Questa è la storia misteriosa di un bambino ed un assassino.
PREMESSA
Un caso criminale, specie se lontano del tempo, deve essere affrontato con un ragionamento che deve usare tutti gli strumenti della logica: deduzione, induzione, inferenza, sillogismo, tertium non datur e così via. Per cui questo particolare episodio legato al primo delitto del Mostro di Firenze lo vorrei sottoporre oltre che hai cultori della materia soprattutto ai filosofi. Quindi esporrò un brevissimo resoconto di quanto accaduto.
INTRODUZIONE POETICA MA NON TROPPO
È estate. È agosto. È notte. È buio. Non c’è la luna. Il cielo è coperto. La campagna è solitaria. Solo il canto dei grilli anima la notte. Anzi no… da qualche parte giungono dei gemiti… proviamo a cercarli, a individuarli. Provengono da quell’auto laggiù, proprio lì, lungo lo sterrato. Una Giulietta bianca. Ci avviciniamo lentamente. Non sono gemiti di dolore ma di piacere. È un mugugnare sommesso, un sussurrare affannoso che sgorga dall’atto amoroso fra un uomo e una donna. Proviamo a spiare, cautamente, quasi con pudore: lei è sul sedile del guidatore e si sporge verso di lui il quale invece è sdraiato sul sedile passeggero completamente reclinato. I suoi pantaloni sono sbottonati a metà, la cinghia slacciata. Hanno appena iniziato l’approccio erotico, il gioco della vita. All’improvviso però si ode uno scalpiccìo: presto vestirsi, presto vestirsi. Poi un rimbombo come di tuoni lontani, e lampi, lampi come di un temporale estivo, improvviso e passeggero. Cessa il canto dei grilli e cessa il lamento d’amore.
I FATTI
Un bambino, Natalino Mele, di anni sei, bussa alle 2 di notte in casa De Felice dove sono svegli perché una delle figlie aveva sete e ha chiesto dell’acqua. Francesco, il padrone di casa, si affaccia dalla finestra. Vede solo questo fanciullo. Nessun altro. Nota che è scalzo. Il ragazzino dice “Aprimi la porta perché ho sonno, ed ho il babbo ammalato a letto. Dopo mi accompagni a casa perché c'è la mi’ mamma e lo zio che sono morti in macchina.”
Casa De Felice
Francesco lo fa entrare. Pensa ad un incidente stradale. Chiama al piano superiore il vicino, Marcello Manetti. Insieme interrogano il bambino apparso nel buio. Egli ripete di essere certo che la mamma e lo zio sono morti ma non sa dire come ciò sia avvenuto poiché dormiva sul divanetto posteriore. Ad un certo punto si è svegliato, ha cercato di svegliare la mamma ma questa era immobile. Anche lo zio era immobile. Allora, preso dalla paura, così come era, cioè scalzo, è uscito dal finestrino posteriore sn e si è avventurato lungo il sentiero. Aveva paura e per darsi coraggio cantava fra sé la Tramontana, motivo allora in voga. A un certo punto vede la luce accesa in casa De Felice e si dirige verso di essa.
I due uomini che sentono il racconto decidono di chiamare i carabinieri. Essi, su indicazione del figlio della notte, riescono alla fine a trovare la Giulietta e constatano che effettivamente a bordo ci sono due morti, o meglio due assassinati dato che il loro decesso è dovuto a colpi d’arma da fuoco. La macchina presenta tutti gli sportelli chiusi tranne quello posteriore dx semi aperto, il finestrino del guidatore abbassato di pochi cm e quello dal quale sarebbe fuggito Natalino abbassato per metà. La freccia dx è accesa. Le ciabattine del bambino vengono ritrovate sotto il sedile del Lo Bianco.
