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Dell’Utri ladro di libri. Il ministero ha fatto da palo?

Creato il 30 gennaio 2013 da Albertocapece

bibliotecaAnna Lombroso per il Simplicissimus

Letteratura e cinematografia sono pieni di collezionisti pronti a qualsiasi delitto per assicurarsi l’oggetto del loro desiderio. E la storia di nazisti che accompagnano l’esecuzione di civili con la colonna sonora della cavalcata delle Walkirie o gangster in lacrime ascoltando Caruso.
Forse avevamo sottovalutato la coazione ossessiva alla raccolta di improbabili cimeli e la passione per l’antiquariato e le arti di Dell’Utri, che invece si colloca bene nel solco della tradizione dei malfattori acculturati, ma che non ha dovuto sottoporsi a prove ardue per ottenere le preziose e ambite opere d’arte libraria: o per essersi accontentato di sgangherate patacche o per aver avuto al suo servizio solleciti collaboratori, premurosi manovali o compiacenti ministri.

Ma stavolta la passione insensata lo ha tradito e il senatore del Pdl è finito nei guai per concorso in peculato per alcuni libri antichi sottratti alla storica Biblioteca dei Girolamini a Napoli che avrebbe ricevuto dall’ex direttore De Caro, già arrestato. È il risultato della seconda tranche di una inchiesta della Procura di Napoli che aveva mandato in carcere cinque “topi di biblioteca” e che ieri ha fatto emettere altri sei provvedimenti di custodia cautelare per la sottrazione di 1500 volumi e manoscritti. Prima in carcere era finito Massimo Marino De Caro, già consigliere del Ministro per i Beni e le Attività culturali e direttore della struttura fino al 19 aprile 2012 quando aveva annunciato la sua autosospensione dall’incarico dopo il sequestro della struttura. E nel registro degli indagati c’era finita anche Maria Grazia Cerone, collaboratrice del senatore Marcello Dell’Utri. Ora si aggiungono altri sei accusati di associazione a delinquere finalizzata al peculato, alla falsificazione ed alla ricettazione, segnalati tra l’altro da noti antiquari che hanno iniziato a collaborare con gli investigatori.
Si sa che lo spirito del tempo è segnato dal declino della responsabilità e dalla inconsapevolezza come un contagio prodotto dalle tre scimmiette, da mani sinistre che non sanno cosa la destra, da casseforti impenetrabili, carte tenute segrete, misteri lunghi decenni.

Ma sarà impervio per il silente ministro Ornaghi tacere sugli allarmi ricevuti a proposito della discutibile personalità del De Caro e sulla sua improvvida nomina a direttore della Biblioteca, voluta è vero dai padri filippini, ma avallata dal Ministero, che ne è ultimo responsabile. In occasione della quale si è levata una vera insurrezione da parte di personalità della cultura formalizzata in un appello a Ornaghi, dal quale non è inutile estrapolare qualche riga:”Le chiediamo come sia possibile che la direzione dei Girolamini sia stata affidata dai padri filippini, con l’avallo del Ministero che ne è ultimo responsabile, a un uomo (Marino Massimo De Caro) che non ha i benché minimi titoli scientifici e la benché minima competenza professionale per onorare quel ruolo. E perché questa scelta sia stata fatta in un Paese e in un’epoca affollati fino all’inverosimile di espertissimi paleografi, codicologi, filologi, storici del libro, storici dell’editoria, bibliotecari, archivisti, usciti dalle migliori scuole universitarie e ministeriali, e finiti sulle strade della disoccupazione o della sotto-occupazione (call centers, pizzerie, servizi di custodia). Le chiediamo inoltre di spiegarci come mai Marino Massimo De Caro, sebbene del tutto estraneo al mondo della biblioteconomia e della funzione pubblica, abbia avuto e abbia comunque curiose implicazioni con i libri, che lo portano tuttavia nel mondo del commercio, facendo emergere fin qui – sempre e soltanto – episodi degni di essere vagliati non da una commissione di concorso, ma dalle autorità giudiziarie (sia pure con l’auspicio dell’innocenza)”.

Si, non poteva non sapere. Mentre invece era evidentemente all’insaputa che la Biblioteca statale dei Girolamini a Napoli è una delle biblioteche storiche più gloriose d’Italia, nata dalla passione culturale della congregazione di San Filippo Neri. Che per volontà di Giovan Battista Vico, in essa confluirono i libri di Giuseppe Valletta: pegno vivo di una stagione in cui Napoli era un crocevia del pensiero filosofico europeo e vera capitale della Respublica literaria universale. Che dopo le enormi perdite e trasformazioni di altri fondi librari avutesi nell’Ottocento, era Napoli a possedere ormai quest’unico esempio particolare di biblioteca pubblica di origine preunitaria, coerente nell’architettura e nelle raccolte ospitate.

Si, lo doveva ignorare di sicuro, altrimenti non avrebbe favorito, fino a farne suo consigliere personale, un figuro privo di un curriculum adeguato e perfino di una laurea, ma iperdotato della protezione di un padrino, forse “cliente”, così ingombrante.
In attesa di un sequel di Operazione San Gennaro, c’è poco da interrogarsi sulla non certo nuova commistione tra malavita, criminalità economica e beni artistici.

Si dice che nelle società libere, la cultura è una delle tre “funzioni sociali” sulle quali si reggono le nostre società: economia, politica e, per l’appunto, cultura.Tutti i bisogni sociali sono ascrivibili a uno degli elementi di quella triade, elementi che, variamente configurati, intrecciati, coordinati o messi in gerarchia connotano il modo d’essere e di reggersi dell’assetto democratico. C’è poco da stare allegri se ogni giorno abbiamo la conferma che siamo stati espropriati di tutte e tre quelle funzioni, se una manomissione della Costituzione ha cancellato la sovranità dello Stato e le dimissioni del Parlamento dalla decisionalità in materia economica, se si avvicina una scadenza elettorale che minaccia di essere una stanca liturgia officiata secondo un rito che esclude i cittadini dalle scelte, nella quale le due coalizioni che si contendono la vittoria hanno programmi largamente coincidenti e intesi a confermare con decisione disuguaglianze e soppressione di garanzie e diritti, se i beni culturali, il sapere, l’istruzione e la conoscenza diventano prodotti da mettere in vendita alienandone il possesso e il godimento di tutti i cittadini. E se serve ancora una volta una inchiesta giudiziaria a denunciare quello che è sotto gli occhi di tutti, ma tollerato, favorito, promosso, nelle rappresentanze politiche, nelle istituzioni finanziarie, nei beni culturali che sono sempre meno comuni e sempre più malati.


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