“The alcohol was awful. I was a terrible alcoholic. I mean, people used to ask how much drugs I did. I said, ‘I only do drugs so I can drink more’. I was doing the coke so I could drink more. I mean, I don’t know any other reason. I’d start drinking in the morning. I’d drink all day long”.
Dennis Hopper
Per molti chi si è spento la mattina del 29 Maggio dell’anno scorso, in una casa losangelina nella Venice district, era un buon caratterista o “l’indimenticabile autore di Easy Rider”, per altri ancora il crudele Frank Booth, spietato aguzzino della Rossellini in Velluto Blu di Lynch o il cattivo di lusso in costosi flop (Waterworld, Super Mario Bros.). Se pur fondamentali, questi sono solo tasselli… Deprimente fu la maniera in cui la maggior parte delle riviste ed i programmi di cinema coprirono la sua morte. Il pezzo apparso su Ciak ne è un ottimo delirante esempio.
Ricordo che non era passata neanche una settimana dalla sua scomparsa quando, trovando rifugio in una libreria dell’usato e spulciando tra i scaffali gonfi incappo in un librone, fuori catalogo e in lingua tedesca, Dennis Hopper “A System of Moments”. Lo compro e seduto in macchina lo sfoglio, con gli occhi salto da una foto all’altra, scatti dai set, immagini dei suoi quadri e installazioni che spaziano dagli anni ‘60 fino a pochi anni fa, e lì per lì mi rendo conto fino a che punto quello che è più noto di Hopper sia solo la punta dell’iceberg.
1969: Easy Rider. Puro Western. Il ’67 è un anno fondamentale per Hopper; dopo aver preso parte al capolavoro di Stuart Rosenberg, Nick Mano Fredda, è l’anno in cui incontra Corman che lo vuole nel già citato film “in acido” Il Serpente di Fuoco. Su questo set Hopper avrà modo di instaurare rapporti con personaggi che diverranno fondamentali nella sua carriera, come Jack Nicholson e Peter Fonda. Proprio con questi due nomi l’anno successivo (nel ’68 e non nel ’67 come il Wikipedia italiano vorrebbe far credere) Hopper dà inizio alle riprese di quello che a tutti gli effetti è il film americano, alla pari solo con Bonnie & Clyde di Arthur Penn e Il Mucchio Selvaggio di Peckinpah, più importante del decennio: Easy Rider. La storia produttiva di questa pellicola imprescindibile ha inizio con delle riprese di prova, realizzate grazie al Re Mida Corman. Con una troupe ridotta a New Orleans, quella con cui Hopper si ritroverà a combattere tanto da arrivare ad uno scontro fisico con il fotografo Barry Feinstein, uno degli operatori. Dopo questo trambusto Hopper e Fonda decisero di riassemblare la troupe e di ricominciare. Nonostante sia stato girato nella prima metà del ‘68, all’incirca nel periodo dell’assassinio di Robert F. Kennedy, il film non ha avuto una prima statunitense fino al luglio del’69, dopo aver vinto un premio al festival di Cannes a maggio. Il ritardo fu dovuto in parte ad un lungo processo di editing. Ispirato da 2001: Odissea nello spazio, uno dei primi montati di Hopper era lungo 220 minuti, compreso un ampio uso di flash “in avanti”, cioè scene più avanti nel film, inserite in scene presenti. Solo un “flash-forward” sopravvive nel montaggio finale, quando Wyatt (Fonda, il nome ricorda qualcosa?) nel bordello di New Orleans ha una premonizione della loro tragica fine. Su richiesta di Bob Rafelson e Bert Schneider, Henry Jaglom fu incaricato di montare il film nella sua forma attuale, con Hopper effettivamente rimosso dal progetto. Dopo aver visto il taglio finale, Hopper fu estremamente contento, sostenendo che Jaglom avesse montato il film nel modo in cui lo aveva inizialmente immaginato. Può sembrare una provocazione accostare Easy Rider al western. Ma nella scelta delle location, dei costumi, ma soprattutto nella ricerca di libertà dei personaggi vive il west, nel desiderio che hanno di trovare un “mondo” tutto loro nella vastità delle landscape americane, come utopici pionieri di un mondo ormai allo sbando.
Su Easy Rider è divenuto quasi impossibile dividere la leggenda dalla verità e l’aneddotica al riguardo è tale da far girare la testa: droga, risse, amicizie infrante, cause legali. Quello che però è indubbio è l’impatto culturale che ebbe sulla società e non solo quella americana. Un successo da 19 milioni dollari, il film di culto di Hopper ha aiutato a dare il calcio d’inizio alla nuova fase di Hollywood. I principali studio si resero conto che c’era da guadagnarci con questi film a basso budget diretti da registi d’avanguardia fortemente influenzati dalla Nouvelle Vague e disillusi da un governo repressivo che non li rappresentava più. Stava per avviarsi un capitolo irrepetibile e magico per il cinema americano che avrebbe cambiato tutto. La prima vittima di questo splendido sogno sarà proprio Hopper…
“You know, I had fantasies like that, about being beat up. Did you ever have a fantasy about women beating you up? Or don’t cowboys have fantasies?”
Dennis Hopper in The Last Movie (nella prossima e ultima puntata)
Eugenio Ercolani