Dell'Utri: la cronistoria dei contatti con le mafie dal 1992 al 2007

Creato il 10 marzo 2012 da Nottecriminale9 @NotteCriminale

di Federico Pignalberi
La quinta sezione penale della Cassazione ha confermato l'assoluzione in appello di Dell'Utri per le accuse di collusione mafiosa durante la stagione politica, che è dunque diventata definitiva. 
Secondo la Corte d’appello, nella parte della sentenza confermata dalla Cassazione, “mancano per il periodo successivo al 1992 prove inequivoche e certe di concrete e consapevoli condotte di contributo materiale ascrivibili a Marcello Dell’Utri aventi rilevanza causale in ordine al rafforzamento dell’organizzazione criminosa”. 
Per questo motivo il senatore è stato assolto in via definitiva dalle accuse che gli venivano contestate per il periodo successivo al 1992. 
Ma non tutti i rapporti del senatore con la criminalità organizzata sono documentati negli atti del processo, e molti altri sono stati minimizzati dai giudici. 
AgoraVox ha ricostruito, sulla base dei documenti di diversi procedimenti giudiziari, la cronistoria dei contatti oggettivi del senatore berlusconiano con le mafie dal 1992 al 2007. 
  6 maggio 1992. Nel primo foglio di un block notes Mont Blanc, utilizzato da Dell’Utri come agenda, datato 6 maggio 1992 è riportato il nome del boss mafioso Gaetano Cinà, coimputato di Dell’Utri in primo grado, poi deceduto. 
  Estate-autunno 1992. Nella stessa agenda di Dell’Utri, dal 12 giugno al 29 ottobre, sono segnati undici contatti con Filippo Alberto Rapisarda, uomo d’affari siciliano legato a Vito Ciancimino tramite Francesco Paolo Alamia (di cui era socio) con cui Dell’Utri ha lavorato negli anni ’70 come presidente e consigliere della Bresciano S.p.A. fino al fallimento della società. 
Lo stesso Dell’Utri, interrogato dai pm, ha confermato questi suoi incontri con Rapisarda. “Dal 1987 ad oggi i miei rapporti con Rapisarda hanno vissuto momenti buoni e meno buoni”, ha raccontato. Furono rapporti “di amicizia”, ma anche d’affari: sia perché Rapisarda “fece dei prestiti” al senatore, sia perché “insieme allo stesso Rapisarda ho costituito alcune società (…) immobiliari” che però “non hanno mai operato”. “Si trattava di rapporti sicuramente continuativi - conferma Dell’Utri - ma sicuramente con alti e bassi”. 
Allora il pm gli chiede perché ha continuato a frequentare Rapisarda nonostante egli stesso lo avesse definito “megalomane e poco affidabile”. 
Dell’Utri risponde: “I miei rapporti con il Rapisarda manifestano effettivamente questa contraddittorietà, che con una battuta potremmo definire di ‘odio-amore’. Da un lato non mi sono mai fidato di lui, ma d’altro lato non sono stato capace di interrompere definitivamente questi rapporti perché è una persona molto simpatica e affascinante”. Al cuore non si comanda. 
  10 marzo 1993. Nello stesso blocco d’appunti, in corrispondenza di questa data, è annotato: “Cinà per Standa è privilegiato 19,15”. 
  Aprile - Novembre 1993. In una nuova agenda del senatore sono riportati altri otto contatti con Rapisarda. 
  2 novembre 1993. A pagina 315 della stessa agenda, corrispondente alla data del due novembre, è stato annotato: “Mangano Vittorio sarà a MI x parlare problema personale”. 
  Novembre - Dicembre 1993. Altri cinque contatti con Rapisarda. 
  28 gennaio 1994. Nella nuova agenda - block notes del senatore si legge: “documenti a Rapisarda”. 
  4 - 14 Febbraio 1994. Alle 15,55 il principe Domenico Napoleone Orsini, massone ed esponente dell’aristocrazia nera romana, chiama il cellulare di Tullio Cannella, imprenditore vicino ai Graviano e braccio politico di Bagarella che ha ospitato i Graviano durante la loro latitanza e che per conto di Cosa nostra sta seguendo il progetto politico di Sicilia Libera. 
