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Zerocalcare fuori dallo Strega: la notizia che non c’è

Creato il 20 giugno 2015 da Temperamente

Quando mi è stato chiesto di esprimere un parere sull’esclusione di Zerocalcare e del suo Dimentica il mio nome dalla cinquina finalista del Premio Strega, ho risposto subito che non c’era molto da dire.

Lo scorso anno, quando Una storia di Gipi non è arrivato in finale, nessuno ha gridato allo scandalo. Tantomeno questo accade quando un libro di quelli scritti con le parole e senza immagini – un libro classico, comune, normale, non un fumetto insomma – viene escluso dallo Strega. O non dovrebbe accadere, ma questa è un’altra storia che ha molto a che vedere con case editrici pluripremiate e detentrici di monopoli di diritti e vendite, di cui i premi letterari sono cartina di tornasole.

La variant cover di Dimentica il mio nome, acquerellata da Gipi

La variant cover di Dimentica il mio nome acquerellata da Gipi

Dicevo, alla richiesta che mi è stata rivolta ho risposto che non trovavo nulla da evidenziare, perché Dimentica il mio nome è un bel fumetto, ma non era all’altezza né di arrivare alla cinquina di finalisti né di vincere un premio come lo Strega. Neppure Gipi – il cui lavoro, senza voler fare paragoni forzati, a mio modesto parere era nettamente superiore nel suo complesso a quello di Zerocalcare – ci è arrivato. E perché? Perché lo Strega è un premio letterario e non è pronto per far gareggiare seriamente o addirittura vincere un fumetto.

Allora ho capito: il punto non è se Dimentica il mio nome meritasse o meno la finale, ma il fatto che si tratti di un fumetto e dell’ancor più stringente questione del risveglio dell’assopita letteratura italiana nei confronti di una forma di narrativa che ha snobbato per decenni e che all’improvviso, investita da un’epifania illuminista, ha rivalutato. O semplicemente si è accorta che la Nona Arte paga in termini di vendite, è cool e mette su carta storie di una bellezza tale da far impallidire molti fra i più quotati e venduti autori italiani contemporanei.  Perché diciamocelo: la letteratura italiana, come il cinema, è morta. Ma anche questa è un’altra storia.

Un fumetto in corsa per lo Strega è – e ora dirò qualcosa di estremamente politically incorrect – come una suora che vince X-Factor, come la ragazza di colore che partecipa a Miss Italia, come il candidato omosessuale che vince le elezioni in un paese cattolico: fanno notizia perché sono ‘diversi’ non perché abbiano davvero un talento. O magari ce l’hanno, ma a nessuno importa veramente. Soggetti di questo tipo sono baluardi di una finta emancipazione dei costumi e del pensiero, e in questo caso dell’intellettualità, che va portata avanti a ogni costo, difesa e sbandierata per dimostrare che siamo usciti da una sorta di Medioevo culturale.

La vera novità della bella Strega addormentata, che si sveglia dal suo sonno perenne – fatto di incubi come La solitudine dei numeri primi – grazie al bacio di un fumettista, era quella dello scorso anno, con Gipi che ha scritto, disegnato e magistralmente acquerellato un capolavoro. Con Zerocalcare, si è cercato di replicare lo scalpore suscitato nella passata edizione, per dimostrare così che quella di Una storia non era una rondine passeggera, ma che la primavera è davvero fiorita e che il Fumetto è entrato a pieno diritto nel novero dei generi letterari pubblicamente riconosciuti. Insomma, lo Strega e la letteratura italiana hanno fatto coming-out, scoprendosi amichevoli (ma non troppo) con la narrativa per immagini, che pure continua in qualche modo a stonare con quella più rassicurante della prosa per così dire ‘classica’.

Dopotutto, che la letteratura italiana stia dimostrando un crescente interesse verso la Nona Arte lo si è visto anche durante l’ultimo Salone del Libro di Torino, dove ampio spazio è stato dato alle presentazioni, ai dibattiti e agli workshop dedicati a importanti nomi del Fumetto italiano e internazionale. Primo su tutti Richard McGuire, che ha presentato, insieme a Walter Siti (Premio Strega nel 2013, ça va sans dire), l’edizione italiana di Here per Rizzoli Lizard.

Ma non serve ricordare che tutto questo lo avevano già scoperto anni fa Umberto Eco e Daniele Barbieri, che non sono esattamente due sprovveduti novellini.

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Dimentica il mio nome quest’anno è stato candidato perché doveva esserci. Perché si è puntato su un titolo conosciuto e su un autore e un editore che vendono migliaia di copie, attuando uno stratagemma che avvicinasse una nuova, giovane fetta di pubblico a una realtà quale il Premio Strega che ignorano volutamente in molti, fuori dai circuiti editoriali (quindi quelli che contano, che i libri li comprano e li leggono e permettono alle case editrici di restare più o meno in piedi).

Posso scommettere sin da ora che l’edizione 2016 del Premio vedrà in concorso un altro graphic novel, anche se al momento non voglio azzardare previsioni sul titolo. Magari, con un po’ di concentrazione, pensando a qualche bravo autore italiano e a qualche editore particolarmente capace, si potrebbe già fare un pronostico…

Inserire un fumetto tra i concorrenti alla vittori diventerà un’abitudine, o una moda se volete, e il fenomeno si estenderà anche ad altri premi, più o meno importanti. Diventerà d’obbligo, come segno distintivo di modernità e vicinanza ai gusti dei lettori, o più semplicemente per non restare un passo indietro agli altri.

Ora, che Michele Rech non sia nella cinquina finalista dello Strega non deve suscitare né scandalo né indignazione. È semplicemente così che doveva andare. Dimentica il mio nome è un buon fumetto, ben scritto e ben disegnato, divertente e commovente, ma non un fumetto eccezionale, e per questo non era meritevole di rientrare nella rosa di finalisti del Premio, se ancora a quest’ultimo riconoscimento vogliamo dare l’importanza che gli editori si ostinano a conferirgli.

A un fumetto, come a una qualsiasi opera artistica, spettano dei riconoscimenti perché ne è effettivamente meritorio e non perché lo si guarda come un fenomeno di costume da seguire a ogni costo. E sarebbe stato quest’ultimo il caso dell’opera di Zerocalcare, proprio per questa immeritatamente sminuita della sua oggettiva bellezza (ma non grandezza) e incompresa da menti non ancora davvero allenate a comprendere il valore intrinseco di un libro a fumetti.

Angela Pansini


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