica della “benedictio fontis: ut iam tunc virtutem sanctificationis aquarum natura conciperet.”
Poi il diluvio ribadisce l’effetto catartico e Salvatore dell’elemento liquido:
Dio, lavando i crimini dell’umanità peccatrice, configura nel diluvio l’immagine della rigenerazione, affinché nel mistero di un solo elemento fossero contenuti la fine dei vizi è l’origine della virtù.
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Virtù santificatrice, originaria, perché risale a un evento situato nel tempo primitivo, ” inter ipsa mundi primordia”.
Una teologia del sangue e una dell’acqua. Altre cose efficacissime sono le reliquie dei santi. Il culto delle reliquie è stregoneria esercitata alla luce del sole.
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… Il tema della vittoria sulla morte, è sviluppato nella prima epistola ai corinzi con un curioso avvolgimento dialettico:
“Se i morti non potessero risorgere, neanche Cristo sarebbe risorto; e se non fosse risorto, sarebbero vane La nostra predicazione è la nostra fede e saremo falsi testimoni di Dio, avendo attestato rispetto lui c’è risuscitò Cristo; ma non l’avrebbe risuscitato sei morti non potessero risorgere; sei morti non risorgono, nemmeno Cristo è risorto, è se non è risorto, vana la vostra fede e siete ancora nei vostri peccati; è perciò anche la gente morte in lui è perita.” (1 Cor 15, 13-18)
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Un discorso condotto da capo a fondo in termini di ” corpo”: quello che si semina corruttibilmente risorge incorruttibile; seminato ignobile, risorge in gloria, debole, risorge in forza.
Seminato animale, risorge spirituale perché se esiste il corpo animale, c’è anche quello spirituale. Poi l’antropologia dei due archetipi, il terrestre e celeste: questo disco, o fratelli, che la carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio, nella corruzione l’incorruttibilità. (cor 15-50)
Perciò sono necessari i carismi, che trasformano prodigiosamente l’uomo assimilandolo (in via di partecipazione mistica) al Cristo-Spirito.
Allo stesso fine mirano i misteri eleusinii, orfici, di Mitra, Attis e Iside: gente inquieta in cerca di qualcosa che prevalga sul ” pungiglione della morte”
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… Nel quarto Vangelo, La teologia della luce è più di una metafora. Senza contare l’insistenza sul corpus del sacramento, condizione di un effetto altrimenti irraggiungibile:
“Se non mangerete la carne del Figlio dell’uomo e non berrete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. La mia carne è veramente cibo e il mio sangue è veramente bevanda…” (Giov. 6, 54).”
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A parte il rito e la materia della mysterium, qui spira un’aria quasi filosofica, in quanto lo strumento di salute che consiste nella coscienza veridica, viene soltanto dai sacramenti.
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[L'idea che il corpo sia intrinsecamente spregevole risale agli orfici, che lo associano alle immagini del carcere e della tomba]
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pg. 220 – I consacrati
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[...] L’intervento soprannaturale consiste non tanto nell’investire qualcuno di una funzione quanto nel costituire l’ufficio, stabilendo chi e come vi possa accedere e in qual modo lo debbano esercitare. Tipiche le prescrizioni di Jahvé sul modo di consacrare i sacerdoti… (Esodo 29, 1)
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… Elemento decisivo nell’economia rituale l’olio santo, composto secondo una certa formula e dotato di virtù prodigiose. Pena per i trasgressori, la morte. Ecco costituito il paradigma del rito d’investitura: una materia potente e alcuni atti del legittimato, al titolo originario per un diretto intervento soprannaturale (Mosé) o al titolo derivativo, in quanto abbia già vissuto come accipiens il rito che ora esegue… Inoltre chiunque offenda il consacrato deve morire.
… Irrilevante anche la designazione popolare: conta soltanto l’investitura formale. Dal vecchio testamento l’uso passa nei paesi cristiani dell’Europa occidentale, che lo praticano come rito di ammissione dei catecumeni e ordinazione di preti e vescovi…
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… In ogni caso la persona divina si trasforma. Càpita anche a Jahvé , la cui educazione avviene faticosamente ma con risultati sorprendenti: sulle prime, un Dio che “passeggia nel paradiso all’aria vespertina (Gn 3, 8) ” , e fiuta ” l’odore soave dei sacrifici (ivi 8, 21)” , vendicativo (fa morire Mosé e Aronne sulla soglia della terra promessa, per una colpa remota che nessuno sa in che cosa sia consistita… ombroso (va in collera per il censimento e manda la peste), sensibilissimo quando si tocca la sua reputazione (non sopporta che Israele attribuisca a proprio merito i successi resi possibili dal suo intervento), collerico e labile a un punto tale che ad ogni passo incombe il rischio che dimentichi gli impegni e reagisca con gesti distruttivi, dai quali gli interessati lo distolgono a stento. Quando il popolo si lascia sedurre dalle donne di Moab, ingiungeva Mosé di chiamare i capi e appendere i colpevoli alle forche, alla luce del sole, affinché la sua ira non cada su tutti. Poi ordina lo sterminio degli madianiti (Nm 25, 1-18). Ordina anche che siano estirpati gli abitanti della terra dei Canaan e in tono sinistro Ammonisce Israele a non commettere la debolezza di lasciare qualcuno vivo, perché in tal caso ” farò a voi tutti quanto avevo divisato di fare ad essi (Nm 33, 55)”
Poi , per gradi, assume tratti morali: prima potente, poi giusto e infine misericordioso. Ora è grande, potente e temibile, non guarda la persona ma rende giustizia al pupillo e alla vedova, ama il forestiero e gli dà il diritto e il vestito; continua a preoccuparsi, molto umanamente, del proprio nome e conserva un fondo di tendenza a distruggere (… li ho spremuti nel mio furore, li ho pigiati nella mia ira, sino a fare schizzare il loro sangue sulle mie vesti, che ne sono tutte intrise (Is 63, 3)) , ma oltre che grande, temibile, forte è giusto, sa essere anche Misericordioso… Aveva prescritto osservanze precise sino all’ossessione e folgorato i trasgressori incolpevoli; ora è sazio di vittime: non vuole più offerte e aborrisce l’incenso, il novilunio, il sabato è le altre feste comandate. Esige intenzioni pure e opere giuste. … Scomodo il rapporto con un simile dio: da un istante all’altro una conversione imprevedibile della forza terrificante, risolve l’horror in fiducia, poi nel delirio del giubilo e infine nel silenzio, quando la possessione raggiunge il culmine.
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pg. 237 – Il Sacramento
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… ossia il rituale contenente qualche grazia invisibile e spirituale.
Dal Concilio Di Trento:
Anatema a chiunque sostenga che i sacramenti della nuova legge non contengano la grazia che designano, o non la conferiscano a chi non vi pone ostacolo, ma siano soltanto il simbolo esteriore di una grazia o giustificazione ottenute per fede, nonché segni di professione cristiana nei quali i fedeli si distinguono dagli infedeli.
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Secondo una terminologia leggermente diversa ma egualmente realistica, il sacramento ” causa” la Grazia: causalità strumentale e non principale, quest’ultima essendo possibile soltanto da parte di Dio; i sacramenti della nuova legge incorporano l’uomo a Cristo, il che può avvenire soltanto per grazia.
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Pg 346 – LA Ragione
[...] Gli angeli, secondo San Tommaso, possono capire in un colpo solo molte cose: ciò che sperimenteremmo anche noi in patria, ammessa a una conclusione fortunata del viaggio terreno; allora i nostri pensieri non saranno più errabondi ma in un solo sguardo vedremmo l’intero scibile. La differenza fra le creature celesti e le terrene starebbe nel fatto che queste raggiungono alla perfezione mutando e muovendosi, mentre quelle la possiedono già per natura. Noi che apparteniamo alla rango inferiore, procediamo in via discorsiva da un’opinione all’altra ma, se nella premessa afferrassimo tutte le possibili implicazioni, non ci sarebbe più un discorso. Questo capita agli angeli i quali, mentre apprendono qualcosa, ” vedono” anche le conclusioni implicite, e perciò li diciamo intellectuales, essendo l’intelletto organo di una conoscenza immediata. Noi, che procediamo in via discorsiva, siamo invece rationales: lamentevole insufficienza perché, San Tommaso e Sant’Agostino si ripetono, se avessimo la pienezza del lume intellettuale, a un primo sguardo spremeremmo tutto il contenuto dei principi. Conoscenza infallibile: gli errori dipendono dal modo di conoscere per “” composizione e divisione”, mentre l’intelletto ” è sempre vero”, in quanto cade sulle essenze. I nostri itinerari mentali, dunque, sono operazioni discorsive ma procedono dall’intelletto e li finiscono: muovono da certi principi comuni noti intuitivamente grazie a una luce innata e si risolvono nell’apprendere ciò che ignoravamo. (De Trinitate, 16)
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… Sant’Agostino propose ad esempio l’espressione aritmetica (7+3=10) come esempio di una verità chi non emerge dai fatti e che non è un prodotto ma una scoperta della ragione pura; muovendo da questa, e così da ogni altra, ritiene di poter risalire a Dio. Non diciamo che la somma di due numeri debba essere o sia stata o sia per essere eguale 10, ma che non può non esserlo: di conseguenza,è eternamente vero che la loro somma sia eguale a 10. Eternamente vero, non ci sono dubbi ma nel senso in cui, accettate le regole degli scacchi, è vero per l’eternità che le torri muovono secondo linee orizzontali o verticali e gli alfieri diagonalmente: Le operazioni aritmetiche, come le mosse sulla scacchiera, sono elementi di gioco intellettuale; la differenza sta nel fatto che il gioco degli scacchi è un calcolo fine a se stesso, mentre i numeri rendono grandi servizi pratici, ma nella struttura logica i due casi non differiscono. Infallibile l’aritmetica per la semplice ragione che pone le proprie regole da sé. La matematica non fornisce altre verità: di reale si sono soltanto gli oggetti enumerati, la cui esistenza è un esempio di fatto contingente. L’aspetto logicamente interessante sta nel modo in cui li rappresentiamo matematicamente e poi ne combiniamo i segni.
Con la caduta di queste sedicenti verità oggettive cade il solo esempio che si sapesse portare di principium per sé notum è appare illusorio il progetto di un etica da premesse assolutamente vere: constatazione spiacevole, che incontra forti ostacoli e motivi e questo spiega la persistenza dell’illusione.
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