Democrazia, Turchia e Medio oriente

Creato il 09 ottobre 2011 da Istanbulavrupa

Sono stato venerdì al seminario Transitioning Dictatorship to Democracy (sfortunatamente non nel palazzo imperiale di Dolmabahçe, ma in un centro congressi lì vicino: cambiamento dell’ultim’ora per motivi di spazio). presenti vari esponenti politici e attivisti soprattutto di Tunisia ed Egitto, oltre a intellettuali e accademici. I discorsi – Rashid al-Ghannushi del partito islamista Nahdah e due egiziani – sono stati particolarmente fumosi: ad eccezione di quello di Ibrahim Kalın, direttore dell’Ufficio per la diplomazia pubblica e principale consigliere di Erdoğan, che ha organizzato l’evento insieme al professor John Esposito del Center for Muslim-Christian Understanding dell’università americana di Georgetown.

Kalın ha sostenuto che, affinché la transizione alla democrazia si compia, bisogna lavorare su tre fronti e a un ritmo sostenuto: un processo di completa democratizzazione, nel senso di nuove regole, di iniziative di riconciliazione nazionale, di inclusione di tutte le forze politiche, di confronto sui programmi (gli slogan non bastano); una trasformazione economica, così da combattere la povertà e da ricostruire la classe media andata perduta; una nuova politica estera, che punti decisamente all’integrazione regionale. Per inciso, si tratta dei tre fronti che hanno caratterizzato la transizione – ancora incompleta, ma sicuramente virtuosa e da imitare – dell’Akp in Turchia. Il cammino è lungo, l’orizzonte per esprimere giudizi deve essere necessariamente di 3-5 o addirittura 5-10 anni: ma il consigliere del premier turco si è comunque dichiarato fiducioso per l’avvenire, sicuramente più roseo di quello – di depresione e repressione – che avrebbero invece continuato ad assicurare le dittature sostenute dall’Occidente.



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