In questo periodo si è tanto sentito parlare di orgoglio, per se stessi, per l’appartenenza ad una nazione o ad un squadra. Siamo orgogliosi del nostro Palermo, le bandierine degli antichi fasti del 2004 sono state riportate a nuova vita, riappese tra le vie del centro e la gente sembra aver trovato nuovo coraggio, sembra essere pronta a questa battaglia tutta palermitana. Ho letto e sentito persone indignarsi per tutto ciò, ma in fondo perché?
Il calcio è uno di quei fenomeni in grado di coinvolgere masse eterogenee: allo stadio, davanti ad una televisione o ad un maxi schermo, si trova gente di tutte le età, di qualsiasi estrazione sociale, persone che discutono, dibattono, si abbracciano o litigano. Un’energia che travolge, un orgoglio di appartenenza e di riscatto che prendono vita e forma in 90 minuti o poco più. Ma non finisce là, quel fiume in piena di gente esultante trabocca dalle piazze, dagli stadi, giungendo dritta dritta tra la gente a cui non interessava per niente. La festa coinvolge ed emoziona. Un rigore, una punizione ben piazzata, un gol contro una squadra notoriamente forte, ed ecco un terremoto emozionale con epicentro allo stadio che si sposta fino a coinvolgere un’intera città.
Lo seppe capire Saba lo spirito dei tifosi, a cui dedicò ben cinque poesie. Il suo amore per questo spirito di gruppo nacque dalla sua curiosità nei confronti della massa, così un giorno, accompagnò la figlia a vedere una partita della Triestina, e non lo fece certo con piacere, lo irritava il clamore e l’atteggiamento dei tifosi, ma una volta lì, uno tra tutti, investito da quell’entusiasmo se ne appassionò. Si appassionò a quel gruppo di persone che si trovava intorno, ai bambini che sognavano il loro riscatto e la loro gloria in quel gioco, fatto da giocatori delle volte superbi.
La vittoria è vista come gioia fraterna, i giocatori stessi sono fratelli “pronti a difendere la madre”, la propria squadra e questo la folla lo capisce, lo avverte: si sentono tutti figli di una stessa maglia. Continua descrivendo la gioia della vittoria della squadra più debole contro quella più forte, molto spesso per denaro, e parla di lacrime ipotizzando la stessa commozione e felicità nel vedere Davide uccidere il gigante Golia.
Il calcio è e sarà il momento di massima unione popolare aldilà delle questioni politiche, di quelle religiose, tutti saranno a tifare la nostra squadra. Ovviamente questo porta ad altri tipi di divisioni, ma il calcio è coinvolgimento popolare, è l’unica possibilità di gloria di massa, di gloria accessibile e non dolorosa, forse anche meno faticosa.
Domenica il Palermo giocherà la sua partita contro Golia e la città si prepara con il suo abito da festa rosa-nero, come si prepara al festino, la santa e la squadra, preghiera e tifo ultrà due facce della stessa medaglia. Ora non rimane che godersi lo spettacolo, scendere in piazza e tifare o almeno, per chi non l’ha mai fatto, mettersi alla prova e immergersi in questo gruppo festante, avvolti dalle urla, l’incertezza, l’entusiasmo, le imprecazioni, così dall’inizio alla fine, cori e canti che accendono le parti più primordiali di ognuno di noi. Fare un gol vedere un gol, è realmente parte della storia, che lo vogliate o no, rimarrà nella memoria collettiva in quanto capace di aver dato voce al desiderio di cambiamento, di successo. Qualsiasi lavoro si faccia, se la propria squadra segna il punto, si è tutti qualcosa di più, vincitori nonostante il mutuo, le bellette e le tristezze di tutti i giorni. Pura adrenalina popolare.
E domani tutti quelli che saranno a Roma o davanti ad uno schermo a Palermo potranno dire “della festa anch’io son parte”.