Non credo d’esagerare, soliti lettori, ipotizzando che ognuno di voi nel corso della sua vita si sia sentito dire almeno un centinaio di volte le seguenti frasi:
«Ma vai a farti un viaggio, che ti distrai e non ci pensi più!»
«… e così la smetti di tirare paranoie a tutti…»
«Ti fai quattro, toh, cinque giorni via e torni che sei un fiore, quanto ci scommetti?»
Ebbene: puntualizziamo.
Ammesso e non concesso ch’io, bontà del dannato nonnino Ryanair (pel quale nutro un profondo, genuino odio), prenda subito l’aeroplano e parta per ignoti lidi: credete forse ch’io possa tornare con due mani diverse? Che possa smetterla di «tirar paranoie» (a me stessa e ad altrui) su fraseggio, timbrica, groove e simili argomenti? Che i pensieri che mi martellano in testa possano svanir come neve al sole?
Cari i miei soliti e ingenui lettori, l’andarsene per poi tornare non è la soluzione: il viaggio materiale non v’impedirà di restare ancoràti, colla testa e col cuore, al vostro personalissimo mondo interiore.
Suvvia, partite. Partite pure.
Io v’avverto: vi ritroverete a contemplare un’immensa distesa d’acqua (o un’infinita campagna, o un’altissima montagna) pensando a… a…
«… pensando a cosa, Scribacchina?»
E che lo chiedete a fare, a me?
Manco fossi un oracolo.
I vostri pensieri son il vostro tesoro: abbiatene cura, non sprecateli.
Oppure confidateli, ma debitamente criptati.
Un po’ come faceva il buon Jaco quando affidava le sue segrete malinconie alla musica: