a cura di Iannozzi Giuseppe
Marcello Dell’Utri, parlando all’Androkronos, dà contro i giudici com’era facilmente prevedibile: “I giudici hanno ricicciato le stesse cose della sentenza di primo grado. Sono sostanzialmente le stesse accuse del primo processo. E’ una materia trita e ritrita, non c’è nulla di nuovo sono tutte cose che abbiamo già visto”. Aggiunge poi di essere “fiducioso” e che lo sarà fino “all’ultimo momento, altrimenti che faccio, mi uccido?”: “Non vedo come mi possono condannare sul nulla, ecco perché crede molto nel giudizio dei giudici della Corte di Cassazione. Saranno i miei avvocati cassazionisti ad occuparsi adesso del caso, prepareranno una difesa adeguata per rispondere a tutte le accuse e alle motivazioni della sentenza di secondo grado”.
Secondo i giudici: “Dell’Utri ha apportato un consapevole e valido contributo al consolidamento e al rafforzamento del sodalizio mafioso. [...] Marcello Dell’Utri ha svolto, ricorrendo all’amico Gaetano Cinà ed alle sue ‘autorevoli’ conoscenze e parentele, un’attività di ‘mediazione’ quale canale di collegamento tra l’associazione mafiosa Cosa nostra, in persona del suo più influente esponente dell’epoca, Stefano Bontate, e Silvio Berlusconi, così apportando un consapevole rilevante contributo al rafforzamento del sodalizio criminoso al quale ha procurato una cospicua fonte di guadagno illecito rappresentata da una delle più affermate realtà imprenditoriali di quel periodo. Una mediazione tra i boss e l’attuale presidente del Consiglio che durò per due decenni, con la quale avrebbe consentito all’associazione mafiosa, con piena coscienza e volontà, di perpetrare un’intensa attività estorsiva ai danni del facoltoso imprenditore milanese imponendogli sistematicamente il pagamento di ingenti somme di denaro in cambio di ‘protezione’ personale e familiare. [...] Non oltre il 1992 però, periodo dopo il quale i pagamenti sarebbero cessati, come dichiarato da quasi tutti i collaboratori di giustizia”.
I giudici della corte d’appello di Palermo presieduta da Claudio Dall’Acqua mettono in chiaro il ruolo svolto da Vittorio Mangano. Il mafioso fu assunto, su intervento di Marcello Dell’Utri, come “stalliere nella villa di Arcore non tanto per accudire i cavalli ma per garantire l’incolumità di Silvio Berlusconi”. I giudici ritengono credibile il collaboratore Francesco Di Carlo, che ha ricostruito il sistema di “relazioni” di Dell’Utri con Cosa Nostra. Credono inoltre molto ben fondato il suo resoconto su una riunione svoltasi a Milano nel 1975 “negli uffici di Berlusconi alla quale parteciparono, oltre a Dell’Utri, anche i boss Gaetano Cinà, Girolamo Teresi e Stefano Bontade che all’epoca era uno dei più importanti capimafia”. Si legge che “la presenza di Mangano ad Arcore avrebbe avuto lo scopo di avvicinarsi a Berlusconi, imprenditore milanese in rapida ascesa economica, e garantire la sua incolumità avviando un rapporto parassitario protrattosi per quasi due decenni”. Inoltre Berlusconi avrebbe pagato “ingenti somme di denaro in cambio della protezione alla sua persona e ai familiari”. Per i giudici “la vicenda dei pagamenti da parte del Cavaliere si intreccia con altri versamenti per la messa a posto della Finivest che all’inizio degli anni ’80 aveva cominciato a gestire alcune emittenti televisive in Sicilia”.
