Dentro il corpo di tutte le donne.

Da Suddegenere

in foto Elisabetta Ranieri

Dentro il corpo di tutte le donne, di Luce Irigaray (da La Repubblica 29 novembre 2005, p.47)

Chi può decidere, se non la donna stessa se sia in grado o meno di ospitare un altro dentro di sé? Imporre l’ospitalità a chi non la desidera,o a chi non si sente di offrirla, equivale a fare violenza. Chiamiamo questa violenza “occupazione” quando siamo costretti a tollerare nel nostro paese, nella nostra città, perfino
nella nostra casa persone che non sono state invitate a venire ad abitare con noi. Fino a ora, non avevamo immaginato una parola che designasse
ciò che prova una donna che scopre di avere in sé un ospite
che non ha invitato, per di più un ospite con cui deve condividere
non solo uno spazio esterno, ma il proprio corpo, il proprio sangue.
La cosa è così sovrumana che ci lascia muti, senza parole, costretti a implorare l’aiuto sia della natura sia di Dio per lavarci le mani della situazione
in cui si trova la donna. Pensiamo che si tratti qui dell’opera della natura o di Dio, senza fermarci a riflettere sull’opera della donna stessa. Tanto più
difficile che l’ospite non è soltanto uno, ma due: è fatto da due. Nel suo corpo, la donna non ospita solo un futuro individuo con un proprio corpo e
una propria anima, ma l’unione di due corpi e due anime: i suoi e quelli dell’uomo che ha concepito insieme con lei. Se la gravidanza risulta da
un atto d’amore, non c’è dubbio che il desiderio della donna sarà di perpetuare in sé l’unione amorosa. Certo, ospitare l’altro in sé durante nove
mesi non è una cosa solo agevole e gradita in ogni momento. Ma per amore, per l’amore, le donne sono capaci di oltrepassare i limiti della solita
umanità. Sfortunatamente, succede troppo spesso che la gravidanza
non sia il frutto di un’unione amorosa di corpi e di anime. E che l’ospite non sia la perpetuazione di un atto d’amore. In questo caso è piuttosto uno
straniero che abita il corpo della donna, uno straniero
che, in parte, è anche lei. Accogliere in sé stessa un simile ospite non è una cosa facile! La donna è lacerata fra sé stessa e un corpo estraneo che l’assedia
dall’interno. Non può sfuggire a questo assedio interiore di una presenza che è e non è lei stessa. E anche se il corpo prosegue il suo lavoro, l’anima
non riesce ad accompagnarlo.La donna è dunque divisa fra corpo e anima, che si possono armonizzare solamente quando la gravidanza è un atto d’amore che si perpetua. Gran parte della nostra tradizione è basata sulla separazione tra corpo e anima. Ciò spiega sia l’arroganza — compresa
quella nei confronti della donna incinta — sia l’infelicitàdella nostra umanità. L’interpretazione più positiva della“Buona novella” del Cristianesimo consisterebbe nella riconciliazione fra corpo e anima. Il Cristo ne sarebbe il
primo frutto se lo consideriamo come l’avvento o il ritorno del divino nella carne. Ma se ciò viene inteso come la messa a disposizione del corpo della donna per un logos maschile,allora non è una novità rispetto alla cultura precedente. In tal caso, il Cristo non testimonia una buona novella: il possibile incamminarsi dell’umanità verso il suo compimentograzie alla redenzione della carne per l’amore. Diventa invece tutt’altro se l’avvento del Verbo fatto carne viene inteso come il superamento
in Maria della scissione fra corpo e anima, unite nella carne andando oltre l’attrazione istintiva e l’arroganza mentale, grazie all’amore. Questo passo in più nello sbocciare dell’umano è stato possibile perché il Signore ha
condiviso con Maria un soffio divino prima di metterla incinta
“naturalmente”. Questo ci insegna l’evento dell’Annunciazione
in cui l’angelo del Signore chiede a Maria se vuole essere la madre del Salvatore del mondo. Tutto questo sembra un po’ magico ed esigere da noi una fede cieca, a meno che cerchiamo di sentire che cosa succede quando una donna è  incinta, e come un semplice processo naturale può giungere a una dimensione spirituale, che consente all’umanità di accedere a un ulteriore livello del suo compimento. Sfortunatamente, si dimentica troppo spesso che Maria, grazie all’unione fra natura umana e natura divina nella sua carne, è il luogo fondatore del Cristianesimo. Maria si è trovata incinta non solo a causa di sperma umano, ma per un respiro divino che lei ha ricevuto e accettato di condividere per il tramite dell’angelo del Signore, che ne simbolizza il soffio. Sembra ovvio, per i cristiani che devono tentare di imitare Gesù; eppure il più delle volte dimenticano come il suo avvento è stato possibile e che cosa significa. Da anni, anche in occasione del Natale, non sento allusioni a Maria nelle prediche. E le stesse donne ormai pretendono di imitare Gesù invece di divinizzare la propria natura femminileMa chi insegna loro in modo positivo e non privativo, che esse sono il luogo dove è nato, e può rinascere, il Cristianesimo?Quale uomo si cura di perpetuare un simile avvento mandando alla donna che ama il proprio angelo — cioè un supplemento di respiro o di anima — per chiederle se vuole concepire un figlio, in modo non solo naturale ma divino? L’accento posto sull’aborto naturale non risulterebbe da una cecità rispetto a un aborto spirituale all’opera nella storia del Cristianesimo? Per mancanza di attenzione e fedeltà all’unione del corpo e dell’anima che può compiere l’amore?
La morale non c’entra granché, in questo mistero. La sua preminenza avviene per la nostra incapacità ad amare. Certo, un diritto civile positivo deve tutelare la possibilità per la donna di assumere in modo
responsabile la sua identità di donna. Il resto è un affare d’amore
per cui difettiamo tuttora di un insegnamento adeguato, sia laico sia religioso.
E se rileggo i Vangeli portatori della “Buona novella”, è di
amore che sento parlare e non di morale, un amore che passaanche attraverso i corpi, che si toccano e diventano così capaci di compiere miracoli. La condanna morale la trovo veramente di rado, salvo che nei confronti dei farisei, degli ipocriti e egoisti, dei ladri e mentitori, di quelli che gettano sassi alla donna che avrebbe peccato, senza considerare le proprie
colpe né la capacità d’amore della donna. Una donna per cui, è vero, l’amore troppo spesso rimane una follia incapace di calcolare e sprovvista
di sapienza. Lo ribadisco: ci manca ancora una cultura dell’amore
e del desiderio all’altezza della nostra tradizione.”"

