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Dell'incontrare Paolo Giordano a Milano.

Creato il 29 novembre 2012 da Tazzina @tazzinadi
 

Dell'incontrare Paolo Giordano a Milano.

Il Pavè, a Milano, è un posto stupendo. Un po' shabby chic, un po' sognante, profumi buonissimi, di pane appena sfornato, dolcini, focacce, vino e sedie e colori belli, delicati. Le mie foto non rendono giustizia. Milanesi, andateci più che potete, finanziate questo giovane piccolo mondo appena nato, soprattutto perché è il posto ideale per parlare di libri, non so come, si è creata un'atmosfera bella, adeguata, fin da subito. Ma c'è una ragione per cui ho fotografato così poco. 


Dell'incontrare Paolo Giordano a Milano.

Ieri sera dunque: incontro tra Paolo Giordano e una lieta congregazione di blogger (ma c'era anche qualche giornalista).  Non conferenza stampa, qualcosa di più raccolto. Per parlare insieme, a lungo, del libro e di tante cose. Dopo varie riflessioni filosofiche e architettoniche, si è deciso: lo scrittore siederà lì, su quella poltroncina. A rivederla adesso, sembra davvero portare il suo nome. Tutto intorno c'eravamo noi, in cerchio, una cosa bella, un tantino surreale. 


Dell'incontrare Paolo Giordano a Milano.

Laggiù alcune copie di Il corpo umano. Le mie foto vi sembreranno parche, meste, modeste. Ribadisco, c'è una ragione.

Dell'incontrare Paolo Giordano a Milano.

Ecco Paolo Giordano. Mi ostino a immortalare gli scrittori e le scrittrici ovunque io vada. Smetterò. Dico una cosa, che vale per tutti, indistintamente: essi sono sempre infinitamente, incomparabilmente più belli e belle di persona che in qualsiasi immagine voi possiate mai trovare su questo blog. Sappiatelo. Non son proprio capace.

