Anne-Louis Girodet de Roussy-Trioson – Endymion. Effet de lune noto anche come Le Sommeil d’Endymion
Da bambini abbiamo paura del buio, talvolta anche da grandi.
Il momento del tramonto, e la conseguente tenebra, secondo molti studiosi attivano zone del cervello attinenti ad aree psichiche che restano silenti quando splende il sole: impongono all’uomo relax, calma, spengono le ansie della giornata, lo predispongono al sonno, e a tutto il carico simbolico che il mettersi a letto comporta.
Il giorno è il momento della volontà, della produzione, della velocità: la tenebra impone la resa, il godimento, la lentezza… gli adulti sanno che i fantasmi non esistono, eppure la dimensione simbolica del buio continua a turbarli.
Il sonno somiglia alla morte, e nel sonno siamo deboli, vulnerabili, bisognosi.
Il sonno come una piccola morte, la calata del sole come metafora della fine dell’esistenza, che siano queste le implicazioni che mettono a disagio chi teme l’oscurità?
Procedendo per libere associazioni, mi viene in mente un’altra piccola morte, quella che si produce con l’orgasmo, quando si perdono i confini coscienti dell’io.
Che c’entri anche la paura della sessualità col timore del buio, più precisamente con i pericoli che la nostra mente proietta su questo momento della giornata?
***
Nelle classifiche degli ultimi mesi spopolano saghe dai contorni di tenebra: 50 sfumature di…, Twilight, True blood, Risveglio…
Inutile dire che me le sono guardate, riviste, lette rilette e che mi sia trovata inevitabilmente a riflettere: ma cosa hanno questi racconti per piacere così tanto?
Quale sogno proibito incarnano per spopolare in questo modo?
E… sotto sotto mi sono chiesta: cos’hanno per piacere ANCHE A ME?
Perché di solito le cose di moda non mi dicono nulla…
Invece ho comprato 50 sfumature di grigio vergognandomi come una ladra alla cassa, non tanto per il contenuto erotico quanto per la banalità della scelta, e siccome mi mancavano dei pezzi per capire bene cos’era accaduto nella prima serie di True Blood, l’ho guardato gratis su youtube, doppiato in… ehm, in norvegese (che appena mi distraevo un attimo mi sembrava di consultare il catalogo dell’Ikea).Se aggiungiamo Tre metri sopra il cielo che furoreggiava alcuni anni fa, con il suo eroe bello e dannato, e se aggiungiamo tutti i mille belli e dannati che la letteratura dei secoli ci ha regalato, capiremo che il fenomeno non può semplicemente essere ricondotto ad una sbronza giovanile per questo o quell’attore.
Sarà semmai l’immortalità dell’archetipo che attraversa le generazioni e produce fenomeni di adesione di massa…
E mi sono chiesta: ma cosa accidenti hanno in comune questi personaggi che fanno impazzire noi donne?
No, non i soldi. I soldi sono un fenomeno esterno.
Innanzitutto sono belli e magnetici, il che non guasta mai.
E poi hanno… il potere. Potere e controllo.
Quel genere di potere e controllo segnato dalla castrazione simbolica, anche se Christian Grey è mostruosamente ricco e abile (guida aerei, macchine, frustini e orgasmi con pari destrezza) mentre i vampiri delle saghe in questione non muoiono, volano e restano eternamente giovani.
Ma hanno regole, e conoscono la legge e il rispetto.
E’ quel genere di potere che inebria la donna come solo il maschio alfa sa fare, ma questa è la parte di verità più superficiale, perché in realtà tutti questi personaggi crepuscolari sottintendono ad un rapporto col destino, col rischio, con la resa e, in ultima analisi, con gli inferi e la morte.
Le eroine che si avvicinano a questi uomini sono in genere particolari, belle fuori e dentro, con tratti spirituali nel comportamento: a me sembrano metafore dell’anima maschile, ma possono benissimo incarnare dei percorsi femminili reali.
Delle novelle Persefone, ricettive ma coscienti.
E cosa chiedono? Chiedono qualcosa di più.
