Delle paure di un aspirante scrittore

Da Emanuelesecco

È un po’ di tempo che mi sveglio con la sensazione di essere vuoto. Completamente.
Dormo quelle cinque o sei ore e al momento del risveglio non riesco a trovare un motivo valido per abbandonare il mio morbido e caldo giaciglio.
Mi sento vuoto. Senza niente da dire. È come se tutto quello ho dentro io l’abbia esaurito già da un pezzo. Niente più emozioni, niente più pensieri. Solo un grande nulla che pian piano si impossessa della mia inerme figura.
Ho paura che si tratti di qualcosa di irreversibile, di un gioco impossibile da fermare che pian piano mi ridurrà a uno stupido caprone, a uniformarmi con la dannata massa.

Non voglio. Devo sforzarmi, questa non è una battaglia che si vince rimanendo inermi.
Decido, come volontario, di scendere sul campo di battaglia per fronteggiare lo schieramento avversario. Io, solo contro mille e mille aggressioni sistematiche, prodotte da un sistema che non permette alla mente umana di vagare libera nelle sue verdi praterie.
Ci vogliono far credere che lo scopo della vita sia l’avere tutto e subito, senza controllo, senza pause, senza il tempo necessario per permettere al pensiero di stare al passo con gli eventi e, di conseguenza, formulare qualche obiezione a riguardo.
Vogliono farci credere che la creatività umana spetti solo a pochi eletti, privando un giovane volenteroso dei mezzi di cui abbisogna per stupire il mondo con la sua nuova invenzione, con i suoi sogni.
Per non parlare di coloro che vanno fieri della loro professione di critici. Boriose teste di cazzo i cui unici obiettivi sembrano essere l’annichilimento delle giovani speranze e la conservazione, in quanto tale, del mondo di loro competenza. Dalle loro parole traspare paura e odio nei riguardi delle novità che potrebbero cambiare totalmente il loro metro di giudizio infangato dalla preservazione dell’antico, del già letto e già visto.
C’è da dire, però, che non sono tutti così. Una speranza per la novità continua a persistere, anche con il continuo scontro con il passato, con la conservazione di un’immagine positiva e bigotta del mondo in cui viviamo. Le loro controparti, dall’alto dei loro gradi, vengono comunque tenute più in considerazione, per il semplice motivo che fanno parte esse stesse di quel sistema marcio e corrotto di cui si vantano di essere i rappresentanti.
Sento continuamente voci che annunciano la caduta di questo sistema, ma finché il denaro continuerà a essere il suo principale alimento sarà impossibile cercare di cambiare le cose. La tua invenzione porta profitti? No? Allora non c’è spazio per essa, a meno che non si riesca, in qualche modo, a uniformarla al mercato, colui che domina la nostra vita.
La parola d’ordine è standardizzare. Non si pensa più alla particolarità di un’opera, alla sua unicità. Tutto deve essere conforme allo standard che riesce a vendere. «Sì, interessante, ma va un po’ troppo fuori dai canoni… non siamo sicuri che potrebbe vendere». Cosa può esserci di più avvilente?

Forse il mio senso di vuoto è provocato proprio dalla mentalità dominante che vi ho appena descritto. Un cancro così esteso che molte volte riesce a uccidere persino le semplici ispirazioni che possono cogliermi durante una camminata per le strade di una città.
Paura che la creazione alla quale sto lavorando possa venire additata come inutile, non vendibile e quindi da scartare.
Bisogna essere forti per resistere a tutto questo, e ho sempre pensato di riuscirci. Tuttavia, a volte, queste paure riescono a cogliermi nei momenti in cui, probabilmente, il mio ego è così assorto nei suoi pensieri da abbassare le difese esterne.
È una battaglia continua, e c’è il rischio che la voglia di abbandonare la propria posizione riesca a convincermi definitivamente nel farlo.
So però che voglio tentare, a costo di perdere tutto ciò per cui porto avanti la mia passione. Anche perché la vittoria, o la sconfitta, non sono da considerarsi onorevoli se prima non si ha lottato.

E.


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