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Ora, poniamo il caso che al posto di Jacques Brunel ci fosse un altro, tipo quel sudafricano che quando se n'è andato suonarono le fanfare e che contro l'Australia aveva progettato una difesa che contenesse l'abbrivio offensivo dei Wallabies, cavandone un risultato soddisfacente tanto in un Test Match disputato a Firenze quanto nella prima giornata della RWC 2011. Ecco, se al posto di Brunel oggi a Torino ci fosse stato Nick Mallett altro che titoli sul genere "l'Italia illude, ma poi è solo Australia": ma davvero c'è gente convinta che una partita di rugby si prolunghi per dieci minuti? O siamo al campionato delle barzellette e allora ok, oppure meglio una corsetta al parco che porta ossigeno al cervello. Allo Stadio Olimpico, dove finisce 50-20 per l'Australia di Ewen McKenzie sull'Italia di Brunel va in scena la depressione, impossibile da nascondere con la meta all'esordio della matricola Tommaso Allan, con la bellissima azione che porta Luke McLean in meta all'11, innescata da un turnover forzato della difesa azzurra con conseguente contrattacco che passa per Luca Morisi prima, Tommaso Benvenuti poi e l'estremo trevigiano per chiudere in bellezza sotto i pali, sancendo un parziale di 10-0 con l'aiuto del piede di Alberto Di Bernardo. Il parziale successivo, prolungatosi fino all'inizio dell'ultimo quarto, indica invece 33-0 per gli ospiti: francamente è troppo per una nazionale che era di fronte "all'occasione buona del risultato storico" (capitan Sergio Parisse dixit alla vigilia). Loro sono loro, regalando anche spettacolo come non accadeva da tempo con la meta di Folau, l'ultima delle sette a referto, innescato da un preciso calcetto a scavalcare di Tomane. Il resto è pena.
Al di là della mera matematica, è un susseguirsi di errori di posizione (Benvenuti lascia costantemente scoperto il canale esterno), di placcaggi, di decisioni individuali - ancora Parisse che su una rimessa in attacco nella ripresa decide di staccarsi dalla maul avanzante per proseguire sul lato chiuso, venendo accompagnato all'uscita dalle guardie che già lo attendono isolato. La strategia dei Wallabies si manifesta nei primi istanti, con una pressione elevata attorno ai raggruppamenti guidata nel ritmo da Michael Hooper e il rischio del gioco allargato con i propri uomini assorbiti dalla back row avversaria si paventa con un intercetto di Quade Cooper che potrebbe correre libero dalla parte opposta, se non fosse che l'arbitro neozelandese Glen Jackson avesse annunciato il vantaggio che spedisce Di Bernardo alla piazzola per aprire le marcature al 4'. Gli Azzurri replicano in egual maniera, da qui il contropiede micidiale che sveglia la bestia assopita giunta dal sud. Il primo a bussare il capitano Down Under, Ben Mowen, dopo un'iniziativa di Israel Folau proseguita per linee verticali, finché sotto i pali Cooper non scodella un assist per il Numero 8. Al 21' tocca a Tevita Kuridani che viene servito da Nick Cummins, vera spina nel fianco su quella corsia senza controllori, sull'ultimo placcaggio ad immolarsi per la patria. Nel mentre Jackson richiama Parisse, rammentandogli che su quattro fasi i nostri si sono fatti beccare in offside in tutte e quattro le occasioni. La prima e la seconda linea lentamente scompaiono tra ingaggi e gioco allargato e intanto Cummins si prende lui pure la meritata marcatura inserendosi dalla profondità. Nel conteggio del primo tempo che si chiude sul 19-10 per gli australiani mancano due penalty sbagliati da Di Bernardo.
La ripresa è destinata a segnalare altre quattro mete dei Wallabies, tra un Cummins che va prendersi il titolo di Man of the match (con quei baffi che si porta dietro assomiglia comunque ad un attore porno Anni '70 e d'altronde nel suo cognome qualcosa di scritto c'è), un Adam Ashley-Cooper che taglia in mezzo ai 22 grazie a Cooper che danza in mezzo a tre e potrebbe pure fermarsi un attimo per fare una chiamata prima che qualcuno almeno dimostri l'intenzione di saltargli addosso. O ancora, Benn Robinson che dal drop di restart al 66' consegna l'ovale con passaggio alla cieca di sottomano per Joe Tomane che parte a razzo ancora su una corsia esterna sprovvista di ostacoli. I fondamentali sono saltati già da un pezzo. Nel mezzo la meta di Lorenzo Cittadini giunta per vie senza fronzoli, linee e dirette e lotta ai fianchi con accampamento nei 22. Come accade con Allan al '78: alla Farrell si prende la briga si esplorare un canali libero, bruciando il ritorno di Saia Fainga'a dopo lunghe e prolungate fasi ancora nei 22, cadenzate da raggruppamenti a terra e ordinati.
La depressione genera facile sconforto, fa pensar male (non è che Ugo Gori si stia evolvendo nel nuovo Bocchino?) ma la tranvata c'è tutta. Non che da queste parti ci si attendesse la storica vittoria, ma è il modo con cui è giunta la sconfitta che fa pensare. Per Brunel trattasi di "un incidente". Dev'essere un inguaribile ottimista, un creativo ci suggeriscono dalla regia - ma c'è il creativo che sa inventare dal nulla e c'è colui che si definisce tale per dare un senso allo scarabocchio che gli altri faticano a comprendere. Non c'è stata traccia di un piano solido, ripetiamo: sono scomparsi i fondamentali - 83% di successo nei placcaggi, quando gli avversari che ne hanno portati una trentina in più (122 a 90) hanno fatto registrare il 94%. Zero commitment, a parte i primi dieci minuti e l'inevitabile ritorno d'orgoglio con il campo base ormai saccheggiato a più riprese dalle incursioni nemiche. Si è corso tanto per conquistare poco. "Bene dai, è finita", il commento all'80'. Solo perché non c'è Mallett in panchina, altrimenti la folla si sarebbe data appuntamento per pretenderne la testa.
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