Ma ecco la ragione di così poche foto, e di pochi tweet anche, se qualcuno avesse seguito l'hashtag #ilcorpoumano su twitter. Oddio, qualcosa ho provato a raccontare. Ma dovete sapere che.
Mi è stato offerto un incarico di responsabilità. 
Che, in confronto, la linea d'ombra (riascoltatela, se avete tempo...) è una passeggiata nei boschi a raccogliere fragoline selvatiche.
Gli amici di Mondadori, che non smetto di ringraziare per la visionarietà con la quale organizzano questi incontri, che infatti, a mio modesto parere, riescono sempre particolarmente bene e sono utili a fare il punto della situazione sui libri, a un certo punto hanno ben pensato di propormi di rompere il ghiaccio e cominciare per prima con le domande. In quanto torinese. Dunque per affinità elettive con l'autore. Affinità sabaude. 
Ora. Chiedere a un torinese di rompere il ghiaccio è come chiedere a un nero di non avere la musica nel sangue. Un'utopia. Ma è solo quando si ha il coraggio di sfidare grandi ambizioni, con il cuore aperto, che le cose funzionano. Infatti, è andata magnificamente. (Poi però vi mando il conto del cardiologo!).
Paolo Giordano, come si potrà facilmente immaginare, è un essere umano. Prezioso e raro, ma sempre umano. Quindi, sopportate le fotografie (vere e professionali) di rito, sembrava avesse tutte le intenzioni di stare a proprio agio per qualche ora, nella più assoluta normalità. 
E si è appollaiato sulla sua poltroncina.
Rotto il ghiaccio, gli ho domandato ciò che mi ero ripromessa. Ben sapendo che, poche ore prima, lo aveva intervistato Linus a Radio Deejay, così, per dire. Con quella calma lì.
Partendo dalla sua maestra Elizabeth Strout, la mia curiosità sulle sue opinioni a proposito di Limbo di Melania Mazzucco e sul percorso tramite il quale è arrivato a scrivere questo nuovo libro. Le domande poi di tutti si sono susseguite con un bellissimo ritmo ed erano davvero tutte molto pertinenti e interessanti e la formula assomigliava proprio a quella di una conversazione informale ma concentratissima. C'era una vera, sana curiosità di tutti.
Le cose importanti che mi ricordo. Perché la vera ragione per cui ho fotografato poco è che poi sono rimasta intrappolata e avvinta in questo dialogo così bello, così musicale che ci ha coinvolti tutti personalmente e direttamente che non riuscivo a interagire in modo serrato con le tecnologie. Poi si trattava di una situazione unica, forse irripetibile. Faticavo a staccarmi dal contatto visivo con gli altri e mettermi a scrivere trincerata dietro al computer. Comunque. Le cose importanti che mi ricordo. 
I personaggi del libro. Argomento principe. Credetemi, sono un coro di voci complesse, strazianti, liriche e bellissime. E, veniamo a sapere, corrispondono ciascuna a una parte della mente dello scrittore. Il che significa che sappiamo cosa è destinato a morire, cosa a proseguire nel tragitto. 
Della vita, della scrittura.
Sappiamo anche del divertimento che c'è stato in questo lavoro. Perché c'è anche questo. Per difesa personale, non vi dico l'orrore nel quale discenderete leggendo tutto il romanzo, perché certe emozioni sono troppo private e saprete voi come affrontarle. Però c'è stata anche la parte felice, il piacere di comporre che hanno gli artisti. Come lo ha detto ieri sera, mi pareva convincente.
La copertina. Fantastico. Sapete che la fotografa è la stessa della Solitudine dei numeri primi? Lei, una cosa meravigliosa. Non perdetevela. So che lo volevate sapere. E c'è un episodio incantevole. Ovvero. Paolo Giordano, prevedibilmente, tormentatissimo per questo problema della copertina (Bè, come dargli torto: sappiamo cosa ha scatenato quell'altra). Un bel giorno, in preda allo scoramento, dopo mille riflessioni, consulta il sito della fotografa. E trova la foto di un soldato abbracciato dalla sorella. Che è esattamente uno degli snodi della trama del romanzo. Il destino.
C'è da dire che questo romanzo sembra proprio puntellato da scatti del fato che, uno dopo l'altro, ci hanno rivelato una gioiosa complessità. In una parola. Non è un libro di guerra. Non solo. Non solo. Quando siamo lettori ci abituiamo a mettere l'etichetta. L'ex libris degli argomenti. Libro d'amore. Libro di formazione. Libro morboso. Libro a lieto fine. Libro di guerra.
No, no non facciamolo. Non in questo caso almeno. Paolo Giordano ci tiene. E devo dire, come lettrice, dopo ieri sera, ci tengo molto anche io. Perdere la varietà tematica e immaginifica di questo romanzo è perdere molto. 
Si è parlato delle donne. Di come ne escono fuori da questo libro. Ci ha spiegato che lui ha in mente sempre una donna, la sua, quando scrive. Ed è per lei che lo fa. Quindi ha scelto di raccontarle, le donne, con fedeltà e sincerità. Tutte in effetti sono costruite, come personaggi, in modo coerente e contraddittorio, non sono migliori degli uomini, come sarebbe invece facile scivolare in un libro di guerra. Ecco un'altra ragione per cui questo non è solo un libro di guerra.
Poi ci sono tutti i conflitti. C'è il lavoro di anni: difficile riassumerlo in poche righe, rielaborarlo. Immaginate l'attività frenetica del mio cervello in questo momento!
Ah, poi c'è quel fatto delle ragazze venete. Ma è solo per chi ha letto tutto il romanzo. Insomma, pare ci siano stati dei fraintendimenti e che certa stampa locale si sia mobilitata sui motivi per i quali l'autore sia a parte di certi segreti sulle abitudini di queste fanciulle. La risposta è: immaginazione, fantasia! 
Ecco un altro punto fondamentale. Lo dico davvero, per tutti quelli che passassero di qui, anche i più distratti. Questo è un concetto chiave per vivere sereni, per capire come va la vita. Gli scrittori sono creature meravigliose. Ma, a meno che non sia dichiarato, quello che raccontano NON necessariamente l'hanno vissuto. Davvero, è importante. Questo è il peggior equivoco che si possa creare intorno a questa questione. Faletti ha scritto Io uccido, ma non ha ucciso, veramente, nessuno. 
E siamo passati a parlare del politicamente scorretto, che dovrebbe essere in un certo senso uno dei principi del bravo scrittore. Non che egli sia cattivo, ma che sia libero di affrontare qualsiasi tema senza esser assimilato a ciò che ha scritto. Siamo nel 2012 ma gli scrittori si ritrovano ancora oggi a dover dipanare questa misteriosa, ambigua, vischiosa matassa. L'arte e la vita. Due rette parallele?
E infine i finali. Il tema del finale è un tema scottante per questo autore. Non c'è persona vivente che non abbia notato qualcosa di strano nel finale della Solitudine... 
Anche questa volta, dunque, ci siamo resi conto, c'è qualcosa di controverso. Al punto che ha ammesso. Sì. Ho un problema coi finali. 
E meno male, così non finirà di scrivere. C'era una domanda su questo che mi sono dimenticata di fare. Me l'aveva posta una ragazza di nome Silvia, via mail. Riguardava proprio i progetti futuri di altri romanzi. Silvia: gliel'ho scritta via mail, vediamo cosa ci risponde.
E poi ci sarebbero tante altre cose. I video, ad esempio. Li trovate qui. Il suo viaggio, quello che ha creato il paesaggio del romanzo. Il modo in cui i personaggi si costruiscono. Per gesti, per avvicinamenti. Il bisogno di silenzio e raccoglimento. 
Fine.

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