La telefonata dura solo otto secondi, ma venti minuti dopo Orsini parla per più di sei minuti con la sede di Sicilia Libera, utilizzata per lo più da Cannella e da un suo compare. In serata, dopo quelle telefonate, alle 18,43 Orsini telefona a Dell’Utri nella villa di Arcore e ci parla per quasi tre minuti. 
Il 7 febbraio Orsini telefona di nuovo all’ufficio di Tullio Cannella nella sede di Sicilia Libera, stavolta per tredici minuti. Il giorno dopo telefona a Dell’Utri due volte, prima alle 10,42, poi alle 11,37. Il 9 e il 10 febbraio il principe Orsini telefona a un numero intestato alla Della Valle Immobiliare a Roma, numero contattato più volte anche da Dell’Utri (Renato Della Valle era il socio immobiliarista di Berlusconi, nonché l’amico a cui, nel 1988, il premier confidò le minacce ricevute dalla mafia a carico dei suoi figli). 
Sempre il 10 febbraio Orsini telefona anche a Cesare Previti. Il 14 febbraio il principe telefona di nuovo a Dell’Utri. 
  7 – 10 Febbraio 1994. In un’agenda di Dell’Utri, sotto una data compresa tra il 7 e il 10 febbraio 1994, si legge: “D’Agostino Giuseppe che due anni fa è venuto insieme a Francesco Piacenti e Carmelo Barone”. Giuseppe D’Agostino e Francesco Piacenti sono due affiliati al clan Brancaccio capeggiato dai fratelli Graviano con cui sono stati arrestati per averne favoreggiato la latitanza. Carmelo Barone, di cui Dell’Utri in un’altra agenda annota con scrupolo i numeri di telefono, è amico di un paio di affiliati alla stessa famiglia mafiosa. 
  Febbraio - Marzo 1994. Dal 28 febbraio all’otto marzo ancora tre contatti con Rapisarda. 
  12 ottobre 1998. Dopo una serie di contatti telefonici Marcello Dell'Utri si incontra nei suoi uffici a Milano con Natale Sartori, imprenditore messinese in odore di mafia sospettato di essere dedito al traffico di eroina. Sartori, pedinato dagli investigatori della Digos, appare agitato e si trattiene in macchina una buona mezz'ora prima di entrare negli uffici di Dell'Utri. 
Da alcune telefonate intercorse lo stesso giorno tra Sartori, Curtò e Formisano si evince che l'oggetto dell'incontro tra Dell'Utri e Sartori è la preoccupazione di entrambi per la pubblicazione dei verbali del pentito Vincenzo La Piana, secondo cui Dell'Utri sarebbe stato disponibile a finanziare una partita di cento chili di cocaina colombiana. 
  23 dicembre 1998. Alle 20,43 Dell’Utri riceve una telefonata da Pino Chiofalo, veterano e spietato sanguinario di Cosa nostra che, uscito dal carcere in vista del parto della moglie, appena mette piede in casa compone il numero del senatore. La telefonata è criptica: Chiofalo non chiama Dell’Utri per nome, ma solo “dottore”. E parla per sottintesi: “abbiamo parlato a lungo di tutto”, “stiamo facendo qualcosa”, “ho preso parte a questa situazione”, “ho bisogno che ci sia qualche intervento”, “ho messo in moto un certo discorso”. Dell’Utri, che capisce subito, risponde sempre in modo affermativo. Poi, quando Chiofalo chiede al senatore di poterlo incontrare di persona, lui, senza esitare, risponde: “Benissimo”. “Buon anno ce lo facciamo di persona” dice Dell’Utri a Chiofalo. 
  30 dicembre 1998. I due si risentono. Si mettono d’accordo per incontrarsi il giorno seguente. Chiofalo dà indicazioni a Dell’Utri su dove dirigersi e si accordano sull’ora. Hanno bisogno di riservatezza, non vogliono essere visti: “Poi veniamo qui a casa mia che è un posto ritirato”, dice Chiofalo al senatore, “poi ci togliamo dalla strada”. E, ancora criptico, per paura di essere intercettato: “Qui siamo in un posto diverso da là, perché qui è un po’ più ritirato”. “Eh, benissimo”, risponde Dell’Utri che di nuovo capisce al volo. 
