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Delocalize Polonia

Creato il 03 dicembre 2015 da Ilbocconianoliberale @ilbocclib

E la Polonia?” “Boh, tanta birra ,fa freddo, belle donne, uno di quei paesi dell’est dove farsi un giro e non tornare.”

Davvero?

La Polonia , si certo, è birra (Piwo), freddo, belle donne, ma vediamo cos’è di più.

E’ innanzitutto un paese che è stato martoriato dalle vicende storiche, per cent’anni il popolo polacco è stato sottoposto ad un tentativo di cancellazione delle sue radici culturali . Nonostante ciò i polacchi hanno oggi una fortissima identità, si riconoscono nel proprio paese, a mio giudizio sicuramente più di certi popoli mediterranei.

birra

Per strada ci imbattiamo nella persona media: sorride, è disponibile e quando vede che sei straniero cerca subito di farti capire che ti aiuterebbe, spiccica qualche parola in inglese, ma passa presto ai gesti per farsi capire. (L’inglese è conosciuto solo tra le generazioni più giovani, sempre con moderazione).

Gli studenti a Cracovia , si trovano fanno festa a base di Piwo e shot di “Wodka” (rigorosamente polacca, fruttata all’olfatto e dal sapore intenso, da non confondere con la Vodka, russa, la sola che arriva in Italia).

Le persone sono semplici, vedono un futuro di crescita, libertà economica e prosperità. I giovani sono dinamici e scambiano idee e in molti fondano aziende di trasporto merci o servizi di IT. Gli studenti sono motivati, sanno che una volta laureati, qualcosa da fare ci sarà di sicuro per loro.

…I magici anni del boom economico italiano insomma.

Ma cosa centra tutto questo con la delocalizzazione del nostro titolo?

Quella descritta è l’atmosfera che si respira. E gli stranieri che fanno?

Lo stato polacco è ben disposto ad accogliere gli stranieri, purché portino soldi, e gli italiani si spostano. Vittorio Merloni, presidente di Indesit, c’è andato nel 2007. “La scelta è dovuta esclusivamente a criteri di competitività sui mercati internazionali”, è il commento di Indesit per la stampa, quando viene annunciata la chiusura dello stabilimento storico di None, nel 2009, a favore dell’investimento in Polonia.

Cosa spinge le aziende italiane (e gli italiani stessi) a “delocalizzar(si)” in Polonia?

Wodka e Piwo sono un bell’incentivo, ma non sono da soli.

  • Stabilità politica, gli ultimi 8 anni di governo sono stati determinati da solide (ed efficaci) politiche per la crescita. Che ritornino sui propri passi, sembra improbabile.
  • Basso costo energia, la maggiore fonte è il carbone.
  • Alto livello formazione, i trentenni polacchi laureati erano quanti gli italiani nel 2000, dati del 2011 mostrano un netto sorpasso nei nostri confronti.
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  • Poche regole per l’impiego, e costo del lavoro del 30-35% in meno rispetto alle economie evolute dell’Europa occidentale. Tasso di occupazione elevato.
  • Pressione fiscale ridotta, moltissimi i vantaggi fiscali, primo tra tutto la deducibilità pressoché totale delle spese, per non parlare degli aiuti fiscali ed esenzioni d’imposta garantite nelle “zone economiche speciali”.

Interessante è il discorso sulle Zone a statuto speciale (SEZ), “ambienti protetti” dove installare centri di produzione e di ricerca con forti agevolazioni.

Il risultato? Gli FDI (investimenti diretti di capitale straniero) in dieci anni sono aumentati del +183%. L’economia ha imboccato una spirale positiva, che pare sostenibile a tutti, per primi a tutti quegli investitori inglesi, tedeschi e, soprattutto, italiani che spostano lì le loro fabbriche.

“Io un giro in Polonia me lo vado a fare, e magari ci ritorno”

E la cara Italia? Aspettiamo la ripresa.

Sperando.

Fabio Aprà


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