Auto Lo Bianco sulla SdC (lo sportello indicato qui si vede tutto aperto poiché manipolato dai carabinieri) (Rielaborazione grafica dell'Autore)
La mattina del 22 viene ascoltato il padre del bambino, Stefano Mele, il quale dice che il giorno prima si era sentito male sul lavoro per cui era rientrato. Nel pomeriggio lo vanno a trovare Antonio Lo Bianco e Carmelo Cutrona, i quali lo trovano a letto. Il Lo Bianco quella sera uscirà con Barbara Locci, la moglie di Stefano, per recarsi al cinema. Stefano questo lo sa. Ma è abituato ai tradimenti della moglie per cui non reagisce. Stefano lancia sospetti su Cutrona e Francesco Vinci, storico amante di sua moglie. Aggiunge che è rimasto tutta la notte sveglio non vedendo rientrare Barbara e Natalino.
La sera Stefano e suo figlio vanno a casa.
Il giorno dopo, siamo al 23, Stefano accusa Salvatore Vinci di aver ucciso sua moglie. Sono sospetti, i suoi. Salvatore è il fratello di Francesco. Per qualche ragione Mele dirotta le accuse da Francesco a Salvatore. Costui però ha un alibi. Sentito dai carabinieri, Salvatore adombra sospetti sul fratello. Il Mele prende la palla al balzo e sostiene che Francesco avrebbe una pistola. Viene perquisita l’abitazione di Francesco ma non si trova nulla. Inoltre verrà effettuato la prova del guanto di paraffina su Stefano, su Cutrona e su Francesco. Quest’ultimo risulterà negativo mentre gli altri due risulteranno positivi.
Il 24 pomeriggio Natalino viene accompagnato dal maresciallo Ferrero lungo il sentiero che porta dalla SdC a casa De Felice. Il bambino ricorda che lungo il cammino ci sono delle montagne. In effetti trovano degli ammassi di ghiaia che per un bambino potevano sembrare delle montagne. Il maresciallo però fa notare a Natalino che non è possibile fare quel percorso scalzo per cui lo ammonisce che se non dice la verità lo porterà quella notte stessa di nuovo sul sentiero ma questa volta scalzo. Davanti a questa prospettiva Natalino esclama che a portarlo dai de Felice è stato suo padre caricandoselo sulle spalle.
Sempre quel pomeriggio, Stefano continua ad accusare Francesco Vinci asserendo che è stato lui a portare il figlio sino a casa De Felice. Ma quando gli fanno notare che il Vinci è risultato negativo al guanto di paraffina e Natalino lo indica come colui che lo ha trasportato a cavalluccio dai De Felice, dapprima si sorprende delle parole del figlio, ma poi ammette che è più facile che credano al bambino che a lui, per cui capitola e si autoaccusa del duplice delitto. Ammette di aver ucciso i due amanti e di aver portato lui il figlio a casa De Felice
Fine della storia.
Stefano Mele verrà condannato a 14 anni di carcere quale autore unico del duplice delitto di Signa. Però, attenzione: Mele non sa guidare, non possiede neppure un motorino; non ha mai sparato in vita sua, eppure i due amanti sono stati uccisi con quattro colpi di pistola a testa tutti andati a bersaglio; la pistola non verrà mai ritrovata.
I CONTI QUALCHE VOLTA NON TORNANO
Mentre Stefano è in galera qualcosa accade in Toscana. Nel 1974 a Borgo san Lorenzo due ragazzi vengono trucidati a copi di pistola e di coltello. Non si trova alcun colpevole. Nel giugno 1981 a Mosciano di Scandicci altri due ragazzi faranno la medesima fine, alla donna verrà estirpato il pube del quale non si troverà traccia. Nell’ottobre del medesimo anno a Calenzano viene aggredita un’altra coppia, l’assassino si ripete escidendo il pube della donna e portandolo via. Viene coniato per questo assassino il nomignolo di Mostro di Firenze, I suoi omicidi hanno chiaramente una componente sessuale e maniacale. Nel 1982 a Baccaiano di Montespertoli ulteriore aggressione a danno di una coppia. Un maresciallo dei carabinieri, tale Fiore, si ricorda del delitto di Signa e scrive al magistrato asserendo che in quell’occasione venne condannato il marito ma non fu trovata l’arma del delitto. Il magistrato segue il consiglio del carabinieri e fa riaprire il fascicolo del processo Mele, vengono trovati i bossoli che hanno ucciso la coppia Locci/Lo Bianco e si scopre che la pistola è la medesima.
