Denuncia la violenza!

Da Anna

                                                            
 GLI STRUMENTI DI TUTELA

Una premessa è fondamentale: perché le vittime della violenza possano trovare forza, coraggio e spazio per accedere agli strumenti di tutela offerti dalla legge è prioritario e indispensabile svolgere, su scala nazionale, una continua opera di informazione/sensibilizzazione al problema della violenza femminile. Sia perché alle vittime di oggi possa arrivare direttamente all’ interno delle case il messaggio che una via d’uscita esiste e che si può e deve chiedere aiuto, sia perché le potenziali vittime di domani possano conoscere in anticipo le modalità di adescamento e assoggettamento del loro carnefice, per non cadere in trappola.Cosa posso fare se sono vittima di una violenza?

1.   Chiamare il 112 o il 113 e recarmi in pronto soccorso: nell’emergenza/urgenza della violenza, fisica o mentale che sia, il primo gesto da compiere è chiedere l’intervento delle forze dell’ordine, Carabinieri o Polizia, nonché recarsi al pronto soccorso per ricevere le prime cure necessarie.
2.   Rivolgermi a un centro di aiuto: esaurita l’emergenza – o prima che si arrivi alla situazione di vero pericolo – la vittima può rivolgersi ai centri di aiuto, pubblici e privati, sparsi su tutto il territorio nazionale: consultori familiari, centri antiviolenza, sedi del telefono rosa (o azzurro, se la vittima è minorenne), ove trovare ospitalità, soccorso, accoglienza personale, telefonica, consulenza legale, psicologica e medica.Solo a Milano, nel 2009, secondo il report del servizio di prevenzione e contrasto del maltrattamento alle donne del Comune, ben 928 donne si sono rivolte a centri di aiuto per aver subìto maltrattamenti, stupri o molestie: significa più di due donne ogni giorno.
3.   Sporgere denuncia: personalmente, rivolgendosi direttamente agli uffici di Polizia o Carabinieri,oppure avvalendosi dell’assistenza di un legale, che si occuperà di redigere l’atto di querela e di depositarlo presso la Procura della Repubblica. Con la denuncia si apre un procedimento penale finalizzato ad accertare la responsabilità dell’autore della violenza. Nelle vicende “a rischio”, le procedure prevedono l’allontanamento dell’aggressore dalla famiglia e altre misure cautelari. Il caso, inoltre, può essere segnalato ai Servizi Sociali territorialmente competenti che vengono incaricati di monitorare la situazione ed eventualmente offrire alla vittima una sistemazione alternativa.
4.   Separarmi: depositando in Tribunale un ricorso per separazione legale (nel caso di coppia sposata), ovvero di fatto, nel senso di mettere fine al rapporto (nel caso di fidanzamento o convivenza more uxorio).
5.   Chiedere che mi venga concessa una misura di protezione: la l. n. 154/2001, “Misure contro la violenza nelle relazioni familiari” ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico – in ambito civile e penale – strumenti forti di protezione delle vittime di violenza familiare. Si tratta, in particolare, di un sistema di protezione a “doppio binario”, che assicura la medesima tutela al coniuge e al convivente:
- in sede penale, si può chiedere e ottenere la misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare, ex art. 282 bis c.p.: la vittima deve innanzitutto sporgere denuncia o querela nei confronti del familiare violento. Una volta ricevuta la denuncia o querela, il Giudice, oltre che disporre l’allontanamento, può condannare il violento anche a pagare un assegno in favore dei familiari;
- in sede civile, invece, la vittima può avvalersi degli ordini di protezione contro gli abusi familiari ex artt. 342 bis e ter c.c.: 1. ordine di cessazione della condotta pregiudizievole; 2. allontanamento dalla casa familiare del coniuge o del convivente violento; e, inoltre e in aggiunta, divieto di frequentazione di determinati luoghi; ordine di pagamento di un assegno a favore dei familiari conviventi, che per effetto dell’allontanamento, rimangono privi di mezzi economici; intervento dei Servizi Sociali.
Perché la vittima della violenza possa avvalersi di questi strumenti di protezione non è necessario che l’abuso subìto integri un reato, essendo sufficiente che abbia arrecato, o sia idoneo ad arrecare, grave pregiudizio all’integrità fisica o morale o alla libertà personale.
6.   Avvalermi della legge contro lo stalking e gli atti persecutori: il 29 gennaio 2009 la Camera dei Deputati ha approvato il disegno di legge n. 2169 che prevede misure idonee a contrastare i fenomeni persecutori e ha introdotto e disciplinato il reato di stalking (art. 612 bis c.p., “atti persecutori”), concepito come delitto contro la libertà morale: commette questo reato chi “con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero a costringere la stessa ad alterare le proprie abitudini di vita”.La pena è la reclusione da sei mesi a quattro anni, aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa.
Il 23 febbraio 2009 il Governo ha dato immediata attuazione alla previsione di legge con il Decreto Legge n. 11 (entrato in vigore il 25 febbraio 2009), con il quale ha introdotto le c.d. “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori”.
Art. 612-bis (Atti persecutori). Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa.
La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.
Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto e’ connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.».
Perché si configuri il reato di atti persecutori (o stalking) è necessario che la condotta sia:
1) reiterata: gli atti e i comportamenti di sorveglianza e controllo, quindi volti alla molestia, devono essere ripetuti nel tempo ed avere, quindi, carattere insistente, duraturo e intrusivo;
2) intenzionale: i comportamenti devono essere consapevoli, intenzionali e finalizzati alla molestia;
3) indesiderata e sgradita, cioè tale da creare disagio, ansia e paura nella vittima, tale da avere l’effetto di provocare disagio fisico o psichico, ragionevole timore per la propria incolumità e per quella di persone care, nonché pregiudizio alle abitudini di vita.
Il fenomeno della violenza sulle donne ha assunto dimensioni tali da dover essere considerato, a tutti gli effetti, una vera e propria piaga sociale.Ed è nelle pieghe della società, nelle relazioni tra uomini e donne, negli stili di vita della società moderna e nell’ educazione genitoriale che occorre indagare per trovare i semi della violenza. Difficile dire se sia colpa della natura prevaricatoria maschile o dell’incapacità femminile di governare l’altro o, ancora, di un più ampio e generalizzato degrado della società. Probabilmente si tratta di fattori concomitanti, tutti comunque influenti e responsabili. Occorre, dunque, necessariamente ripartire dalla coscienza del singolo, dal valore della dignità propria e altrui. Per far rinascere dal rispetto per sé stessi l’amore e il rispetto per gli altri.Non c’è aiuto, infatti, che può servire davvero se la vittima non arriva alla consapevolezza di voler riscattare la sua dignità. Ritrovare l’amor proprio, darsi un’altra possibilità, riscoprire la propria dignità e avere voglia di riscattarla.Avv. Annamaria Bernardini de Pacehttp://www.dallamoreallamore.com/

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