La Corte d’Appello ribadisce il suo giudizio circa la inattendibilità di Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo Vito. Per questo grave motivo i giudici avevano deciso di respingere la richiesta dell’accusa di fare deporre Ciacimino come teste: “L’incontestabile progressione accusatoria che caratterizza con ogni evidenza le dichiarazioni sul conto dell’imputato non può che irrimediabilmente refluire in maniera oltremodo negativa sull’attendibilità e sulla credibilità di Massimo Ciancimino. La Corte ha ritenuto che la pretesa rivelazione da parte del genitore sui presunti rapporti diretti Dell’Utri-Provenzano, che Massimo Ciancimino aveva peraltro taciuto per oltre un anno e 4 mesi, non era suscettibile di possibile utile approfondimento, oltre che manifestamente tardiva. Tutte le superiori considerazioni hanno dunque indotto la Corte a dubitare più che fondatamente della credibilità ed affidabilità di un soggetto come Massimo Ciancimino finora rivelatosi, sulla base degli atti esaminati dalla Corte e con riferimento a quanto riferito sul conto dell’ imputato, autore di altalenanti dichiarazioni che non ha esitato a rettificare o ribaltare nel tempo con estrema disinvoltura, senza supportare le sue oggettive contraddizioni con giustificazioni ragionevoli, accreditandosi come portatore di presunte conoscenze, quasi sempre de relato, perché attribuite alle pretese, ma non verificabili, rivelazioni di un padre defunto”.
Il portavoce del Pdl Daniele Capezzone: “Speriamo che la Cassazione faccia giustizia, è una condanna ingiusta. Di più: la Corte d’Appello ha chiarito che non c’è stato alcun patto politico o elettorale con la mafia, e ha smontato una serie di altri teoremi, a partire dalle assurde accuse di Spatuzza”.
Antonio Di Pietro, leader dell’Italia dei Valori: “Silvio Berlusconi va sfiduciato, tanto più dopo le motivazioni della sentenza Dell’Utri. Adesso che anche le sentenze parlano di rapporti ravvicinati tra la mafia e il Presidente del Consiglio, speriamo che si trovino 316 parlamentari che lo sfiducino. Ci auguriamo che ciò avvenga prima che Berlusconi faccia ulteriori danni al Paese e che distrugga completamente la nostra credibilità all’estero”.
Per il momento il Pd, tramite Vincenzo Vita, annuncia che si intende portare in commissione di Vigilanza sulla Rai il caso del “silenzio assoluto del Tg1 sulla sentenza Dell’Utri”: “Va bene che la notizia è arrivata solo alle 19 e 30, ma un notiziario con mezzi molto inferiori come quello di Mentana è comunque riuscito a inserirla tra i titoli e a montare in tempo un servizio completo e dettagliato. Evidentemente il direttore del Tg1 ha deciso di non farlo. Riproporremo presto in commissione di Vigilanza il caso del Tg1 di Minzolini, perché la situazione non è più tollerabile. La maggiore testata del servizio pubblico si è ormai ridotta ad arma contundente contro l’opposizione e di propaganda per il premier e la maggioranza. Stasera siamo arrivati al paradosso: il notiziario si è occupato di mafia dedicando un servizio al caso Maroni-Saviano, proseguendo poi nell’opera di demolizione del governatore Lombardo, proponendo un’intervista all’ex ministro Conso sui fatti del 1993, poi ancora un pezzo sull’audizione di Ciancimino jr.al processo De Mauro, ed ha chiuso l’ampia pagina sul tema con la cattura del boss Iovine. Silenzio assoluto, invece, tra i titoli del Tg, per le motivazioni della sentenza di condanna per concorso esterno del senatore Dell’Utri, che secondo i giudici ha fatto da mediatore tra Berlusconi e i boss. Minzolini si è limitato a far leggere la notizia dalla giornalista in studio in coda a tutti gli altri servizi”.
Per il capogruppo del Pd nella commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti “queste anticipazioni sono comunque sconcertanti per il presunto ruolo avuto dal senatore Dell’Utri nel rapporto di mediazione e collegamento tra la mafia e l’allora imprenditore, Silvio Berlusconi”. Emanuele Fiano (Pd) chiede invece con inutile ironia al ministro Maroni un parere sulle motivazioni della sentenza.
Ancora una volta assistiamo al triste spettacolo di una sinistra che non c’è e che si limita a fare melina. Antonio Di Pietro è l’unico ad avere le idee ben chiare in questa italietta del “volemose bene”.