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Ma ritorno ai Delirium. E’ questo il caso in cui vale la pena rimarcare il mood generale, che assume a mio giudizio maggior importanza del “racconto” di ogni singolo brano. Restando nel campo dell’oggettività possiamo dire che oltre alla proposizione di alcuni brani “antichi”, da “Dolce Acqua” a “Jesahel”, passando per “Dio del Silenzio”, si è arrivati al clou con la presentazione di ben quattro brani del nuovo album, la cui uscita è programmata per il 2015: “L’era della Menzogna”, “raccontato” in alcuni significati da Mauro La Luce, storico paroliere della band, intervistato da Carlo Barbero. A fine post presento una testimonianza video significativa. Ma come anticipato, ciò che mi preme evidenziare è il nuovo volto dei Delirium, che oltre ai nuovi entrati presenta la vecchia guardia, formata dal bassista Fabio Ghighini - giovane, ma da molti anni uno di … famiglia - dal fiatista storico Martin Grice e dall’ancor più storico Ettore Vigo, di mestiere tastierista. Un bel mix anagrafico in un campo, quello della musica progressiva, dove l’essere giovani può addirittura diventare un problema, se non si capisce a fondo quel particolare tipo di filosofia musicale. Eppure i Delirium mi sono sembrati completamente trasformati, carichi di entusiasmo e con una motivazione che ha trovato la perfetta sintesi sul placo, quando anche i pezzi super conosciuti hanno cambiato abito. Ma perchè tutto questo? Provo a buttarla lì, in attesa delle smentite. Una band non sfugge alle regole che sono alla base di un qualsiasi gioco di squadra, sia esso sportivo o lavorativo, e quando l’obiettivo è comune ed esiste vero piacere - e impegno -, remare nello stesso senso e sudare tutti insieme porta a risultati insperati. E la voglia di rimettersi in gioco torna, così come il desiderio di confrontarsi con il pubblico, da incontrare on stage o da omaggiare con nuovi lavori discografici. Si sa, la motivazione è qualcosa che ha una scadenza, e ogni tanto occorre autoalimentarla, e mentre i Delirium regalavano un brano dopo l’altro, col sorriso sulle labbra - quel sorriso che spesso ho visto venir meno nel recente passato - ho trovato una piccola conferma alle parole che spesso autorevoli personaggi ci propinano - forse per consolarci in questo momento fatto di incertezza oggettiva - quando ci raccontano che i momenti di difficoltà, se metabolizzati, si trasformano in opportunità di miglioramento. E se i momenti poco sereni, nel passato erano palesi è altrettanto certa l' attuale inversione di tendenza. Al di là dello stato di grazia di un team al lavoro esistono anche grosse differenze legate all’assetto scelto: la scelta dell'uomo in più, rispetto al periodo pregresso, ha un significato ben preciso. Il sesto musicista è dunque Alessandro Corvaglia, vero cantante, vero uomo prog e vero frontman. Il suo apporto mi pare decisivo, così come la “pulizia” chitarristica di Cusato e il drumming di uno straordinario Vandresi. E che dire dei “vecchi” del gruppo… attivi ed entusiasti, pronti per un nuovo e lungo viaggio che forse, questa volta, potrà contare su binari saldi e conosciuti. Per afferrare tutto questo, per captare il nuovo feeling, mi sono serviti pochi minuti, quelli che hanno dato l’avvio al concerto con una “Theme One” che non ricordavo così… vissuta. Occorre un po’ di tempo per assimilare il nuovo che arriva, in questo caso quattro brani proposti per la prima volta dal vivo, ma l’impatto è stato decisamente positivo, e il filmato a seguire, contenente la title track, potrà forse aiutare nella comprensione del mio pensiero. Come si è soliti dire, gli esami non finiscono mai, ma in questo caso i Delirium I.P.G. risultano promossi sul campo, a pieni voti.
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