Un estratto de “LA PROMESSA DELL’OSTETRICO CATTOLICO“, che trovate per intero  qui:

“” Io sottoscritto, _______, prometto solennemente di:

………..

3. difendere e proteggere la Vita Umana dal concepimento alla sua fine naturale, credendo che la Vita Umana, trasmessa dai genitori, è creata da Dio e ha un destino eterno che appartiene a Lui

……….. Al fine di raggiungere tali obiettivi, in qualità di Ostetrico e Ginecologo Cattolico, prometto anche di:

……………..

3. mettere in pratica i principi morali cattolici, in particolare quelli relativi alla bioetica medica fondata sul Personalismo, cioè:

1. di non consigliare, né certificare, né facilitare ad alcuno il ricorso all’aborto volontario;

2. di non usare, né consigliare, né prescrivere sostanze, mezzi o pratiche contraccettivi, intercettivi e contragestativi e di sterilizzazione;

3. di non ricorrere, né consigliare, né facilitare ad alcuno il ricorso alla fecondazione artificiale, né prendere parte agli interventi necessari per la sua realizzazione;

……. “”

Nel nostro paese l’obiezione di coscienza è ammessa dalla legge: ma fino a che punto è legale quel “né facilitare” contenuto in questo documento ? Non si trasformano forse in violenza i tentativi di “persuasione” di medici e personale sanitario ? Non è violenza forse far abortire le donne da sole, abbandonate a se stesse con un pannolone fra le gambe? Non è violenza non somministrare antidolorifici o anestetici per farle “quantomeno” soffrire il piu’ possibile e punirle per la loro scelta, libera?

Quel “né facilitare” sottintende molto, e non è legale. Non se ne puo’ piu’ degli ospedali pubblici che non garantiscono il diritto alla salute ed alla cittadinanza delle donne.

Credo- come suggerisce Giuseppina Conforti-  che dovrebbe essere doveroso, come minimo, da parte delle strutture sanitarie pubbliche garantire la presenza non-esclusiva, nei turni diurni e notturni, di questo “genere” di personale ma soprattutto segnalare la presenza di obiettori alle donne assistite, prima di ogni contatto o possibile visita.

Come controlettura alla “promessa”consiglio un libro illuminante , prezioso regalo di preziosa amica: Eunuchi per il regno dei cieli. La Chiesa cattolica e la sessualità di Ranke Heinemann Uta.

A settembre avevo proposto un  sondaggio , ecco i risultati:

“”Pensi che i cosiddetti “medici obiettori”…

a) Avrebbero dovuto scegliere oculistica come specializzazione. 31.25%b) Non dovrebbero lavorare per istituzioni che si occupano di assistenza sanitaria pubblica (ospedali pubblici, consultori, asl) 50%c) E’ giusto che possano esercitare nelle istituzioni pubbliche, purchè in ogni turno di lavoro venga garantita la presenza di chi “obiettore” non è. 18.75%d) Embè?Problemi? firmato: il crociato antiabortista. 0%

(anche se è inutile specificarlo, la mia predilezione è andata per l’opzione a)

 


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