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Departures – Yojiro Takita

Creato il 16 novembre 2011 da Maxscorda @MaxScorda

16 novembre 2011 di Lascia un commento

Departures
La vita e il suo cerchio, il senso di inizio e fine che intrappola l’occidente da che la cultura cattolica ha impartito insegnamenti e dogmi e proprio nel giocarsi l’eternita’ nei pochi anni di permanenza terrena la debolezza di una esistenza compresa tra due punti irrimediabilmente contrapposti.
Morte ineluttabile certo ma terribile se vissuta come atto traumatico, gradino e non declivio di un nuovo stato di energia, forse d’esistenza.
"- Se [i salmoni] sono destinati a morire, perche’ faticano tanto?
- Loro vogliono tornare nel posto in cui sono nati."
Tornare a casa. Casa d’infanzia, casa di emozioni e motivazioni dentro di se’, casa di uno spirito dal quale tutti proveniamo e se tornare e’ ineluttabile destino, anche il vivere come il morire fa parte di un desiderio che non puo’ spegnersi e ridursi a una semplice attesa, al subire passivamente gli eventi.
Daigo, il protagonista, puo’ aver sbagliato tutto, soffocato dentro di se’ troppo dolore, troppo rancore, troppa solitudine, trasformato la musica da amore per il padre ad amor proprio e gettato al vento anni nell’illusione di essere completi, di essere felici ma quando la vita perde significato, perche’ non restituirglielo con la morte e il suo divenire maestro del rito del nokanshi, essere thanato esteta, colui che prepara i morti prima del rito funebre per intenderci, se dalla morte puo’ e deve rinascere la vita, in ogni senso, in ogni modo, nel rispetto di se’ e in quello degli altri, nel riconquistare la musica come un tesoro ritrovato, senza ricordi, senza doveri, senza mestieri e a quel punto, solo in quel punto, ergersi in equilibrio.
E’ un andare e tornare in regressione freudiana e catartica che si compie nel ciclo continuo ed immutabile, nel passaggio di sangue e ricordi, simboli ed esperienze e la musica e’ un mezzo, portante emozionale, collante per riunire frammenti di un intero cosmo che ruota attorno alle vite dei protagonisti e di coloro che li circondano.
In questo la musica doveva essere fondamentale, fenomenale e quale miglior interprete se non Joe Hisaishi, uno al cui confronto Morricone e’ un furbo mestierante e Nyman un discreto compositore, Hisaishi che accompagnando Kitano e Miyazaki, ha ridefinito gli standard dei temi per film, un grande maestro per il quale il respiro si congela nel petto colmandosi di beato stupore che potrebbe persino bastare per vivere.
A lui si deve la strabordante carica emozionale e solo a lui l’incondizionata riuscita della pellicola.
Infine il perdono, altra colonna del testo. Forse retorico, forse scontato, necessario solo si badi bene se si vive in cerchi, stretti o ampi che siano, ellissi o spirali possono bastare.
Sara’ che proprio oggi mi hanno chiesto di perdonare ma come fare, come spiegare l’impossibile se la propria vita e’ una retta, un’iperbole chissa’ ma e’ certo che le strutture aperte non trattengono, non conservano e cio’ che si raccoglie lo si raccoglie da se’ e per se’.
Del resto, alla fine non importera’ piu’, nell’istante della vita, nel passaggio di un cancello, nel dire arrivederci e mai addio.

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