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Delle mele

Da Ortoweblog

E della mostra di Vicenza, di cui vi ho presentato invito qualche post fa, seleziono questa foto, fatta di sera, che di giorno non sono riuscito ad andare – mi spiace Marino se domenica eri a Vicenza, avrei voluto offrirti un caffè che toccava a me questa volta, ma sarà per la prossima occasione.

Dicevo delle mele, che ho scelto questa foto perché queste mele – ma ci sono anche pere e pesche – non sono magari così belle come quelle che trovi al supermercato. Però sono locali, indigene.

Delle mele al supermercato quello che ci attrae – inconsciamente magari – è il desiderio nascosto di immortalità. Sono mele grosse, mai bacate, un colore che sembra che un pittore sia stato ingaggiato per dipingerle in modo impeccabile.
Avete presente i piatti che vengono esposti fuori dai ristoranti giapponesi, che forse avete visto nel film Tokio-Ga di Wim Wenders? Sono piatti finti, che però sembrano più veri di quelli veri. Un po’ come l’effetto di senso di realtà che ci propone la televisione – quello che vediamo in TV è più reale del reale… pensateci un po’.

Le mele del supermercato sembrano quasi finte da come sono perfette. E soprattutto sono immortali, non c’è segno del tempo, della deperibilità – quella deperibilità che a tutti i costi dobbiamo togliere dalle nostre facce con creme, massaggi, ritocchi di chirurgia estetica – ma cosa c’è di così brutto nelle rughe? Andate oltre alle apparenze.

Le mele, ritorniamo alle mele. Le nature morte dei quadri seicenteschi. Caravaggio e lo spagnolo Zurbaran. Le nature morte non erano motivo di decoro di chiese e abitazioni private, non ancora. Avevano un profondo significato simbolico, e la mela o il frutto bacato era il segno della deperibilità dell’essere umano – «Ricordati che devi morire!» ne Non ci resta che piangere con Troisi e Benigni. Lo so, è passato il clima della ControRiforma, siamo nel 2011, nulla di male a darla via per un posto di potere – così si è detto.

Ma ritorniamo per l’ultima volta alle nostre mele. Perché quelle nostrane, piccole, bruttine, necessitano di meno cure e antiparassitari di quelle grandi, belle, grosse, immortali.
E in questo bancone, che prendo con il grandangolo per darvi un’idea della notevole varietà dei frutti, in questo bancone dicevo le mele “brutte” mostrano tutti i loro lati positivi. Una fiaba tipo il brutto anatroccolo. Non sempre quello che è bello è anche buono, e non sempre quello che apparentemente è brutto è cattivo. Anzi, nel caso delle mele, posso assicurarvi che alcune varietà locali che ho avuto modo nel passato di assaggiare sono ottime e saporite. Se sono piccole vorrà dire che al posto di una ne mangerete due. Non chiedetemi di che varietà sono che non me lo ricordo, ma dovunque abitiate provate ad assaggiare i prodotti locali della vostra terra, quelli che meglio si sono adattati al clima e al territorio, resistendo per secoli e millenni senza bisogno di crittogamici, antiparassitari e compagnia bella.

Che post lungo… e anche un po’ sconnesso. Ma spero che vi sia piaciuto. Come le mele.
Buone scorpacciate a tutti voi.

Delle mele



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