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Della scuola cantautorale italiana, emblema dell’egemonia culturale a sinistra?

Creato il 06 aprile 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
Foto006«Se non ci fossero stati i Cantacronache e quindi se non ci fosse stata anche l’azione poi prolungata, oltre che dai Cantacronache, da Michele L. Straniero, la storia della canzone italiana sarebbe stata diversa. Poi, Michele non è stato famoso come De André o Guccini, ma dietro questa rivoluzione c’è stata l’opera di Michele: questo vorrei ricordare».
Umberto Eco
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di Rina Brundu. La domanda di cui al titolo non è perigrina e come sappiamo della “spinosa” questione se ne è attivamente occupato, tra i tanti intellettuali, lo stesso Umberto Eco. A dire il vero le “scuole” cantautorali italiane sarebbero state diverse dopo che il termine “cantautore” fu creato “nell’ambito della casa discografica RCA da Ennio Melis e Vincenzo Micocci nel 1959 per il lancio di Gianni Meccia”, almeno così si legge. Quindi partendo da Modugno, occorrerebbe passare proprio all’esperienza torinese dei sucitati “Cantacronache, con esponenti quali Fausto Amodei, Sergio Liberovici, Michele Straniero e Margot che da un lato recuperano tutta la tradizione della musica popolare italiana, dall’altro producono nuove canzoni, spesso in collaborazione con intellettuali come Italo Calvino ed Umberto Eco (di nuovo!), inserendo nei testi delle canzoni nuove tematiche come le morti sul lavoro (La zolfara, del 1959) l’opposizione alla guerra (Dove vola l’avvoltoio, 1961) le lotte operaie (Per i morti di Reggio Emilia, 1960)”. Il tutto prima di arrivare agli anni ‘60 fatti musicalmente grandi da quei mostri sacri che ciascuno di noi conosce molto bene: Luigi Tenco, Gino Paoli, Sergio Endrigo, Bruno Lauzi, Giorgio Gaber, Enzo Jannacci, Fabrizio De Andrè, Francesco Guccini, Lucio Dalla, De Gregori e giù giù fino ai sempre grandi Antonello Venditti, Franco Battiato, Edoardo Bennato, Renato Zero, Ivan Graziani… solo per citare i più noti nel mucchio.

Ma non è per fare una lista dei cantautori italiani e/o delle loro arcinote canzoni che butto giù queste note scarne. Lo faccio per lo più per dettagliare la risposta che ho trovato all’altra domanda che mi ponevo pochi giorni fa: “Ma da cosa nasce il mito dell’egemonia culturale a sinistra? Il giornalismo, la scrittura, la poesia raccontano infatti un’altra storia…”. Insomma, partendo dal presupposto che per quanto mi riguarda un’egemonia culturale può essere vantata solo quando c’é un patrimonio creativo che la giustifica (altra cosa è l’intellettualità che si esercita con la critica, la saggistica, le esegesi più o meno impegnate e più o meno erudite), io mettevo in dubbio la supposta superiorità culturale (letteraria?) a sinistra nell’Italia moderna. Naturalmente non l’ho fatto per interesse di casacca partitica (non ho mai votato in vita mia se non la prima volta a 18 anni e non ho mai sostenuto un’idea politica se non con una profonda onestà di visione di fondo, sempre pronta a cambiare strada non appena percepivo che il mio approccio onesto di fatto non rifletteva nel modello di riferimento attualizzato dai propugnatori), ma semplicemente perché, dati alla mano, la produzione artistica italiana, e soprattutto internazionale, di ora e di sempre, racconta dinamiche molto diverse.