  31 dicembre 1998. Prima di incontrarsi, alle 9,38, i due si sentono al telefono. Dell’Utri si fa chiamare da Chiofalo “il dottor Delfino”, una sorta di nome in codice. Lo avverte che sta per partire e che porterà un po’ di ritardo. “Pranza qua con me a casa mia?” gli chiede Chiofalo. “Ah, io… sono a sua disposizione”, risponde Dell’Utri che non si fa problemi a mettersi a disposizione di un mafioso. Parlano un po’ dei figli e Dell’Utri si mette in viaggio. Alle 14 il senatore chiama il mafioso e lo avverte: “Siamo seguiti… da una Rover… che ci ha fatto delle foto”. “Hanno fatto delle foto insieme?”, chiede Chiofalo preoccupato. “Sì, sì, quei due là”. “Adesso scompariamo comunque”, lo rassicura. “Lei ci spiego io, scompariamo del tutto”. I due arrivano davanti alla casa di Chiofalo e vanno a parlare nel box. Salgono da Chiofalo, ma solo per dieci minuti: Dell’Utri, che sarebbe dovuto rimanere a pranzo, rimane digiuno. Alle 14.55 sale in macchina e torna a casa. Di quell’incontro Chiofalo racconterà che Dell’Utri gli disse: “Confermi le dichiarazioni (contro i pentiti che mi accusano, ndr) e la farò ricco”. 
  1999. Cosa nostra fa campagna elettorale per Marcello Dell’Utri, candidato alle europee. Carmelo Amato, picciotto e postino di Bernardo Provenzano, nella sua autoscuola, usata come ufficio dal capo di Cosa nostra, invita gli altri mafiosi a “votare Dell’Utri perché sennò lo fottono”. In un’intercettazione ambientale del 21 maggio 2001 il boss Giuseppe Guttadauro, parlando con un tale Pino, dirà che “Dell’Utri nelle elezioni del ’99 prese degli impegni”, e, in un’altra intercettazione ambientale del 29 maggio 2001, parlando con lo stesso Pino, che “quello con cui Dell’Utri ha preso l’impegno è stato quel cristiano, questo Iachino Capizzi (Gioacchino Capizzi, ndr), quello di sessantotto anni”. 
  2003. In una telefonata intercorsa tra due affiliati al clan Santapaola, Alfio Mirabile e Francesco La Rocca, intercettati nell’ambito di un inchiesta relativa alle infiltrazioni mafiose nella costruzione del Parco Tematico di Regalbuto (in provincia di Enna), parlano degli appalti che il progetto può assicurare. Salta fuori il nome di Dell’Utri. “Dell’Utri era quello che diceva: il lavoro lo deve fare Tizio”. “La chiave, io l’ho detto, è Dell’Utri. Ora ce la vediamo noi a Roma”. 
  26 giugno 2003. Dell’Utri parla al telefono con Sara Palazzolo, imputata per mafia e sorella di Vito Roberto Palazzolo, uomo d’onore della famiglia mafiosa di Partinico e latitante in Africa sotto falso nome che ha bisogno di alleggerire la sua posizione processuale e le “richieste di assistenza internazionale”. In questa telefonata Dell’Utri accetta di incontrarsi con Vito Roberto Palazzolo per il tramite della sorella. Interrogato come testimone in un altro processo, Dell'Utri ha confessato di essersi dimostrato disponibile ad aiutare il boss: “Accettai di incontrarlo per consigliarlo su come difendersi al meglio”. 
