Democrazia egiziana al bivio (o allo sbaraglio?)

Creato il 15 dicembre 2012 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

Il destino dell’Egitto passa attraverso il referendum costituzionale in due turni, il 15 e il 22 dicembre. L’approvazione lampo del testo della nuova Carta fondamentale, votato da un’Assemblea disertata per protesta dalle opposizioni laiche e liberali, ha fatto piombare nuovamente il paese nel caos. Mentre il Fronte Nazionale di Salvezza invita a votare “no”, i Fratelli Musulmani distribuiscono cibo. I giudici boicottano il referendum, i militari conservano il potere. Nonostante l’esito sia ancora incerto, la “Primavera” egiziana rischia di scivolare in un inverno islamista.

 
Alla vigilia del primo turno del referendum costituzionale, l’Egitto si presenta fortemente diviso. In seguito alla brusca accelerazione sull’approvazione della bozza costituzionale, il paese è chiamato a votare un testo che suscita perplessità (se non preoccupazioni) circa il rispetto delle libertà fondamentali e fa temere una deriva “all’iraniana” del Cairo. Le correnti d’opposizione, riunite nel Fronte di Salvezza Nazionale guidato da El Baradei, hanno sottolineato soprattutto l’ambiguità della nuova Carta sui diritti umani, sull’uso della Shari’a e sui poteri concessi alle Forze Armate.

Gli articoli della discordia

Sono 236 gli articoli della nuova Carta fondamentale, alcuni dei quali risultano contraddittori, altri quanto meno ambigui nel linguaggio. In diversi punti la bozza appare conservatrice ed ispirata al costituzionalismo islamico, che insiste su un’interpretazione shari’atica del diritto e della morale, e sembra dunque tradire i principi laici, democratici e liberali ai quali si era ispirata la “Primavera araba”. Due sono stati gli articoli che hanno suscitato le preoccupazioni più forti di una svolta teocratica egiziana: oltre a riconfermare la Shari’a fonte primaria della legge all’art. 2, i Costituenti hanno reso ancor più esplicito il riferimento alla legge coranica, sottolineando, all’art. 219, che i suoi principi «includono le evidenze generali, le regole fondamentali, le norme di giurisprudenza e le fonti credibili». Muhammad Badī‘, Guida Generale dell’Ikhwan egiziana, ha dichiarato che l’uso della Shari’a come prima fonte del diritto non comporta la creazione di uno Stato teocratico. Nonostante tali rassicurazioni, l’ambiguità del progetto costituzionale nel garantire la democraticità del nuovo assetto statale nel quadro della legge coranica lascia comunque aperti numerosi interrogativi: quis custodiet ipsos custodes?

Dal confronto con il testo del 1971, sospeso in seguito alle rivolte dello scorso anno, emerge l’introduzione di altre norme a contenuto religioso che minerebbero la libertà di culto delle minoranze: l’art. 3, infatti, dispone che lo Stato garantisca autonomia legislativa ai cristiani e agli ebrei egiziani, tacendo sui diritti dei fedeli di altre confessioni, come i baha’i e gli sciiti. La stessa discriminazione viene ripresa all’art. 43, nel quale si stabilisce che le istituzioni devono garantire la libertà di culto e di esercizio «per le religioni divine», cioè per le religione monoteiste. Controverso è anche l’art. 4, secondo cui il Parlamento deve consultare gli esperti dell’Università di Al Azhar, istituzione di riferimento del mondo sunnita, su questioni riguardanti il diritto islamico, conferendo dunque a quest’organo un’importante influenza nel processo legislativo, che viene sottratto alla Corte Suprema. Infine, l’art. 44, vietando di offendere qualsiasi «messaggero o profeta religioso», getterebbe le basi per una legge contro la blasfemia, ponendo di fatto limiti alla libertà di espressione statuita nell’articolo successivo.

Nel mirino i diritti delle donne e dei minori

La bozza costituzionale, pur garantendo nel preambolo uguali opportunità senza differenze di sesso, presenta diverse lacune sulla tutela dei diritti delle donne: se da un lato non viene garantita la protezione costituzionale della parità di genere (citata tuttavia all’art. 6 circa la formazione dei partiti politici), dall’altra si statuisce che la donna deve bilanciare i suoi doveri verso la famiglia con gli impegni lavorativi ed è responsabile di un eventuale conflitto tra essi (art. 10). Nell’art. 33 sui diritti e doveri dei cittadini, inoltre, sono state eliminate tutte le specificazioni delle discriminazioni (sesso, origine, orientamento religioso o politico…). L’art. 61, comunque, assicura l’istruzione sia agli uomini sia alle donne. Anche ai minori non viene garantita un’adeguata tutela costituzionale. L’art. 70, infatti, non fissa il limite della minore età, ponendo un serio problema per la lotta contro fenomeni come il lavoro minorile o i matrimoni precoci, come denunciato da Amnesty International. Nel testo presentato dall’Assemblea Costituente viene eliminato il riferimento al ruolo della società nella promozione della morale pubblica, compito che lo Stato avoca esclusivamente a sé; questo punto è stato duramente criticato dalle opposizioni, che lo ritengono un’ulteriore ingerenza statale nelle libertà individuali dei cittadini volta a controllarne la moralità. I Costituenti, comunque, sembrano aver voluto garantire le libertà fondamentali eliminando ogni possibilità per l’esecutivo di limitare la libertà di espressione e i diritti individuali attraverso leggi di emergenza; il mandato presidenziale, inoltre, è stato ridotto alla durata di quattro anni, con la possibilità di una sola rielezione.

