derapando nella giungla urbana...

Creato il 11 ottobre 2011 da Omar
Quando un autore viene sommerso da un mare di osanna viene facile guardarlo con una certa diffidenza. Qualcuno, in rete, gli ha già cantato il peana. Mentre altrove si è giunti alla santificazione. In questo clima d'isteria è difficile approcciare a Drive, ultima opera di Nicolas Winding Refn, già vincitrice a Cannes 64, con l'animo libero dal pregiudizio. Ma per fortuna alcune storie sono solo storie. A prescindere dall'aura che si portano appresso. E la pellicola del talentuoso regista danese ne racconta una capace di catturarti per davvero: e già questo fa il suo sporco, grandiosissimo lavoro! Tratto da un breve romanzo del roccioso scrittore James Sallis, Drive mette in scena la traiettoria criminale di un personaggio di per sé intrigante, fumettoso e dagli inconfondibili connotati western. Il protagonista (Ryan Gosling, davvero eccezionale nella sua fissità) fa lo stuntman e il meccanico, ma solo in orari diurni. La notte invece è l'autista-spalla di rapinatori d'ogni tipo. Ed è il migliore in questo lavoro. Non parla: guida e conosce bene il suo mestiere. Sin dai primi secondi del film il richiamo al cinema duro e puro alla Abel Ferrara, Don Siegel o Walter Hill è dichiarato. Un’irriconoscibile Christina Hendricks veste i panni di una battona inglese. Ron Perlman è un boss d'infimo cabotaggio. Albert Brooks, la cui sola partecipazione evoca Taxi Driver, è il suo socio in affari. Il resto dei comprimari ha le facce giuste. Il risultato è un film silente e contratto, quasi animale, un'opera che si sovraccarica lentamente di tensione come una dinamo, per poi esplodere al momento giusto. La città è un grande oceano di caos e sangue e il taciturno Drive si sente a proprio agio solo con un volante fra le mani, quando scorrazza ad alta velocità per le strade infuocate di Los Angeles. L’alternarsi cadenzato e vagamente monotono delle sue attività viene bruscamente interrotto da una serie di eventi destinati a intrecciarsi in modo imprevedibile: Shannon, mentore e padre spirituale del pilota coinvolge Bernie Rose (il più ricco dei cattivi in circolazione) nell’acquisto di uno stock di auto, inseguendo il sogno di trasformare il driver in un campione professionista; contemporaneamente il nostro eroe si innamora di Irene, una dolce vicina incontrata nell’ascensore di casa. Il sangue scorrerà a litri quando Standars, il marito di Irene appena uscito dal carcere, rimarrà implicato in un conflitto a fuoco mortale, e toccherà proprio al protagonista il compito di salvare la sua bella (e un consistente malloppo) dai criminali senza scrupoli.
Refn mette alle spalle il tarantinismo ancora malgovernato della trilogia dei Pusher e cavalca invece l'esperienza della sottrazione baluginata nel successivo Bronson e quindi in Valhalla Rising, specializzandosi nella scultura di silenzi non manierati. Focalizzando sempre di più il proprio personale sguardo, il cineasta danese ci parla per l'ennesima volta di una durezza non necessariamente spiegabile: sequenze di vera ultraviolenza sono attenuate dalla calma del giovane protagonista, in una perfetta orchestrazione di rapidi flash-forward. Pur affrontando una storia raccontata diecimila volta da Hollywood, la suspance che traspira dal plot inchioda lo spettatore grazie a scelte di scrittura creative e originali, come la scena del bacio in ascensore (ma la primissima missione nella giungla urbana, a inizio pellicola, da sola vale il prezzo del biglietto). Drive è pertanto un efficacissimo polar spiazzante, cucito come un action esistenziale degli anni '80 (la musica di Badalamenti/Martinez è per questo insostituibile) come non se ne vedevano da tempo, misurato e calibrato nelle giustapposizioni drammatiche alla maniera di un orologio svizzero. E il suo protagonista pressoché muto, poco più che il One-Eye del precedente film, è un antieroe dalla mimica essenziale, una sorta di riuscitissima mescola tra il Travis Bickle di Taxi Driver e il Driver quasi omonimo, un personaggio circonfuso da una solitudine tristemente contemporanea, incapace di comunicare se non per mezzo della cruda violenza. Ovazioni.
[unica nota di demerito, da grafico: i titoli di testa con la font "Mistral" in color magenta non si possono davvero guardare!]

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