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DELITTI DI GENTE QUALUNQUE - di Loriano Macchiavelli

Creato il 14 ottobre 2011 da Ilibri
DELITTI DI GENTE QUALUNQUE - di Loriano Macchiavelli

Titolo: Delitti di gente qualunque
Autore: Loriano Macchiavelli
Editore: Mondadori
Anno: 2009

Sarti Antonio, Sergente. Il primo, forse l’unico, investigatore all’italiana. Arcinote le sue manie, a partire dal caffè, una cosa seria, con cui non si scherza, che si può bere a qualsiasi ora purché sia buono. E quello buono lo prepara solo Sarti Antonio, sergente, con una miscela speciale conservata in modo speciale e dosata in modo speciale. La fiamma e l’acqua, mai troppe e mai poche. Perché piace tanto, Sarti Antonio? Forse per la sua normalità, per non dire mediocrità, rischiarata da lampi di puro genio o da caratteri singolari, come la prodigiosa memoria. Tutti noi siamo Sarti Antonio, piccoli di fronte alle tragedie, normali eppure – ci piace pensare – capaci di guizzi che portano alla luce inaspettate risorse; ogni volta che Sarti Antonio si imbarca in una nuova indagine, è come se lo facessimo noi.

Sfondo di “Delitti di gente qualunque” è l’Appennino bolognese, il paesino di Riola di Vergato, tra le vallate del Reno e del Limentra (chè sì cara a Francesco, dice Macchiavelli, inteso come Guccini, collega di scrittura di diversi gialli di successo, a cui affida persino un cameo dove compare lo stesso autore). A Riola sorge Rocchetta Mattei, castello di epoca matildica trasformato con minareti, passaggi segreti e altri ammennicoli dal conte Mattei nel XIX secolo. Bizzarro personaggio, questo conte, comunque precursore di una forma di medicina sperimentale che combina il potere delle erbe e l’elettricità: l’elettromeopatia. Tale è la sua fama che Dostoevskji lo cita nei Fratelli Karamazov e a Rocchetta Mattei pare abbiano sfilato zar, re e poeti come Rimbaud.

Quando Sarti Antonio arriva alla Rocchetta, però, del conte restano solo le memorie e i ricordi di qualche abitante del luogo e l’edificio ha quasi le sembianze di una rovina da romanzo gotico. Il nostro questurino, come lo definisce la voce narrante (per assonanza emiliana, a me ricorda quella del mondo piccolo in cui si muovono Don Camillo e Peppone) finisce a Riola mentre cerca di rintracciare l’immancabile talpone Rosas, anarchico ricercatore dell’Università di Bologna, accusato – tra l’altro – di omicidio e di terrorismo. Rosas, a sua volta, è sulle tracce del radium trafugato dalle SS al Policlinico di Bologna, già negli anni ’40 all’avanguardia della cura dei tumori. Sulle tracce del radium, ovviamente, ci sono anche altri. Creature che si muovono tra realtà e fantasia, fatte di tre elementi: carne, ossa e suggestione.

Non è un giallo classico, questo romanzo, come non lo sono i romanzi di Camilleri con protagonista Montalbano, per dirne un’altra. La soluzione piove dal cielo (letteralmente, Sarti vivrà un secondo diluvio universale) ma poco importa. Delitti di gente qualunque si legge volentieri proprio per la sapiente costruzione dei personaggi, così falsi da diventare veri. E per prenderci un caffè “alla Sarti Antonio”, perché di così buoni non se ne trovano in giro.

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