Per la prossima estate è attesa la pubblicazione di una Enciclica di Papa Francesco dedicata ai cambiamenti climatici. Il 28 aprile Francesco ospiterà una conferenza sulle "dimensioni morali del cambiamento climatico e dello sviluppo sostenibile". L'attenzione della Chiesa per queste tematiche è una buona notizia. Sicuramente fonte di riflessione e, spero, di azione per molti. Le anticipazioni sull'enciclica potete leggerle nell' intervista di QualEnergia al Cardinale Peter Turkson. Da parte mia ripesco questi appunti di alcuni anni fa.
A torto o a ragione spesso si sostiene che il pensiero scientifico non ha in debita considerazione le aspirazioni squisitamente umane che sarebbero di pertinenza del discorso religioso. In due parole il centro del discorso che la scienza non avrebbe capito - o avrebbe dimenticato - è il rapporto tra "verità e metodo" di cui si parla in proporzione inversa a quanto se ne sa. A una attenta analisi emerge che per certi versi la scienza, almeno in alcune delle sue filiazioni, non è esente da questo vizio di fondo che viene da molto lontano e che trova il suo fondamento proprio nella cultura religiosa di questa parte di mondo che del resto ha dato origine allo stesso discorso scientifico.
E' indubbiamente vero che la nostra epoca, apparentemente dominata (solo apparentemente) dai valori della razionalità, non sia proprio idilliaca e merita una critica se non un rifiuto in molte sue manifestazioni. Non intendo un rifiuto della scienza come desiderio di conoscenza e metodo epistemologico, ma della deriva tecnicista che si manifesta in una visione del mondo esclusivamente tecnico-strumentale e nella monopolio di valori di ordine ingegneristico come l'efficienza. Questi valori dominanti si oggettivano nella crescita economica, nell'efficienza della produzione, nell'accumulo di risorse, ecc. a scapito di valori umani che fanno capo alla ricerca della felicità, allo sviluppo delle emozioni, della solidarietà e dell'empatia e che non sono di pertinenza del discorso scientifico, sebbene non esulino dal più ampio contesto del discorso razionale. A ogni modo il terreno di realizzazione dei valori umani è l'etica che non può essere "l'etica a bassa definizione" di ordine strettamente privato che caratterizza l'attuale dibattito politico e religioso, ma l'etica pubblica delle relazioni con l'altro che in virtù della sua irripetibilità, molteplicità ed individualità dovrebbe essere anteposto all'Essere (diffidare sempre delle parole maiuscole) unico dell'ontoteologia o delle leggi universali della scienza.
A mio avviso la natura del "vizio della scienza", fenomeno tipicamente occidentale, può essere rintracciata nelle sue radici storiche che in occidente sono saldamente cristiane, come ci assicura più di un Papa. Nella cultura giudaico-cristiana l'uomo celebra il suo delirio di onnipotenza nell'incarnazione di Dio ma anche la scienza di Bacone e di Cartesio nasce dalla stessa sofferenza e conserva una simile aberrazione. La nota massima di Bacone, "scienza è potenza", celebra la potenza in termini di dominio sulla natura più che di possibile umano, ("riempite la terra e soggiogatela, [...] dominate su ogni essere vivente che si muove sulla terra", dice Dio all'uomo e alla donna), e per Cartesio la centralità dell'io ipertrofico in "io penso, dunque sono" è l'unico fondamento indubitabile, tema peraltro già presente nei Soliloqui di Sant'Agostino! Deve essere comunque considerato che Bacone poneva il primato etico della carità nelle sue opere, pertanto la critica non può essere rivolta a Bacone, e sospetto neanche a Cartesio, ma a ciò che di questi pensatori è stato compreso da parte di una umanità che non può certamente vantare pari statura né intellettuale né morale.
E' probabile, ma non lo sapremo mai, che se la moderna società avesse preso avvio da un'idea di condivisione della natura e da un io meno traboccante le cose oggi potrebbero essere differenti.
I greci antichi avevano già chiara l'idea di un uomo che condivide la natura, regno della necessità, con gli altri enti naturali, quindi se oggi abbiamo compreso queste idee (per la verità siamo costretti ad abbracciarle con riluttante resistenza) non è un problema di sviluppo storico del pensiero, ma di un ritorno a idee già acquisite nella storia, dalle quali vi è stato un allontanamento.
Non vorrei sbagliarmi, ma nell'atto di nascita della tanto invisa scienza moderna si scorgono gli stessi schemi che hanno partorito il cristianesimo, sebbene in forma secolarizzata. Non che questa considerazione sia così originale, già nel 1967 Lynn White Jr. pubblicò su Science un celebre quanto contestato articolo sui nessi tra la cultura giudaico cristiana e la crisi ecologica, più recentemente il tema della derivazione dalla cultura giudaico-cristiana della cultura antropocentrica e del dominio sulla natura è stato trattato da Umberto Galimberti nel suo monumentale Psiche e Techne (Psiche e Techne. L'uomo nell'età della tecnica. Feltrinelli, 2005, p. 477). Ad ogni modo a me sembra sia importante capire se l'attuale visione del mondo fosse già in nuce alla nascita del pensiero scientifico o se questo pensiero non sia stato partorito nell'unica forma che poteva avere per sopravvivere alla censura teologica.
Indubbiamente la genealogia della modernità è di fondamentale importanza, e non possono essere brevi pensieri a dipanarne la matassa, ma resta il fatto che alle vecchie cattedrali ne sono subentrate altre: fabbriche, centri commerciali, ospedali e via dicendo, senza che il nocciolo della questione mutasse e anziché dire sì alla vita il nostro unico sì è sempre più ridotto a domande del tipo "paga con carta di credito?".