Benché resti convinta che la capacità creativa tout-court sia per lo più prerogativa degli spiriti fondamentalmente anarchici (che per loro natura rifiutano le casacche politiche!), non posso ignorare il fatto che quella stessa capacità, nel corso della storia letteraria umana, sembrerebbe essere stata estrinsecata al meglio soprattutto da autori portatori di visioni (in senso lato) che oggidì non facciamo fatica a chiamare di destra. Per meglio dire, fatte salve alcune eccezioni (Gabriel Garcia Marquez il primo fra tutti!) non sembrerebbe che l’essere creatori di grandi universi immaginifici, di cosmogonie che restano impresse nella memoria, di characters immortali che modellano i nostri pensieri sin dalla più tenera età e per generazioni, faccia equazione con le necessità di un’anima troppo ribelle, a suo modo rivoluzionaria, portatrice, anche, di valori nobilissimi quali possono essere quelli della sinistra più vera. Non sembrerebbe insomma che la grande poesia, la grande letteratura, il grande teatro si sposino con questo genere di idealità e a giustificazione del mio dire portavo l’esempio del nulla prodotto a livello letterario, poetico, teatrale nell’italia post-seconda mondiale. Un nulla che per certi versi è marcato da un tratto straordinario, dato che esistevano tutte le condizioni – incluso un gigantesco e simpatizzante paratesto fornito dagli editori di sinistra, dagli intellettuali di sinistra, dai media di sinistra, dai tempi-cool di sinistra – per fare bene. Per fare davvero bene.

Fin qui tutto chiaro dunque, il conto mi tornava. E mi tornava a dispetto dei milioni di alberi innocenti ridotti in polpa di legno per stampare libri, libercoli, saggi, pseudo-saggi, depliant etc etc, determinati a dimostrare il contrario. Poi però ho dovuto fare un passo indietro per scoprire l’acqua calda (è il solito problema che si pone con questi post online buttati giù senza riflettere troppo e seguendo il “mood” cogitazionale del momento): creatività e capacità artistica non si estrinsecano solo coi grandi romanzi, con la poesia, dentro i drammi immortali dello straordinario bardo inglese. Di fatto, si mostrano attraverso tutti i moti possibili dell’anima, quindi anche attraverso la musica, sia quella dotta lirica e classica, sia quella matter-of-fact, moderna, semplice ed “impegnata” ad un tempo. Difficile a quel punto non contrapporre al silenzio tonante della nostra creatività letteraria dal dopoguerra a oggi, la variegata e sommamente ispirata colonna sonora che soprattutto dagli anni 60 in poi ha regalato alla storia moderna italiana la sua straordinaria scuola cantautorale, as-a-whole.

Naturalmente, anche questo fenomeno artistico, mercé il limite linguistico e la nostra vocazione provincialistica, resta geograficamente confinato, ma è indubbio che è un fenomeno di portata culturale tanto nobile e tanto di sostanza da riuscire a autosostenersi e a legittimarsi culturalmente senza la benedizione di alcun guru accademico, straniero o nostrano che sia. Depurata infine dal tratto-decadente (e politicamente interessato) che pure ha interessato questa dimensione artistica negli ultimi venti anni, è indubbio che la stessa abbia saputo partorire lavori, nello specifico canzoni, che sono le poesie del nostro tempo, mentre le storie, le parabole di vita narrate nelle stesse, abbiano la stessa dignità delle datate novelle veriste o moderniste; dulcis in fundo, è indubbio che viste dentro il loro difficile contesto sociale, queste “canzoni” siano le opere che meglio hanno rappresentato le moderne istanze di protesta sociale e la voglia di grande crescita civile dei nostri padri. Il loro desiderio forte di rinnovamento morale.

Per tutto questo bisognerebbe saper dire grazie a questi grandi autori, pardon cantautori, e spingere – sul versante didattico – affinché le migliori creazioni vengano inserite al più presto nei manuali di letteratura. Perché a mio sentire la grande letteratura è in fondo solo questo: capacità di immergersi completamente, anche e soprattutto con l’immaginazione, nell’universo reale che si vorrebbe migliorare e in quello ideale che si vorrebbe creare a immagine e somiglianza dell’anelito più nobile (in senso estetico ma anche morale) del nostro spirito. A ben guardare dunque il mito dell’egemonia culturale della sinistra nell’Italia del dopoguerra non è solo un mito, fermo restando il suo diventare sempre più tale nell’ultimo quarto di secolo.

Featured image, un’immagine di Paolo Conte al Club Tenco con Francesco Guccini negli anni settanta.

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