DENTI
di Simonetta Sambiase
La prima volta che ho rotto un dente, mi teneva per mano un bel ragazzo di nome GianMaria e il mio cane, un barboncino nero dalle orecchie a punta lievemente rossastre. Avevo sbattuto contro un lungo albero di marmo, alla fine della strada, là dove si tornava indietro, verso il porto canale dove affogavano i clandestini che davano troppo fastidio ai caporali sui grandi trak americani ma anche un po’ inglesi. Bianco sul bianco, dente contro marmo, pare che il sangue che lasciai, con quello che arrivava dalla darsena artificiale, servì poi a dei consorzi agricoli per il concime chiamato “sangue di bue” non vergine, naturalmente.
La prima volta che ho curato un dente, si avvicinò una ragazza berbera, che non voleva si raccontasse che nome gli avesse dato sua madre. “E’ la mia eredità nel mondo – gridava ai venti – e nessuno mi ruberà il mio nome”. Il dente era a forma di duna appuntita, aveva la cima d’ossa tutta erosa da troppa vita. Mi diedero dell’anestetico, ma avendo quindici anni, pensai che fosse un peccato venale.
La prima volta che ho sognato un dente, mia nonna mi portò dalla curandera e piangeva lungo la strada: “mia nipote ha sognato che morirò”, gridava ai passanti. Io ero vestita di bianco, ai piedi delle espadillas morbidissime. La curandera arrivò presto e mise sulle spalle un abito di penne e piume: sembrava un mostro arrivato dalle fiamme del cielo, continuava a girare su se stessa senza fine e mormorava parole e colori. La nonna smise di vivere una mattina di settembre. Rive di fiori l’accompagnarono all’ossario. Qualcuno suonava dei tamburi. Cadevano denti e amati ricordi. Negli anni, i denti si sono scuriti e smagriti, ora sono solo ossa da mastico.
tratto da Il LETTO DI GHIACCIO: racconti inaspettati di Ferragosto.
ebook gratuito e scaricabile
a cura del Collettivo WSF