Secondo mediometraggio di Shinya Tsukamoto (Tetsuo, Vital, Haze) “Le avventure del ragazzo del palo elettrico” (1987) è essenzialmente una storia horror/sci-fi molto weird e naif, nella quale il Hikari, giovane disagiato liceale con un palo della luce impiantato sulla schiena, che, grazie a una macchina del tempo, viene trasportato in un prossimo futuro (25 anni dopo), nel quale un clan di vampiri, gli Shinegumi ha preso il controllo del mondo, opportunamente oscurato dal sole con le bombe Adam.
Costruito con dinamiche proprie dei videogames e dei videoclip, e girato solamente con una videocamera 8mm e con tecniche all’epoca non convenzionali (sequenze velocizzate realizzate con carrelli, primi piani, stop-motion), “Denchu-Kozo no Boken” è una pellicola essenzialmente indie e underground, realizzata in grande economia (letteralmente coi rifiuti), ma con una lucida follia e fantasia non indifferenti.
L’impianto narrativo prosegue raccontando del progetto dei bizzarri vampiri (già cyber-punk nell’estetica) di creare una super bomba Adam nel ventre di una ragazza (Eva), alla cui maturazione sessuale farà seguito l’esplosione del super ordigno, con la definitiva oscurità permanente su tutta la terra. Logicamente la missione del giovane, incapace Hikari è quella di sventare questo piano apocalittico, grazie all’aiuto di una strana professoressa, che altri non è che una sua cara amica di 25 anni prima (in un gioco delle parti molto edipico).
A parte il delirante plot, gli effetti speciali per forza di cose artigianali (ma efficaci, per il 1987), e la recitazione quantomeno ingenua del cast, “Denchu-Kozo no Boken” è un progetto che mette perfettamente in luce le capacità dello Tsukamoto regista (ma anche sceneggiatore, regia, fotografo, scenografo, effettista e montatore), e la sua indiscutibile originalità nel saccheggiare i riferimenti dell’epoca post-industriale e post-nucleare, per creare un ibrido cultural-cibernetico che è, prima di tutto, materializzazione di una profonda angoscia sociale, di quel senso di disagio connaturato a un certo modo di vivere la moderna società di massa, nella quale la disumanizzazzione fa rima con meccanizzazione.In questa prospettiva non c’è però (solo) tragica rassegnazione, ma è anzi palese il riscatto del deforme, dell’anormale, qui investito del potere di riscattare l’intera umanità dalla distruzione totale. Molto riuscito, in questo senso, il dialogo fra Hikari e il Denchu-Kozo dell’epoca Edo, che svela al giovane il suo ruolo di collettore nella storia: “Al tramonto di ogni epoca appare un ragazzo del palo elettrico, che deve collegare il passato al futuro, accendendo la luce su una nuova era dell’umanità, cosicché il passato possa spegnere la propria, nell’oblio dei giusti”. Vi è, in questo passaggio, tutto il concetto della ciclicità del tempo, tipico della spiritualità dell’estremo oriente, così come l’eterno dualismo fra gli opposti, luce/tenebre, bene/male, creazione/distruzione.Partendo dall’assunto che l’arte è, in primis, il prodotto o il processo di organizzazione intenzionale di pensieri e/o oggetti (spesso con significati simbolici), in un modo che influenza uno o più sensi, emozioni e intelletto, questa piccola (quantitativamente) opera di Shinya Tsukamoto è certamente molto rappresentativa dell’identità del suo autore, e rappresenta, alla pari con “Tetsuo – The Iron Fist” (1989) un vero e proprio manifesto estetico-concettuale di una cinematografia multimediale, multi-materica ed essenzialmente sinestetica.
Storico.