L’eterna domanda che Lacan attribuisce al femminile, in questo caso sposta il suo limen per un walzer SIMBOLICO con la morte, con la nera signora che è stata sospinta fuori dal nostro mondo occidentale protetto, assicurato, galvanizzato, riciclato e confortevolmente assorbito, dove i funerali non attraversano più le strade mentre le lacrime non rigano più le gote.
Le eroine di queste saghe accettano di amare la bestia PRIMA che diventi principe, preferiscono Barbablù al principe, perché a loro la bestia PIACE: è ciò che solo l’innamoramento sa conferire, la perfezione che nessuna ruga può dissolvere… la perfezione della proiezione, che dovrà comunque fare i conti col reale.
Robert Pattinson e Kristen Stewart in The Twilight Saga – Breaking Dawn Parte 2
Ma è proprio contro questo reale che le donne urlano, e urlano che vogliono indietro il sogno, e non il cinico rimasuglio dell’amore che è rimasto in questo breve spicchio del nuovo millennio, questo amore fatto di sms, happy hour, chat e troppi silenzi assenti, e troppo poco cuore.
Adesso che possiamo indossare un tailleur ed entrare in riunione e far valere le nostre opinioni, milioni di donne urlano che non gliene frega un cazzo, o che gliene importa fino mezzogiorno, perché la loro essenza è altrove, e la parità è stata in parte un grosso equivoco – lo dico e non lo nego – ai danni della differenza di genere, no more.
Queste donne urlano che nel loro sogno vogliono immaginarsi fragili e non importa che l’uomo in questione le mandi a una festa senza mutandine, le possegga in un cimitero o le faccia volare sulle proprie spalle verso il tramonto, non importa sia ricco come Grey o spiantato come Di Caprio in Titanic, ciò che importa è che le conduca verso una qualche forma di limen da superare, una soglia di anestesia emotiva da infrangere, per riscoprirsi più vive, vere, femmine e capaci di soffrire e piangere.
E che le tenga con sé.
Con sé fino alla morte e oltre, senza sparire quando le cose si fanno complicate, senza continuare a chiedere spazio per sé, e senza soluzione di continuità del desiderio…
Eh sì… perché se i giornali femminili ci assicurano che una Buona Autostima è la Base della Moderna Felicità, un’altra parte di noi ci urla che senso ha essere sé stesse da sole, e nitrisce quando sente che una relazione deve “far stare bene”: noi donne sappiamo che un uomo che ci dice che con noi sta bene significa che non ci ama, perché “mi fai stare bene” lo dici al fisioterapista, non a una che dovrebbe essersi presa il tuo cuore…
Del resto, Eros è un dio terrifico in molte culture: scuote nelle sue mani collane fatte con le ossa dei defunti, i suoi tamburi mettono in contatto con forze sopite e, nei miti mediterranei a noi più affini, reca in mano arco e frecce, e sugli occhi una benda.
Questa immagine a me ricorda sempre due cose: uno, che l’amore fa male, perché richiede un vulnus, una ferita, e chiede di metterla a nudo, di esporre la propria mancanza e sperare che l’altro faccia altrettanto, e due che l’amore è cieco, cioè NON PERSEGUE UN FINE UTILE, bensì tende alla dissipazione, all’estasi, a ciò che demolisce l’Io e la tranquillità del suo confine.
Potremmo dire che l’amore è una patologia che tende ad abbattere le difese dell’Io, e che è questo allentamento che ce lo fa bramare e insieme temere, e che fa spargere lacrime agli umani e sospiri e parole a fiumi a poeti ed analisti.
Per cui in questo 2014 postmoderno, che possiede una tecnica per ogni strappo e un sorriso cinico per ogni vera lacrima, milioni di donne urlano a modo loro: abbiamo bisogno di qualcosa di diverso, non della pappa rassicurante dell’ansia di un rapporto utile, ragionevole e già previsto.
Ne abbiamo bisogno, anche se ciò comporta qualche rischio.
Anzi, forse proprio per questo.
Abbiamo bisogno ancora della vita e della morte, e di versare sangue, e dolerci dell’amore, dell’eros, e inebriarci e sognare…