Tra Fratellanza e Fronte, vince l’Esercito

Nel caos in cui è piombato il paese nelle ultime settimane è emerso, ancora una volta, il ruolo dell’Esercito nella gestione della transizione, prima invitando le parti al dialogo, poi raccogliendo l’ordine presidenziale di proteggere le istituzioni contro gli oppositori. Morsi, infatti, ha conferito all’Esercito poteri di polizia fino all’ufficializzazione del risultato referendario. Non a caso, una delle maggiori critiche dell’opposizione alla nuova Carta riguarda i poteri che essa garantirebbe alle Forze Armate, estendendo la giustizia militare anche ai civili. L’art. 198, in particolare, delibera che i civili possano essere soggetti alla giurisdizione militare in caso di reati che danneggiano le Forze armate: anche in questo caso, dunque, la nebulosità del testo potrebbe aprire alla possibilità di arbitrio da parte dei vertici dell’Esercito. I giudici della Corte Suprema, intanto, hanno dichiarato l’intenzione di boicottare il monitoraggio del referendum a causa dell’impossibilità di pronunciarsi sulla legittimità della Commissione che ha redatto la Costituzione, aggiungendo ulteriore instabilità al già precario e delicato equilibrio del paese.

L’esito del referendum è tutt’altro che scontato e vede il Paese spaccato in due. La Fratellanza Musulmana, tuttavia, può contare su un forte radicamento sul territorio e su un’organizzazione capillare che comprende ospedali, scuole, associazioni caritatevoli, che spesso costituiscono l’unico punto di riferimento delle fasce più povere della popolazione. L’Ikhwan, che già nelle precedenti elezioni parlamentari e presidenziali ha sfruttato questi elementi per arrivare al successo, sta ora puntando nuovamente sulla propria struttura organizzativa e sul proprio sistema di “welfare” per accattivarsi le simpatie della popolazione: i militanti, infatti, hanno distribuito, insieme a beni alimentari, volantini nei quali vengono spiegate le ragioni del referendum e si richiede di votare “sì”. I Fratelli, inoltre, possono contare sul forte supporto finanziario estero (soprattutto del Qatar), oltre che su diversi movimenti salafiti. Tra essi, comunque, esistono alcune sacche di malcontento a causa dello spazio limitato (a dire delle frange più estremiste) dato alla Shari’a nel testo costituzionale. Il Presidente Morsi punta al successo del referendum per dare nuova legittimità alla sua leadership, messa in crisi dalle crescenti accuse di voler diventare il nuovo “faraone” d’Egitto e minata anche dalle dissidenze interne alla Fratellanza.

Dal canto loro le opposizioni, mostratesi fino ad ora troppo deboli e divise per creare una reale alternativa al potere conquistato dai partiti di matrice religiosa, appaiono ora unite contro il presidente Morsi, ma risentono ancora della mancanza di un vero leader e della scarsa presenza sul territorio, oltre che dell’eterogeneità delle correnti che sono confluite nel Fronte. Esso, infatti, raggruppa forze laiche, liberali e cristiane e può contare sull’appoggio di figure come Mohammed El Baradei, ex capo dell’Agenzia ONU dell’Energia Atomica, Amr Moussa, ex Segretario Generale della Lega Araba, e Hamdin Sabahi, politico nasseriano candidato alle scorse elezioni presidenziali.

La bocciatura della Costituzione farebbe sprofondare l’Egitto nel totale vuoto istituzionale, lasciando la nazione senza Carta e senza Parlamento nelle mani del presidente e dei militari; tuttavia, anche l’approvazione del testo costituzionale porterebbe ulteriore instabilità, spaccando pericolosamente in due fazioni il paese del Nilo ed inasprendo le tensioni confessionali. Da questo referendum passa il futuro della democrazia egiziana; il costo della Costituzione sembra al momento essere l’unità nazionale. Può un nuovo Egitto nascere da un consenso “a metà”?


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