La rete non è scevra di nefandezze pseudointellettuali e una di queste è proprio questa assidua, asfissiante e ridicola campagna a favore dell'incipit forte, della frase che fa cadere dalla sedia (elettrica secondo molti esordienti) intere legioni di editor e lettori dediti alla scelta dei manoscritti da pubblicare.
Non è raro, quindi, che quando leggo un nuovo romanzo o racconto mi accorgo di chi sia figlio di questa strana concezione della narrativa: giudicare un romanzo dalla prima fase è come tentare di imbastire il profilo psicologico di una persona in base alla fisionomia; sarebbe come giudicare una persona dall'abito o soltanto a pelle: quella persona mi è antipatica... punto; e poi ha un naso così storto, gli occhi tronfi; una mascella volitiva che a mio parere indica sopraffazione ed egoismo.
Sempre più spesso leggo sia in rete che su carta incipit folgoranti, frasi ad effetto, improbabili metafore che, secondo certe teorie, dovrebbero portare il lettore direttamente al centro della narrazione e dovrebbero far saltar dalla sedia l'editor di turno (neanche fosse un ordigno esplosivo, come vorrebbero alcuni).
Dopo l'incredibile incipit... il nulla. Un'accozzaglia di frasi inutili e sgrammaticate, svogliate, pigre e raffazzonate. Credo di aver finito gli aggettivi altrimenti avrei continuato. Il manoscritto diventa una maratona che lo scrittore (esordiente e non (ohibò)) tenta di correre con i tempi dei cento metri piani.
Stiamo rischiando di avere una generazione di scrittori,la prossima, che scriverà incredibili incipit seguiti da un nulla culturale e grammaticale che imbarazzerebbe chiunque; scrittori che pensano che l'incipit sia metà del lavoro, che basti quello per avere una pubblicazione assicurata. Chi scrive deve guardare il tutto, non soltanto il particolare; non certamente l'incipit. Così come l'editor che giudica un libro dalla prima frase forse non è l'editor a cui nessuno vorrebbe affidare il proprio manoscritto.
Cito la frase che mi ha fatto venir voglia di scrivere questo post. E' tratta dal numero 56 di Leggere tutti in cui c'è un lungo dossier per esordienti. Parla Chiara Valerio, consulente editor di Nottetempo.
La mia regola base nell'affrontare un testo è guardarne solo il titolo. Nome ed età dell'autore non devono condizionarmi. La seconda è leggerlo tutto senza cercare folgorazioni nelle prime dieci righe.
E cito anche Umberto Eco che in Diario minimo fa parlare il lettore di una casa editrice che con occhio moderno cestina ineluttabilmente i Promessi sposi di Manzoni
Basti aprire la prima pagina e vedere quanto l'autore ci mette a entrare nel vivo delle cose, con una descrizione paesaggistica dalla sintassi irta e labirintica, tale che non si riesce a capire di che parli mentre sarebbe stato tanto più spiccio dire, che so, "Una mattina, dalle parti di Lecco...". Ma tant'è, non tutti hanno il dono di raccontare, e meno ancora hanno quello di scrivere in buon italiano