  3 luglio 2006 .Alle 21,13 intercorre una telefonata tra Francesca Surdo, poliziotta palermitana in servizio presso lo S.C.O del ministero degli Interni, e il faccendiere Rodolfo Grancini. Entrambi sono indagati per associazione a delinquere perché secondo i magistrati palermitani farebbero parte di una consorteria che serve ad aggiustare in Cassazione i processi (anche a importanti boss mafiosi) di cui farebbero parte imprenditori e uomini dello stato insieme ad affiliati alla massoneria e alla criminalità organizzata siciliana. Grancini racconta alla poliziotta che gli sono “andati a parlare” tre carabinieri, “un colonnello di Asti, uno di Prato, un altro del Ministero della Giustizia, per parlare con lui”. “Con lui chi?”, chiede la Surdo. “Con Marcello”. “Ah, sì”, risponde lei. “E io - spiega Grancini - li ricevo nelle sacrestie delle chiese” perché “non ci sono microspie lì, hai capito. Oppure li porto sopra nelle stanze segrete, perché volevano scendere in politica”. Rodolfo Grancini, ex presidente a Orvieto del Circolo del Buon Governo dello stesso Dell’Utri, verrà condannato in primo grado a sei anni e sei mesi per concorso esterno in associazione mafiosa (di lui i pm scriveranno che sarebbe stato il “coprotagonista di tutti gli episodi delittuosi, vero e proprio trait d’union tra la Cassazione, gli ambienti massonici siciliani e alcuni esponenti di vertice dell’associazione Cosa Nostra”). Francesca Surdo finirà in manette e patteggerà la pena, ma non per mafia. 
  2 febbraio 2007. Gioacchino Arcidiaco, affiliato alla ‘ndrina Piromalli di Gioia Tauro, telefona a Dell’Utri. “Ci siamo sentiti un paio di giorni fa, tramite Aldo Miccichè”. Dell’Utri lo conosce: “Ah, come no?!! Certo, sì, sì!”. Arcidiaco vuole fissare un appuntamento. Decidono per il giorno seguente. 
A Milano, in Via Senato 12. Più tardi Arcidiaco chiama Aldo Miccichè, un politico della vecchia DC calabrese oggi latitante in Venezuela a causa di diversi processi per cui è stato condannato, in tutto, a 25 anni di carcere. Arcidiaco è il suo pupillo e insieme stanno cercando di risolvere i problemi del clan, in guerra con la famiglia Molè. 
Hanno bisogno di alleggerire la condizione carceraria di Giuseppe Piromalli, capo storico della famiglia, sottoposto al carcere duro, affinché possa tornare a prendere le redini del clan in questo momento delicatissimo. Miccichè spiega ad Arcidiaco cosa dovrà dire, il giorno seguente, a Dell’Utri: “Fagli capire che il porto di Gioia Tauro lo abbiamo fatto noi”; “fagli capire che in Calabria o si muove sulla Tirrenica o si muove sulla Ionica o si muove al centro ha bisogno di noi… hai capito il discorso?”; “Aldo pigliava 105mila voti: la Piana, la Piana è cosa nostra, facci capisciri”. 
Ancora più tardi, alle 21,28, Marcello Dell’Utri chiama Miccichè. Il figlio di Dell’Utri andrà ospite da lui in Venezuela, Miccichè “non vede l’ora che arrivi” e spiega al senatore di essere capace di spostare “un minimo di 40mila voti nella provincia di Reggio Calabria”. “Questo è importante”, risponde Dell’Utri. 
  3 febbraio 2007. Marcello Dell’Utri incontra Gioacchino Arcidiaco. In una telefonata tra i due successiva all’incontro si sente Dell’Utri che si rivolge a persone a lui vicino e dice: “C’è il ragazzo che è venuto prima che si chiama Arcidiacono Gioacchino”. Si mettono d’accordo per un nuovo incontro perché Arcidiaco ha offerto la disponibilità del clan di costituire dei Circoli della Libertà in Calabria, e Dell’Utri ha accettato. Dice ancora Dell’Utri agli interlocutori che gli stanno vicino: “(Arcidiaco) deve incontrare te o Simone o tutti e due, perché deve fare i circoli a Gioia Tauro e in altri posti… a che ora, a che ora possiamo farlo salire?”. Si mettono d’accordo per le 15,30 del giorno dopo.

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