Allora, Stefano Mele è il Mostro di Firenze? Impossibile dato che mentre costui era all’opera Mele era in carcere. Si finisce così direttamente nella pista sarda. Ma quello che a noi interessa sapere è cosa è accaduto sulla SdC di Signa nel 1968. In sostanza, chi ha veramente sparato quella sera ai due sfortunati amanti? Per capirlo occorre analizzare la situazione di Natalino poiché il bambino potrebbe avere visto il Mostro di Firenze.
RAGIONAMENTI CAPZIOSI E CAPRICCIOSI
Quando si fanno delle affermazioni bisogna poi vedere dove portano sia facendo un ragionamento a posteriore sia analizzandone le conseguenze. Vediamo tutte le implicazioni possibili di ogni singola tesi.
I punti di vista sono due: Natalino ha detto il vero nella sua prima dichiarazione, Natalino ha mentito fin da subito.
NATALINO DICE LA VERITA’
In questo primo caso il bambino non può darci alcuna indicazione sull’assassino poiché non lo ha mai visto.
NATALINO MENTE
In questo secondo caso egli conosce chi ha ucciso sua madre e ha cercato di coprirlo.
Personalmente io credo che la situazione reale sia la prima. Infatti, le parole di Natalino sono in armonia con ciò che si riscontra oggettivamente, ovvero: finestrino lato posteriore sn abbassato per metà; ciabattine in auto poiché posizionato in modo che lui non poteva prenderle; suona al primo campanello in basso che è l’unico al quale possa arrivare solo salendo sul gradino e allungando la mano (esperimento fatto dai carabinieri il 24 agosto 1968 alle ore 17:45). Quel campanello corrispondeva proprio a quello dei De Felice.
Le ciabattine di Natalino sotto il sedile del passeggero dove si trova disteso il cadavere di Lo Bianco
Vediamo le ulteriori conseguenze sugli eventi a ritroso.
Se Natalino dice il vero non dobbiamo porci altri quesiti ai quali è difficile rispondere come vedremo fra poco, ovvero perché il bambino avrebbe dovuto proteggere l’anonimato dell’assassino di sua madre, perché costui dopo aver commesso un duplice omicidio pone il suo destino nelle mani di un fanciullo di sei anni che lascia tranquillamente alla mercé di perfetti estranei, e come mai fa quella strada a piedi portandosi il bambino sulle spalle quindi ripercorre a ritroso il cammino. Il maresciallo Ferrero, utilizzando per circa seicento metri l’auto e poi proseguendo a piedi, impiega 40 minuti a fare l’intero percorso. Di notte, l’assassino, ne avrebbe impiegato certamente di più. Quindi mentre lui ritorna sulla SdC a recuperare il proprio mezzo di locomozione rischia che l’allarme venga dato subito e che i carabinieri lo sorprendano mentre è ancora sul luogo del delitto o sta per allontanarsene.
Fra la casa di Stefano Mele e la SdC ci sono 5 km che lui avrebbe fatto in bicicletta supponendo che sapesse dove i due amanti si andavano ad appartare. Fra la SdC e casa De Felice ci sono 2 km di strada in rifacimento che si percorrono in oltre 30 un'ora di notte e a piedi. L'assassino avrebbe dunque portato Natalino a cavalluccio facendo questo tragitto e poi sarebbe tornato indietro per recuperare il mezzo di locomozione rischiando così di venire sorpreso sul luogo del delitto da qualcuno allertato dal bambino.
Il racconto di Natalino sembra in perfetta armonia con i fatti.La prossima volta vedremo le cose dal punto di vista di Natalino che mente.