DEMONI E DEMONI #anima #psiche #religione

Creato il 01 maggio 2014 da Albertomax @albertomassazza

fussli demoniLe vicende etimologiche delle parole spesso riescono a mettere in luce, meglio di qualsiasi altro dettaglio, le caratteristiche peculiari delle culture che si sono succedute nello sviluppo storico di tali vicende. E’ il caso del termine greco Daimon da cui si sono generate due parole italiane, dèmone e demònio, aventi tra loro un rapporto complesso, con dei punti di sovrapposizione ed altri di contrapposizione. Ma partendo dall’origine, i primi a fornire una spiegazione del termine furono Omero ed Esiodo. Per Omero, il dèmone è una generica potenza divina, non identificata con una divinità in particolare, che guida gli uomini verso il compimento dei propri destini individuali. Con Esiodo, il termine assume una personificazione: i dèmoni sono le emanazioni degli antenati della mitica Età dell’oro; il loro compito è quello di guidare e proteggere gli uomini, mediando tra essi e gli Dei. Successivamente, il dèmone si umanizza: nella tradizione Orfica assume il significato di anima imprigionata per qualche oscura colpa nel corpo; in Socrate, il termine indica una coscienza che distoglie l’uomo dal compiere azioni sbagliate,  arginando l’istinto con ironia e magnanimità.

Da Platone in poi, il dèmone riprende la sua posizione intermedia tra Dei e uomini e inizia ad assumere una definizione sempre più articolata, con risvolti non solo benigni. Nel Nuovo Testamento si rafforza la valenza negativa del termine, fino a diventare esclusiva con la Patristica e i Grandi Concili. Perfettamente in linea con il rovesciamento dei valori nietzscheano, dal termine greco che indica l’appartenenza al divino si è arrivati ad una parola, demonio, che è essenza e personificazione del male assoluto. Anche il termine dèmone ha assunto un significato perlopiù negativo, come possessione che porta a trasformare il piacere del gioco (inteso in senso anglosassone) in vizio e delirio: dèmone del gioco (d’azzardo), dell’arte, del vino, ecc.. Solo riferendosi alla cultura greca, il termine riprende la sua originaria luminosità, in tutte le sue innumerevoli sfaccettature.

Ma come mai il Cristianesimo ha voluto seppellire gli aspetti positivi e infliggere un così crudele contrappasso a questa simpatica (patire insieme) e poetica parola? L’unica ragione che mi posso dare è che il Cristianesimo non poteva tollerare che delle entità potessero influire in maniera autonoma sul destino degli uomini, senza essere emanazione diretta del Dio unico. Il demonio per eccellenza, Lucifero (letteralmente “portatore di luce”, divinità romana legata al pianeta Venere ed epiteto divino) chiarisce che ai demoni gli si riconosce una passata positività, decaduta per non aver obbedito a Dio. C’è, da una parte, la prerogativa giudaico-cristiana di non accettare nulla che non venga dal Dio unico; dall’altra, il timore che si nutre nei confronti di queste entità: di conseguenza, il riconoscimento della loro esistenza.

Il ruolo luminoso che i demoni avevano ricoperto per tanto tempo venne fatto proprio dalle emanazioni del Padre: gli angeli e i santi. Ai demoni non restò che essere declassati e calunniati, espulsi dalla vita e relegati negli abissi infernali. In questo modo, si è creata una scissione, un’incomunicabilità tra luci e ombre dell’anima che solo la rivoluzione psicanalitica di Freud e Jung ha fatto emergere, riportando i due aspetti contrapposti dei demoni alla loro originaria reciproca connessione.



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